Sottrazione internazionale di minori

Sergio Matteini Chiari
25 Gennaio 2021

Il tema viene affrontato alla luce della disciplina comunitaria (Regolamenti n. 2201/2003 e n. 1111/2019) e internazionale (Convenzione de L'Aja del 25 ottobre 1980), con particolare riferimento al provvedimento con cui il giudice rifiuta di disporre il ritorno del minore...
Inquadramento

La materia relativa alla sottrazione internazionale di minori è attualmente disciplinata dal Regolamento n. 2201 del 27 novembre 2003 (in seguito: Reg. n. 2201/2003).

La medesima materia verrà, peraltro non troppo a breve, disciplinata dal Regolamento (UE) del Consiglio n. 1111 del 25 giugno 2019 (in seguito: Reg. n. 1111/2019), di revisione del Reg. n. 2201/2003.

I disposti del nuovo Regolamento dovranno applicarsi (salvo alcune eccezioni, che non interessano in questa sede) dal 1 agosto 2022 (primo giorno del mese successivo alla scadenza del termine di tre anni dalla data di pubblicazione, avvenuta in G.U.C.E. L 178 del 2 luglio 2019).

Dalla medesima data, il Reg. n. 2201/2003 dovrà ritenersi abrogato.

Tuttavia, giusta la previsione contenuta nel suo art. 100, i disposti del nuovo Regolamento potranno applicarsi «solo alle azioni proposte […] posteriormente al 1 agosto 2022», mentre il Reg. n. 2201/2003 dovrà continuare ad applicarsi alle decisioni rese nelle azioni proposte anteriormente alla predetta data e che rientrano nel suo ambito di applicazione.

Entrambi i suddetti Regolamenti fanno riferimento alla Convenzione sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, aperta alla firma a L'Aja il 25 ottobre 1980 (in seguito: Conv. L'Aja del 1980 oppure Convenzione).

L'efficacia della Convenzione cessa allorché il minore compie 16 anni (art. 4).

Identica efficacia deve essere riconosciuta, in materia, ad entrambi i Regolamenti, giacché integrativi della Convenzione (esplicitamente, sul punto, il 17° «considerando» e l'art. 22 del Reg. n. 1111/2019.

Sottrazione internazionale di minori. Nozione

Con l'espressione «sottrazione internazionale di minori» si indica la situazione in cui un minore:

a) viene illecitamente condotto all'estero ad opera di uno dei genitori che non esercita la responsabilità genitoriale esclusiva, senza alcuna autorizzazione;

b) non viene ricondotto nel Paese di residenza abituale a seguito di un soggiorno all'estero.

Le due fattispecie risultano compiutamente descritte nei rispettivi art. 2 n. 11) del Reg. n. 2201/2003 e e art. 2 n. 11) del Reg. n. 1111/2019, che sostanzialmente ricalcano la descrizione fatta nell'art. 3 della Convenzione de L'Aja del 1980.

Rapporti tra Regolamenti comunitari e Convenzione fatta a L'Aja il 25 ottobre 1980

All'art. 60, il Reg. n. 2201/2003 statuisce che esso prevale sulla Convenzione de L'Aja del 25 ottobre 1980, nella misura in cui la Convenzione riguardi materie da esso disciplinate.

All'art. 96, il Reg. n. 1111/2019 sancisce che, con riguardo ai casi di sottrazione internazionale, continua ad applicarsi la suddetta Convenzione, come integrata dalle disposizioni dei capi III e IV del Regolamento.

Ovviamente, i disposti dei Regolamenti hanno efficacia esclusivamente per gli Stati membri dell'Unione Europea, fatta eccezione per la Danimarca (che, non avendo partecipato all'adozione dei due Regolamenti, non è soggetta alla loro applicazione).

Le norme procedurali speciali (art. 7) introdotte dalla l. n. 64/1994, di ratifica e di attuazione della citata Convenzione, prevalgono su quelle dettate dal codice di rito; peraltro, tali disposizioni devono ritenersi integrate, con valenza unicamente in relazione agli Stati membri dell'Unione Europea (eccezion fatta per la Danimarca), dalle norme dettate dai due Regolamenti in esame, le quali prevalgono su ogni altra norma avente il medesimo oggetto.

Il rapporto tra la norma processuale comunitaria e la norma processuale nazionale va inquadrato alla luce di quanto costantemente affermato dalla Corte di Giustizia europea (si veda, per tutte, C.G.C.E. 9 marzo 1978, in causa C-106/77, Min. Finanze c/Soc. Simmenthal) in relazione al primato del diritto comunitario, di guisa che alle norme processuali interne non è in alcun modo concesso pregiudicare l'applicazione del diritto comunitario.

Procedura di rimpatrio. Cenni

Ai sensi dell'art. 8 della Convenzione de L'Aja del 1980 (e dell'art. 11 par. 1 del Reg. n. 2201/2003 e dell'art. 22 del Reg. n. 1111/2019), la legittimazione ad agire per ottenerne il «rimpatrio» compete a «ogni persona, istituzione od ente» che adduca che un minore è stato trasferito o trattenuto in violazione di un diritto di affidamento.

Tali soggetti possono rivolgersi, con apposita domanda (art. 8 della Convenzione, implicitamente richiamato da entrambi i Regolamenti) sia all'Autorità Centrale del luogo di residenza abituale del minore, sia a quella di ogni altro Stato contraente, che provvederanno poi ad interessarne le autorità interne competenti (giurisdizionali od amministrative secondo la Convenzione e il Reg. n. 2201/2003; giurisdizionali secondo il Reg. n. 1111/2019).

In forza della Convenzione (nonché dell'art. 53 del Reg. n. 2201/2003 e dell'art. 76 del Reg. n. 1111/2019), ciascuno degli Stati aderenti alla Convenzione medesima o membri dell'UE deve designare l'Autorità Centrale, quale organo attivo e passivo.

Nel nostro ordinamento, tale Autorità è stata individuata nel Ministero della Giustizia, Dipartimento della Giustizia minorile.

Le discipline dettate in tema di rito dalla Convenzione (artt. 8 e ss.) e dai due Regolamenti non sono perfettamente sovrapponibili.

Sia il Reg. n. 2201/2003 (artt. 10 e 11) che il Reg. n. 1111/2019 (artt. da 22 a 29 e artt. da 85 a 91) integrano per più aspetti i disposti della Convenzione.

Di conseguenza, a seconda che si tratti di Stato membro dell'UE o meno, la disciplina da applicare sarà quella dei Regolamenti oppure quella della Convenzione, la quale si applica anche in rapporto alla Danimarca.

Provvedimenti. Convenzione. Regolamenti comunitari

L'autorità competente potrà ordinare il ritorno del minore oppure rifiutare la restituzione.

Le varie ipotesi ed i relativi presupposti sono disciplinati dagli articoli da 12 a 20 della Convenzione, nonché dagli artt. 10 e 11 del Reg. n. 2201/2003 e dagli artt. da 22 a 29 del Reg. n. 1111/2019.

Si fa rinvio alle relative previsioni. La trattazione viene limitata in questa sede al caso del rifiuto della restituzione.

(Segue) Rifiuto della restituzione del minore. Convenzione

Nell'art. 13 comma 1 della Convenzione vengono previsti, in aggiunta all'ipotesi (prevista dall'art. 12) dell'intervenuta «integrazione» del minore nel nuovo ambiente dopo un anno dall'illecito trasferimento o dal mancato rientro,alcuni casi (l'elencazione è ritenuta tassativa) in cui l'autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato richiesto non è tenuta ad ordinare il ritorno del minore.

Ciò può (deve) avvenire qualora, sia in forza dei mezzi di prova assunti ad istanza di parte sia in forza degli accertamenti praticati dal giudice competente nell'esercizio dei suoi poteri di indagine officiosa, risulti dimostrato:

a) che la persona, l'istituzione o l'ente cui era affidato il minore non esercitava effettivamente il diritto di affidamento al momento del trasferimento o del mancato rientro, o aveva consentito, anche successivamente, al trasferimento o al mancato ritorno (v., ex multis, Cass. civ., sez. I, ord., 11 giugno 2019, n. 15714; Cass. civ., sez. I, 26 settembre 2016, n. 18846);

oppure

b) che sussiste un fondato rischio, per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, «ai pericoli fisici e psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile».

In giurisprudenza sono state dettate varie «regole» da tenere in conto con riguardo a quest'ultima causa ostativa.

Perché sia pronunciato il provvedimento di rifiuto del rimpatrio, si esige la prova specifica (id est: non generica o eventuale) del rischio «grave» che il minore possa venire a trovarsi in una situazione intollerabile (v. Cass. civ., sez. I, 16 luglio 2004, n. 13167).

Ai fini del relativo accertamento, il giudice deve attenersi ad un criterio di rigorosa interpretazione della portata della condizione ostativa al rientro, non potendo dare peso a dei meri inconvenienti, al mero trauma psicologico o alla semplice sofferenza morale per il distacco dal genitore autore della sottrazione abusiva, a meno che tali inconvenienti non raggiungano il grado del pericolo psichico o dell'effettiva intollerabilità da parte del minore (v. Cass. civ., sez. I, 8 febbraio 2016, n. 2417; Cass. civ., sez. I, 18 marzo 2006, n. 6081).

È stato anche precisato che l'indagine in fatto è da ritenere «dominata dal principio della prevalenza, nel dubbio, della tutela del minore» (v. Cass. civ., sez. VI, ord. 5 ottobre 2011, n. 20365).

Poiché il relativo accertamento implica un'indagine di fatto, riservata all'apprezzamento del giudice del merito, essa è censurabile in sede di legittimità soltanto se non congruamente e logicamente motivata (v. Cass. civ., sez. I, 8 febbraio 2016, n. 2417).

L'autorità competente può, inoltre, rifiutarsi di ordinare il ritorno del minore qualora essa accerti che quest'ultimo si oppone al ritorno e che ha raggiunto un'età ed un grado di maturità tali che sia opportuno tenere conto del suo parere (art. 13 comma 2 della Convenzione) (v., ex multis, Cass. civ., sez. I, 17 aprile 2019, n. 10784).

In proposito è stato, comunque, precisato che l'autorità giudiziaria, pur considerando il minore sufficientemente maturo, non è vincolata dalla volontà del medesimo, che abbia espresso un parere contrario al ritorno, ma conserva al riguardo un potere discrezionale di valutazione, che esclude qualsiasi automatismo (Cass. civ., sez. I, 16 giugno 2011, n.13241).

In ogni caso, il ritorno del minore può essere rifiutato nelle ipotesi in cui il rientro non sia consentito dai principi fondamentali dello Stato richiesto relativi alla protezione dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (art. 20 della Convenzione).

(Segue) Rifiuto della restituzione del minore. Regolamento n. 2201/2003

Quanto ai provvedimenti adottabili nell'ambito delle vicende di sottrazione internazionale, il Reg. n. 2201/2003 richiama esplicitamente gli artt. 12 e 13 della Convenzione.

Non può dubitarsi che vi sia anche implicito richiamo all'art. 20 di quest'ultima fonte normativa.

Debbono, quindi, valere le notazioni svolte nel precedente paragrafo.

Il Regolamento detta, peraltro, alcune integrazioni.

Il rifiuto di disporre il ritorno del minore non è consentito se la persona che lo ha chiesto non ha avuto la possibilità di essere ascoltata (art. 11 par. 5).

Del pari, il rifiuto non è consentito in base all'art. 13 comma 1 lett. b) della Convenzione qualora sia dimostrato che sono previste misure adeguate per assicurare la protezione del minore dopo il suo ritorno (art. 11 par. 4).

Ai fini della legittimità del provvedimento, costituisce adempimento necessario l'ascolto del minore, salva la sussistenza di particolari ragioni (che dovranno essere indicate specificamente) che ne sconsiglino l'audizione (principio consolidato - v., ex multis, da ultimo, Cass. civ., sez. I, ord., 24 febbraio 2020, n. 4792 e Cass. civ., sez. I, ord. 4 giugno 2019, n. 15254).

(Segue) Giudizio di «riesame» del provvedimento di rifiuto della restituzione del minore

Nelle fattispecie «comunitarie» (vale a dire, laddove la vicenda abbia a protagonisti soggetti - salvo i cittadini danesi - residenti nell'area comunitaria, che ne sia anche teatro) di rifiuto di emissione dell'ordine di rientro, il «giudice naturale» delle medesime risulta essere designato, in ultima istanza, nel giudice della «residenza abituale del minore immediatamente prima del suo trasferimento illecito o mancato rientro» (si vedano il 17° «considerando» e l'art. 11 par. da 6 a 8 del Reg. n. 2201/2003), in quanto il più vicino all'ambiente familiare e sociale vissuto dal minore prima dell'evento denunciato. Ad esso spetta, dunque, l'ultima parola.

A tal fine, è previsto che l'autorità giurisdizionale che, in base all'art. 13 della Convenzione, abbia opposto diniego alla richiesta di provvedimento di rientro, deve trasmettere copia di tale decisione e dei documenti pertinenti («in particolare una trascrizione delle audizioni dinanzi al giudice») all'autorità giudiziaria competente (nel nostro Paese: il Tribunale per i minorenni) o direttamente o tramite l'Autorità Centrale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell'illecito trasferimento o mancato rientro.

Rilevano due ipotesi: a) che l'autorità giudiziaria dello Stato in cui il minore aveva la residenza abituale sia già stata adita da una delle parti; b) che, invece, nessun giudizio sia pendente innanzi a tale autorità.

In tale secondo caso, l'autorità che abbia ricevuto il provvedimento di diniego del rientro del minore deve informarne le parti, invitandole a presentare all'autorità giudiziaria avente sede nel luogo dell'originaria residenza abituale del minore le proprie conclusioni entro tre mesi dalla data della notifica, onde consentire che l'autorità stessa esamini «la questione sull'affidamento del minore».

Qualora le conclusioni non vengano ricevute entro il suddetto termine, il procedimento dovrà essere archiviato.

Nei casi in cui non rilevino cause ostative al procedere del giudizio, l'autorità giudiziaria del luogo in cui il minore aveva originariamente la residenza abituale potrà concluderlo, previo riesame del precedente diniego, con pronuncia di accoglimento o con pronuncia di rigetto della domanda di rientro.

La predetta natura del giudizio («riesame» della valutazione operata dal giudice dello Stato in cui il minore «si trova») comporta che il giudice della residenza abituale del minore, sulla base delle «conclusioni» formulate dalle parti, ha il potere di effettuare una nuova e globale valutazione degli elementi probatori acquisiti dal giudice che ha negato il rientro - eventualmente integrandoli con quelli da lui ulteriormente acquisiti a seguito di «sommarie informazioni» (v., in argomento, Cass. civ., sez. I, 14 luglio 2010, n. 16549) - ed un'autonoma interpretazione della pertinente disciplina sostanziale, convenzionale e del Regolamento, e, all'esito, di emettere una decisione o confermativa del provvedimento di diniego del ritorno − eventualmente anche per ragioni diverse od ulteriori rispetto a da quelle addotte dall'altro giudice -, ovvero sostitutiva dello stesso provvedimento, prescrivendo il ritorno del minore.

Ai sensi dell'art. 11 par. 8 del Reg. n. 2201/2003, la decisione che, in sede di riesame, prescriva il ritorno è esecutiva, «allo scopo di assicurare il ritorno del minore».

A tale riguardo, va rammentato che la C.G.U.E. ha affermato che l'art. 11 par. 8 del Reg. n. 2201/2003 deve essere interpretato nel senso che la decisione del giudice competente che disponga il ritorno del minore rientra nell'ambito di applicazione di tale disposizione anche qualora non sia preceduta da una decisione definitiva adottata dal medesimo giudice sul diritto di affidamento del minore (v. C.G.U.E., Sez. III, 1 luglio 2010, causa C- 211/10).

Avverso il provvedimento di rigetto emesso dall'a.g. del luogo di residenza abituale del minore, è stato ritenuto ammissibile ricorso per cassazione, in quanto il relativo giudizio «si configura come un procedimento di riesame completo ed esaustivo del provvedimento impugnato» (v. Cass. civ., sez. I, 14 luglio 2010, n. 16549).

(Segue) Rifiuto della restituzione del minore. Regolamento n. 1111/2019

i) Anche il Reg. n. 1111/2019 detta, nella materia in esame, alcune integrazioni ai disposti della Convenzione.

Anche nella nuova fonte è previsto che il rifiuto di disporre il ritorno del minore non è consentito se la persona che lo ha chiesto non ha avuto la possibilità di essere ascoltata (art. 27 par. 1).

Del pari, ai sensi dell'art. 27 par. 3 all'autorità giudiziaria adita non è consentito rifiutare di disporre il ritorno del minore in base all'art. 13 comma 1 lett. b) della Convenzione qualora la parte attrice la convinca, fornendo prove sufficienti, che sono state previste misure adeguate per assicurare la protezione del minore dopo il suo ritorno oppure se tale convincimento provenga da altre fonti.

ii) Va posto in assoluta evidenza che il Reg. n. 1111/2019 consacra, con una specifica disposizione (art. 21, richiamato dall'art. 26) il diritto del minore di esprimere la propria opinione, di cui dovrà essere tenuto debito conto «in funzione della sua età e del suo grado di maturità».

iii) Quanto alla procedura successiva al diniego del ritorno del minore, ne viene dettata disciplina nell'art. 29 del Reg. cit., con riferimento esclusivo ai casi previsti dall'art. 13 comma 1 lett. b) e comma 2 della Convenzione.

Viene disposto che l'autorità giudiziaria che rende una decisione di diniego ai sensi delle disposizioni testè richiamate (cui, nella decisione, dovrà essere fatto esplicito riferimento – v. 48° «considerando»), deve rilasciare d'ufficio un certificato (il cui modello è riportato nell'all. I al Reg.).

Nella norma (par. 3) si fa, quindi, l'ipotesi che nel momento della decisione di diniego un'autorità giudiziaria dello Stato membro in cui il minore aveva originariamente la residenza abituale sia già stata investita di un procedimento di merito relativo al diritto di affidamento. In tal caso, l'autorità del diniego, ove sia al corrente di tale procedimento, deve provvedere, entro un mese dalla data della sua decisione, a trasmettere all'altra autorità giudiziaria, direttamente o tramite le Autorità Centrali, copia della sua decisione, il predetto certificato e, «se del caso», una trascrizione, una sintesi o un verbale delle udienze innanzi a sé e qualsiasi altro documento che reputi pertinente (il par. 4 della norma in esame reca disciplina in ordine alla traduzione o traslitterazione di documenti e decisione).

Al di fuori dei casi in cui sia già in corso un procedimento sull'affidamento, è reso possibile (par. 5) alla parte che vi abbia interesse di adire, entro tre mesi dalla notificazione della decisione di diniego, un'autorità giudiziaria dello Stato membro in cui il minore aveva originariamente la residenza abituale, affinché accerti nel merito il diritto di affidamento. In tal caso, la parte stessa deve presentare all'autorità adita i documenti ricordati appena più sopra (decisione, certifica, trascrizione o sintesi o verbale delle udienze).

iv) Nel suo ultimo paragrafo, l'art. 29 detta che «nonostante la decisione contro il ritorno di cui al paragrafo 1, le decisioni di merito relative al diritto di affidamento risultanti dai procedimenti di cui ai paragrafi 3 e 5 che comportano il ritorno del minore sono esecutive in un altro Stato membro a norma del capo IV».

v) Se ben si è inteso, pur se il Reg. n. 1111/2019 non prevede più giudizi di «riesame» delle decisioni di diniego, tuttavia, nei casi considerati nel precedente punto iii), le decisioni medesime sono destinate a restare senza effetto, per subvalenza, qualora l'autorità giudiziaria dello Stato di originaria residenza abituale del minore emetta pronuncia (immediatamente esecutiva) sul diritto di affidamento che comporti il ritorno del minore.

vi) Come già ricordato nel precedente punto iii), l'art. 29 del Reg. cit. detta disciplina unicamente in riferimento ai casi previsti dall'art. 13 comma 1 lett. b) e comma 2 della Convenzione.

Per quanto inerente ai casi previsti dagli artt. 12, 13 comma 1 lett. a) e 20 di tale fonte normativa, deve ritenersi che gli stessi restino disciplinati direttamente dalla medesima (artt. 8 e ss.).

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