Legittimo il licenziamento se il fatturato è in calo e il settore è in crisi

Attilio Ievolella
28 Gennaio 2021

Respinte le obiezioni proposte da un operaio di una azienda portuale. Evidenti, secondo i Giudici, le ragioni economiche che hanno spinto la società a mettere alla porta alcuni lavoratori.

Respinte le obiezioni proposte da un operaio di una azienda portuale. Evidenti, secondo i Giudici, le ragioni economiche che hanno spinto la società a mettere alla porta alcuni lavoratori.

Settore in crisi e consistenti perdite di fatturato legittimano il licenziamento. Corretta, secondo i Giudici, la scelta operata dall'azienda, nonostante le comprensibili obiezioni mosse dal lavoratore (Cass., sez. lav., 25 gennaio 2021, n. 1508).

Riflettori puntati su un'azienda del settore portuale. A essere posta in discussione è la legittimità della lettera con cui è stato comunicato il licenziamento a un operaio, licenziamento motivato con i numeri di un fatturato in drastico calo.

Per il lavoratore è illogico parlare di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Ecco spiegato il ricorso da lui proposto, ma subito respinto dal giudice del lavoro che, in sostanza, ritiene lineare la procedura seguita dalla società. Unica annotazione pro dipendente è quella con cui si ritengono «violati i canoni di correttezza e buonafede nella scelta dell'operaio come lavoratore da licenziare» poiché, osserva il Giudice del lavoro, «egli, appartenente al quarto livello, è stato selezionato in modo arbitrario insieme a tre altri operai di sesto livello, in quanto considerato unità più costosa e in esubero».

Stessa linea di pensiero anche per la Corte d'appello. Per i Giudici di secondo grado è logico parlare di licenziamento per giustificato motivo poiché «la società aveva subito perdite negli anni 2012, 2013 e 2014». Allo stesso tempo, vengono ritenute evidenti «la vaghezza e l'arbitrarietà dei criteri utilizzati per la scelta di licenziare l'operaio» e quindi è «congrua la misura della indennità risarcitoria» in suo favore, indennità «fissata in venti mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto».

Inutile il ricorso in Cassazione proposto dal legale del lavoratore. Per i Giudici del ‘Palazzaccio', difatti, è stata valutata correttamente, tra primo e secondo grado, «la circostanza realmente esistente al momento dei licenziamenti (settembre 2014), analizzando le perdite del fatturato degli anni 2012 e 2013», e altrettanto correttamente è stato esteso l'accertamento «ad un arco temporale idoneo per svolgere una valutazione globale e diretta delle circostanze di fatto che avevano determinato le cause dei recessi». A questo proposito, difatti, è stato «esaminato il bilancio consuntivo del 2014, sebbene il preconsuntivo di quello del mese di agosto fosse già significativo della situazione patrimoniale della società» e sono state poste in evidenza «la irreversibilità del calo di fatturato; la situazione di crisi del settore portuale; l'accumulo di ore pagate e non lavorate; la circostanza di analoghi licenziamenti da parte di altre due società che confermava la generale crisi economica».

Ciò significa, chiariscono i Supremi Giudici, che «non vi è stato un uso indebito di vicende extragiudiziali, successive al licenziamento dell'operaio, per accertarne la legittimità, bensì una valutazione complessiva ed analitica di tutto il contesto probatorio» mirata alla «verifica della sussistenza del giustificato motivo oggettivo individuato sia nella riduzione dei costi aziendali che in ragioni inerenti l'attività produttiva».

Confermata, però, anche la violazione compiuta dall'azienda rispetto ai criteri di scelta dei lavoratori da mettere alla porta, «avendo riguardo alle mansioni espletate». Ciò comporta che l'operaio ha sì perduto il posto di lavoro – a causa, come detto, di precise «ragioni economiche» – ma ha comunque diritto, come sancito in Appello, a una adeguata indennità risarcitoria.

(Fonte: Diritto e Giustizia)

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