Il diritto del lavoro della pandemia, la CIG in deroga, il problema del sindacato comparativamente più rappresentativo

22 Febbraio 2021

La pandemia in atto ha imposto l'assunzione di misure relative anche all'ordinamento del lavoro ed esse hanno riguardato, fondamentalmente, due aree: la tutela del reddito e l'allontanamento dal luogo di lavoro e cioè, quelle di carattere più strettamente di diritto sociale...
Introduzione

La pandemia in atto ha imposto l'assunzione di misure relative anche all'ordinamento del lavoro ed esse hanno riguardato, fondamentalmente, due aree: la tutela del reddito e l'allontanamento dal luogo di lavoro e cioè, quelle di carattere più strettamente di diritto sociale (1), poiché appare ragionevole “l'idea di un diritto del lavoro che subisce i colpi di una deleteria pandemia, ma che sospende temporaneamente alcuni diritti nella stessa misura in cui potenzia taluni istituti dello stato sociale” (2).

Si guardi alle norme approvate in conseguenza del dramma della pandemia da Covid-19 in materia di garanzia della stabilità dei rapporti di lavoro, che devono essere analizzate non solo sotto l'angolo visuale delle tutele in regime emergenziale, ma anche delle concrete esperienze applicative che incideranno strutturalmente sulle prospettive future del diritto del lavoro (3).

La CIG in deroga per l'emergenza da Covid-19

La tecnica di regolazione adottata dalla l. n. 27/2020 (e confermata dal d.l. n. 34/2020) è consistita nell'inserimento di una nuova causale per l'intervento ordinario della cassa integrazione ovvero degli strumenti analoghi, senza modificare la struttura dell'istituto e i requisiti necessari ai fini applicativi, in ragione della disciplina del d.lgs. n. 148/2015. La causale prevista a seguito della diffusione del Covid-19, riguarda la previsione che il datore di lavoro abbia sospeso o ridotto l'attività lavorativa per eventi “riconducibili all'emergenza epidemiologica”. Dal coordinamento con il campo di applicazione degli istituti in questione, la conseguenza ermeneutica é che la cigo “Covid-19” riguarda solo le imprese elencate nell'art. 10 del d.lgs. n. 148, e che un'impresa appartenente a settori nei quali esistono Fondi di solidarietà bilaterali deve rivolgersi al proprio Fondo e non può presentare istanza per la cassa integrazione. I Fondi, a loro volta, potranno accedere alle risorse pubbliche, come meglio chiarito, anche per quelli ex art. 26 (oltre che per quelli ex art. 27 e per il Fis) dal d.l. n. 34/2020 (art. 68, co. 6-ter), che le ha altresì rifinanziate (4).

Le crescenti “falle” della rete di protezione sociale nel nostro Paese dunque, si è ritenuto di ripararle per l'emergenza pandemica con il ricorso alla cassa integrazione guadagni “in deroga”, prudenzialmente mai abrogata, talché i licenziamenti di massa da Covid-19, che avrebbero prodotto un “distanziamento sociale” draconiano tra datori e lavoratori, hanno subito un divieto per evidenti ragioni di solidarietà e di convivenza sociale. Il “distanziamento sociale” è stato affidato, quindi, al tradizionale ammortizzatore sociale, la cassa integrazione, adattata per la situazione emergenziale, con tendenzialmente universale per le nove settimane previste (5), anche se, come è stato opportunamente osservato, “quando cesserà la cassa integrazione e quando le imprese potranno licenziare, gli occupati diminuiranno di tanto” (6), con l'ineludibile tema dellapiù generale riconsiderazione degli ammortizzatori sociali, anche attraverso l'integrazione tra un Welfare pubblico opportunamente rafforzato - riscontrando la più generale domanda dei cittadini nell'attuale fase storica, tipica dei periodi di insicurezza collettiva e pertanto di tipo neo-universalistico - con forme di natura privatistico-collettivo (7).

Ma le gestione dell'erogazione delle indennità della CIG in deroga ha dato luogo a notevoli problematiche organizzative (8), essenzialmente derivanti dalla gestione affidata da Regioni e Province autonome, in ragione del diverso riparto di competenze definito dalla riforma costituzionale derivante dalla legge n.3/2001 (9), a cui il d.lgs. n. 34/2020 ha cercato, con un certo ritardo, di fare fronte (10).

Uno dei profili applicativi più controversi è connesso all'incertezza interpretativa relativa alle modalità dell'accordo da raggiungersi con le organizzazioni sindacali e, in specie, se sia sufficiente un accordo-quadro in ambito regionale oppure per le singole aziende e, soprattutto, in materia di individuazione dei sindacati legittimati alla sottoscrizione degli accordi, con il rinvio alla formula del “sindacato comparativamente più rappresentativo”, non senza interpretazioni diverse tra le singole regioni circa l'individuazione delle OO.SS. e le polemiche conseguenti da parte dei soggetti esclusi.

E' di tutta evidenza un paradosso per la fattispecie in esame, quello che anche nelle aziende che applicano CCNL stipulati da sindacati senza il requisito del “comparativamente più rappresentativo” e che abbiano anche una presenza organizzata, l'accordo non si debba stipulare con essi, ma con le OO.SS. selezionate secondo la comparazione.

Così, la formula dei contratti collettivi di lavoro sottoscritti dai cosiddetti sindacati “comparativamente più rappresentativi”, ancora una volta rilancia la sollecitazione alla politica del diritto perché si occupi di temi fondamentali in materia sociale, quali l'efficacia dei contratti collettivi nazionali di lavoro, la rappresentatività sindacale, garantendo comunque il contrasto al dumping sociale.

Il sindacato “comparativamente più rappresentativo”

Si deve evidenziare che la nozione di sindacato "comparativamente più rappresentativo" è emersa negli anni novanta del ‘900 a fini selettivi, in diverse leggi che hanno operato dei rinvii alla contrattazione collettiva, anche se non esiste una definizione legislativa di "sindacato comparativamente più rappresentativo" (11), così che le interpretazioni sino ad oggi formulate dalla dottrina non hanno fugato le incertezze quanto alla "ratio" della nozione, all'individuazione della fattispecie, all'ambito di selezione ed alla fase del processo negoziale in cui si deve effettuare la comparazione.

E quindi, a seconda degli effetti che vengono attribuiti alla fattispecie del "sindacato comparativamente più rappresentativo", la nozione può essere utilizzata per selezionare determinati soggetti sindacali, attraverso l'attribuzione della legittimazione negoziale esclusiva, ovvero, in alternativa, per consentire di scegliere quale sia applicabile fra due o più contratti collettivi già conclusi, che vengano ad insistere sullo stesso ambito territoriale o categoriale.

Le diverse interpretazioni elaborate valorizzano tutte tale nozione ora come strumentale alla selezione degli atti di autonomia collettiva, ora a quella dei soggetti (i diversi sindacati); in questa seconda ipotesi, come è stato sottolineato da alcuni settori della dottrina, la nozione appare svolgere la medesima funzione già affidata a quella tradizionale di “sindacato maggiormente rappresentativo” nell'ambito della sua evoluzione funzionale (12) e della sua prassi applicativa (13).

In carenza di una definizione legislativa, se vi è una tesi che evidenzia la funzionalità della rappresentatività "comparata" ad una selezione comunque interna all'ambito della "maggiore rappresentatività", altri evidenziano una totale eterogeneità tra le due nozioni.

Il rinvio legislativo ai “sindacati comparativamente maggiormente rappresentativi” in materia di contrattazione collettiva ha assunto palesi caratteri di eterogeneità dei fini, avuto riguardo all'elemento teleologico degli accordi che, di volta in volta, il legislatore ha previsto come aventi natura dispositiva, integrativa, derogatoria, ablativa o gestionale, con interventi giurisprudenziali espressivi di un quadro di incertezza legislativo, anche sul piano lessicale.

Sotto il profilo sostanziale invece, le critiche hanno riguardato l'impossibilità di definire giuridicamente l'efficacia generale dei contratti quale conseguenza diretta dello status di sindacato comparativamente maggiormente rappresentativo da parte dei sottoscrittori, poiché nessun intervento legislativo ha mai statuito (né potrebbe farlo!) una coincidenza tra maggiore rappresentatività, nozione politico-sociologica, e rappresentanza sindacale, nozione tipicamente civilistica.

In definitiva, le ambiguità della nozione finiscono per sollevare più problemi di quanti essa ne risolva, avuto riguardo all'art. 39 della Costituzione, che si fonda sulla previsione in termini precettivi del principio della libertà sindacale, vero architrave del nostro sistema sindacale, a chiarimento della posizione dello Stato nei confronti dei sindacati (14).

Legge e autonomia collettiva nel diritto sindacale italiano

La perenne dialettica e l'equilibrio dinamico tra legge e autonomia collettiva in materia sindacale (15) hanno trovato ulteriore linfa da una parte a causa di continui interventi legislativi basati sulla formula del rinvio ai contratti stipulati da “sindacati comparativamente più rappresentativi” (16), dall'altra dalle dinamiche dell'autonomia collettiva il cui punto di arrivo sembra essere il Testo unico del 10 gennaio 2014 (17) e, più di recente, il cosiddetto “Patto per la fabbrica” del 28 febbraio 2018, tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil, quest'ultimo oggetto di non poche critiche (18).

Con questa formula, definita “escogitazione linguistica intelligente e feconda” (19), si è tentato di contribuire a sciogliere i nodi relativi al rapporto tra verifica della rappresentatività, libertà sindacale ed efficacia contrattuale derivante da norme di legge di rinvio, attraverso il “confronto di rappresentatività, dei soggetti sindacali legittimati alla stipula del contratto collettivo cui la legge rinvia” (20).

Com'è noto varie disposizioni normative susseguitesi nel tempo, a partire dall'art. 2, comma 25, della legge n. 549/1995, di interpretazione autentica della legge n. 398/1989, sino al d.lgs n. 81/2015, prevedono che benefici per le imprese di varia natura, in particolare sulla flessibilizzazione dei rapporti di lavoro, derivino dall'applicazione di contratti collettivi stipulati, appunto, da sindacati “comparativamente più rappresentativi” (21), con il passaggio da una rappresentatività presunta ad una verificata (22), attraverso il principio di maggioranza, applicato mediante una procedura comparativa (23).

L'aspetto teleologico dei provvedimenti legislativi è indubbiamente chiaro, ma non si possono non condividere le numerose riserve su vari profili: la fase negoziale in cui effettuare la comparazione, ex ante oppure ex post rispetto alle trattative sindacali con le associazioni datoriali; la possibilità che la comparazione possa avvenire anche all'interno dei sindacati maggiormente rappresentativi; l'individuazione degli stessi criteri di selezione; l'oggetto della comparazione, contratti oppure i sindacati (24); l'inesistenza di una soglia minima quantitativa per la individuazione del sindacato comparativamente più rappresentativo (25); la compatibilità della tecnica legislativa rispetto all'articolo 39, primo comma, della Costituzione, in particolare ai profili di irragionevolezza delle modalità selettive “tra sindacati già usciti dal ghetto della minore rappresentatività, perché tutti qualificati come maggiormente rappresentativi sul piano nazionale” (26).

Infatti, nei sistemi produttivi caratterizzati dalla presenza di plurimi contratti collettivi nazionali di lavoro, che insistono sulla stessa area di applicazione, seppur con ambiti e livelli spesso di difficile sovrapponibilità, sarebbe abilitato a produrre l'effetto legale dei rinvii disposti dal decreto legislativo n. 81/2015 solo quel sistema contrattuale costituito da federazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Sicché, i datori di lavoro che applicassero contratti collettivi non rispondenti ai requisiti di cui all'articolo 51 del d.lgs n.81/2015, non potrebbero disporre dei margini di flessibilità contrattata, salvo non avventurarsi in un terreno scivoloso in cui l'alea di possibili contenziosi giudiziari sarebbe notevole, poiché l'accertamento della rappresentatività avverrebbe successivamente alla firma del contratto collettivo, in conseguenza di una procedura ispettiva o di un'azione giudiziaria, come quelle paventate dalla controversa circolare n. 3/2018 dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro.

Da qui le numerose eccezioni alla formula del sindacato “comparativamente più rappresentativo” anche sul piano costituzionale. In primo luogo la giurisprudenza della Corte costituzionale, che, come è noto, ha evidenziato la non desumibilità dalla Carta fondamentale di una riserva, di legge o di contrattazione, per il regolamento dei rapporti di lavoro subordinato a favore dei sindacati, escludendo, nel contempo, che il legislatore possa arbitrariamente inibire la libertà delle scelte sindacali, ivi comprese quelle di autonomia collettiva (27). Dalla giurisprudenza costituzionale si evidenzia che se l'autonomia collettiva non è preservata da limiti legali, la legge incontra a sua volta limiti nei principi della libertà sindacale e dell'autonomia collettiva professionale ;ex 39 Cost.

In questa prospettiva l'individuazione dei contratti collettivi da applicare attraverso il ricorso al criterio selettivo della comparazione tra i sindacati più rappresentativi pone evidenti questioni di costituzionalità in ordine al principio di libertà sindacale di cui al comma 1° dell'art. 39 della Costituzione (28).

La consapevolezza di queste criticità ha indotto settori della dottrina (29), e una parte dei sindacati, storicamente contrari a una “legge sindacale”, a ritenere possibile un intervento legislativo, soft e recettivo di regole concordate fra le parti sociali, in specie degli accordi interconfederali (30).

Ma l'utilizzazione della formula del sindacato “comparativamente più rappresentativo”, è stato evidenziato come costituisca uno strumento di contrasto al dumping sociale.

Esiste, infatti, su un versante il problema delle garanzie per tutti i lavoratori dipendenti, stabilendo sulla base dei contratti collettivi sottoscritti solo da alcuni soggetti collettivi, pari condizioni normative e retributive contro i contratti “pirata” (circa il 12% dei lavoratori dipendenti riceve un salario inferiore ai minimi contrattuali, ingrossando le fila dei working poors).

Garanzie che potrebbero essere realizzate introducendo anche in Italia l'istituto del salario minimo legale (31), previsto in 22 Paesi dell'Unione europea e da una direttiva del Parlamento europeo e sostenuto anche dall'ILO (32).

Ma è evidente, su un altro versante, che il diffuso pluralismo sindacale nell'attuale assetto delle relazioni industriali in Italia, nell'ambito di una crisi generale della rappresentanza sindacale al tempo del post-fordismo (33), ha messo in crisi la “costituzione materiale” dei rapporti capitale-lavoro, fondati sulla rappresentanza generale di imprese e lavoratori da parte delle centrali “storiche” ed all'attribuzione ad esse di una rappresentatività oltre i limiti associativi (34) e, con essa, il tradizionale ricorso agli strumenti legali privatistici (35) per estendere l'efficacia dei contratti collettivi ai soggetti non iscritti ai sindacati stipulanti (36).

Sulla base di quest'ultimo nucleo di analisi, appare maturo, quindi, il tempo per una “legge sindacale” (37), in ragione del mutato scenario istituzionale, politico e delle relazioni industriali: in specie per quanto riguarda le modifiche dell'ordinamento sindacale in termini di autoregolazione, l'evoluzione del quadro giuridico-istituzionale, della giurisprudenza costituzionale (38) (favorevoli ad interventi legislativi sulla materia) e nuove elaborazioni teoriche sull'applicazione dell'art. 39 Cost, a testo costituzionale invariato (39).

Note

(1) G. Balandi, Il diritto del lavoro nella pandemia, in Diritto virale. Scenari e interpretazioni delle norme per l'emergenza Covid-19, in Dipartimento di Giurisprudenza, Università degli Studi di Ferrara.

(2) O. Mazzotta, Presentazione, Diritto del lavoro ed emergenza pandemica (a cura di O. Mazzotta), con contributi di M. Brollo, M.T. Carinci, C. Cester, S. D'Ascola, R. Del Punta, V. Ferrante, M. Forziati, A. Maresca, M. Pedrazzoli, A. Perulli, R. Pessi, R. Romei, F. Scarpelli, A. Sgroi, M. Verzaro, C. Zoli, Pacini Giuridica, 2021.

(3) A. Maresca, Contrazione del lavoro e flessibilità dei tempi di lavoro indotte dal covid-19: esperienze e prospettive, in “Rivista italiana di diritto del lavoro”, 2, 2020.

(4) R. Del Punta, Note sugli ammortizzatori sociali ai tempi del covid-19, in “Rivista Italiana di Diritto del Lavoro”, 2, 2020, pag. 251.

(5) A. Pileggi, Una riflessione sul diritto del lavoro alla prova dell'emergenza epidemiologica, in A. Pileggi (a cura di), il diritto del lavoro dell'emergenza epidemiologica, LPO Editrice, 2020, p. 6.

(6) A. Vallebona, Covid: norme per proteggere l'occupazione, in “Massimario di Giurisprudenza del Lavoro”, 2, 2020, p. 443.

(7) M. Ferrera, Le politiche sociali, il Mulino, Bologna, 2019.

(8) C. De Marco, La cassa integrazione guadagni in deroga alla prova del COVID-19, in A. Pileggi (a cura di), il diritto del lavoro dell'emergenza epidemiologica, op. cit., p. 141 e ss.

(9) Le criticità derivanti dal riparto di competenze in materia lavoristica dalla legge n. 3/2001, sono state evidenziate dalla dottrina, con un'ampia produzione scientifica, della quale si citano: M. Roccella, Il lavoro e le sue regole nella prospettiva federalista, il Mulino, Bologna, 2001, M. Rusciano, Il diritto del lavoro italiano nel federalismo, in “Lavoro e Diritto”, 3, 2001; A. Perulli, Federalismo/devolution e flessibilità del lavoro, in “Lavoro e Diritto, 3, 2001; L. Mariucci, Federalismo e diritti del lavoro, in “Lavoro e Diritto”, 3, 2001; A. Bellavista, Ordinamento civile, diritto del lavoro, regionalismo, in “Diritto del Mercato del Lavoro”, 2002; M. Persiani, Devolution e diritto del lavoro, in “Argomenti di Diritto del lavoro”, 1, 2002; P. Tosi, I nuovi rapporti tra Stato e Regioni: la disciplina del contratto di lavoro, in “Argomenti di Diritto del Lavoro”, 3, 2002; L. Zoppoli, La riforma del Titolo V della Costituzione e la regolazione del lavoro nelle pubbliche amministrazioni: come ricomporre i pezzi di un difficile puzzle?, in “Lavoro e Pubblica Amministrazione”, 2002, supplemento; M. Pallini, La modifica del Titolo V della Costituzione: quale federalismo per il diritto del lavoro, in “Rivista Giuridica del Lavoro”, I, 2002; F. Carinci, Riforma costituzionale e diritto del lavoro, in “Argomenti di Diritto del Lavoro”, 1, 2003; A. Garilli, Diritto del lavoro e nuovo assetto dello Stato, in “Rivista Giuridica del Lavoro, 2004; A. Di Stasi (a cura di), Diritto del lavoro e federalismo, Giuffré, Milano, 2004; D. Garofalo, Federalismo e diritto per il lavoro, Cacucci, Bari, 2005; R. Salomone, Il diritto del lavoro nella riforma costituzionale, Cedam, Padova, 2005.

(10) R. Del Punta, Come dovrà essere il diritto del lavoro del post-emergenza da Covid-19?, in Ipsoa, Lavoro e previdenza, Amministrazione del personale, 4 luglio 2020.

(11) P. Passalacqua, Il modello del sindacato comparativamente più rappresentativo nell'evoluzione delle relazioni sindacali, in “Diritto delle Relazioni Industriali”, 2, 2014.

(12) G. Ghezzi, Il sindacato maggiormente rappresentativo: sua evoluzione funzionale, in Lavoro, Impresa e diritto negli anni '80, Quaderno n. 6 di “Critica del Diritto”, 1984.

(13) M. Napoli, I sindacati maggiormente rappresentativi: rigorosità del modello legislativo e tendenze della prassi applicativa, in “Quaderni di Diritto del Lavoro e delle Relazioni Industriali”, n. 5, 1989.

(14) U. Smuraglia, La Costituzione e il sistema del diritto del lavoro. Lineamenti di una teoria generale, Feltrinelli, Milano, 1958, p. 150, laddove l'A., afferma “La ragione fondamentale dell'art. 39 sta dunque soprattutto nell'aver voluto affermare solennemente il principio della libertà sindacale, (….) costituendo un altro cardine del nuovo complesso sistema destinato a regolare non solo i rapporti politici, ma anche i rapporti economici e sociali della Nazione”.

(15) Mi permetto rinviare a M. Ballistreri, Sindacato: autonomia e legge, Giuffré, Milano, 2016.

(16) Si vedano, da ultimo, la l. n. 92/2012 e poi il d.l. n. 76 del giugno 2013, convertito dalla l. n. 99/2013, quindi il Job Act del 2014. Sul punto si veda M. Rusciano, Contrattazione e sindacato nel diritto del lavoro dopo la l. 28 giugno 2012 n. 92, in “Argomenti di Diritto del Lavoro”, 2012.; T. Treu, Flessibilità e tutele nella riforma del lavoro, in “Diritto del Lavoro e Relazioni Industriali”, 2013, fasc. 137, n. 1, spec. 43 ss., e A. Bellavista, Riforma Fornero e autonomia collettiva, in Il diritto del lavoro al tempo della crisi, Atti del XVII Congresso Nazionale AIDLASS, Pisa, 7-9 giugno 2012, Giuffrè, Milano, 2013, p. 539 ss.

(17) F. Carinci, Il lungo cammino per Santiago della rappresentatività sindacale (dal Titolo III dello Statuto dei lavoratori al Testo Unico sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014), in “Diritto delle Relazioni Industriali”, n.2, 2014.

(18) Si veda, tra gli altri, P. Ichino, Quel patto poco utile per la fabbrica, in “La voce.info”, 10 aprile 2018.

(19) G. Giugni, Intervento, in Autonomia collettiva e occupazione, Atti del XII Congresso Nazionale AIDLASS di diritto del lavoro, Milano, 23-25 maggio 1997, Giuffrè, 1998.

(20) P. Passalacqua, Il modello del sindacato comparativamente più rappresentativo nell'evoluzione delle relazioni sindacali, op.cit.

(21) G. Ferraro, L'efficacia soggettiva del contratto collettivo, in “Quaderni della Fondazione Marco Biagi” – Saggi, 2011, n. 2, VI.

(22) R. Pessi, Unità sindacale e autonomia collettiva, Giappichelli, Torino, 2007.

(23) V. Luciani, R. Santagata, Legittimazione dei soggetti sindacali ed efficacia del contratto collettivo, in R. Santucci, L. Zoppoli (a cura di), Contratto collettivo e disciplina dei rapporti di lavoro, Giappichelli, 2004.

(24) P. Campanella, Rappresentatività sindacale: fattispecie ed effetti, Giuffrè, Milano, 2000.

(25) S. Scarponi, Rappresentatività e organizzazione sindacale, Cedam, Padova, 2005.

(26) L. Silvagna, Il sindacato comparativamente più rappresentativo, in “Diritto delle Relazioni Industriali”, n. 2, 1999, p. 211 e ss.

(27) Corte cost. 7 febbraio 1985, n. 34: “Fra i vari parametri costituzionali cui fanno richiamo le ordinanze di rimessione, un primario rilievo spetta al primo comma dell'art. 39: sia perché tutte le ordinanze si riferiscono alla garanzia di libertà della organizzazione sindacale; sia perché la verifica sulla competenza del legislatore a disciplinare i rapporti in questione si presenta logicamente preliminare, rispetto alle indagini sui vizi denunciati in vista degli artt. 3 e 36 della Costituzione. I giudici a quibus riconoscono che l'art. 39 é rimasto finora inattuato, per ciò che riguarda la registrazione dei sindacati e la loro conseguente potestà di "stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce". Ma, non potendosi mettere in dubbio l'immediata efficacia precettiva del primo comma dello stesso articolo, essi ritengono che ne discenda pur sempre un limite alle intromissioni legislative nella disciplina dei rapporti di lavoro”.

(28) G. Fontana, Libertà sindacale in Italia e in Europa. Dai principi ai conflitti, in “WP Massimo D'Antona".INT “, 78/2010, in cui l'A. a proposito del principio di libertà sindacale, così si esprime: “La “libertà sindacale” evoca concettualmente i modelli costituzionali del Novecento, identificandosi con la traiettoria e, in breve, con la storia dell'idea di democrazia che si è sviluppata, nelle sue diverse varianti e caratterizzazioni, in Occidente e in quella sua terra elettiva che è l'Europa. Probabilmente non c'è nessun concetto che dia, così profondamente, il senso della complessa torsione delle società e dei sistemi giuridici nel corso del Novecento, che meglio descriva il passaggio storico dallo Stato di diritto “liberale” ad una vera democrazia sociale garantita da una Costituzione rigida (Sozialstaat)”.

(29) Sul punto si veda B. Caruso, R. De Luca Tamajo, R. Del Punta, M., Marazza, A. Maresca, A. Perulli, R. Romei, F. Scarpelli, V., Speziale, Proposta di intervento legislativo in materia sindacale, in “Rivista Italiana di Diritto del Lavoro”, n. 4, 2015; vari scritti in L. Zoppoli, A. Zoppoli, M. Delfino (a cura di), Una nuova Costituzione per il sistema di relazioni sindacali?, Editoriale Scientifica, Napoli, 2014, parte III.

(30) T. Treu, La contrattazione collettiva in Europa, in “Diritto delle Relazioni Industriali”, 2, 2018.

(31) Per un ventaglio di posizioni in dottrina V. Bavaro, Il salario minimo legale e le relazioni industriali, in www.il diariodellavoro.it, 22 ottobre 2014; A. Bellavista, Il salario minimo legale, in “Diritto delle Relazioni Industriali”, 3, 2014; M. Biasi, Il salario minimo legale nel “Jobs Act”: promozione o svuotamento dell'azione contrattuale collettiva?, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D'Antona”.IT, n. 241/2015; F. Guarriello, Verso l'introduzione del salario minimo legale?, in F. Carinci (a cura di), La politica del lavoro del Governo Renzi, ADAPT Labour Studies, e-Book series n. 40, 2015; M. MagnanI, Salario minimo, in F. Carinci (a cura di), La politica del lavoro del Governo Renzi, ADAPT Labour Studies, e-Book series n. 40, 2015; G. Prosperetti, I minimi salariali: il problema dell'erga omnes, in F. CarincI (a cura di), La politica del lavoro del Governo Renzi, ADAPT Labour Studies, e-Book series n. 40, 2015; V. Speziale, Il salario minimo legale, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D'Antona”.IT, n. 244/2015; A. Vallebona, Sul c.d. salario minimo garantito, in Massimario di Giurisprudenza del Lavoro, 2008, 5, 326. 53; M. Ballistreri, “Compenso minimo legale”, subordinazione e contrattazione collettiva, in “Variazioni su Temi di Diritto del Lavoro”, 3, 2019.

(32) ILO, Minimum wages: wage-fixing machinery, application and supervision, Report III, International Labour Conference, 79th Session, Ginevra, 1992.

(33) Si veda l'ultimo lavoro di L. Mariucci, Giuslavorismo e sindacati nell'epoca del tramonto del neoliberismo, in B. Caruso, R. Del Punta e T. Treu (a cura di), Il diritto del lavoro e la grande trasformazione. Valori, attori, regolazione, Il Mulino, Bologna, 2020.

(34) In questa prospettiva si veda O. Khan-Freund, con il classico Intergroup Conflicts and their Settlement, in “The British Journal of Sociology”, 1954.

(35) A. Tursi, Autonomia contrattuale e contratto collettivo di lavoro, Giappichelli, Torino, 1996.

(36) R. Scognamiglio, La dimensione sindacale/collettiva del diritto del lavoro, in Studi in onore di Tiziano Treu, Lavoro, istituzioni, cambiamento, vol. I, Jovene, Napoli, 2011.

(37) L. Mariucci, Gli eterni ritorni: dentro, fuori o oltre l'art. 39 della Costituzione, in “W.P. Massimo D'Antona.IT”, n. 207/2014.

(38) Corte costituzionale, n. 231/2013, che sul punto afferma: “L'intervento additivo così operato dalla Corte, in coerenza con il petitum dei giudici a quibus e nei limiti di rilevanza della questione sollevata, non affronta il più generale problema della mancata attuazione complessiva dell'art. 39 Cost., né individua – e non potrebbe farlo – un criterio selettivo della rappresentatività sindacale ai fini del riconoscimento della tutela privilegiata di cui al Titolo III dello Statuto dei lavoratori in azienda nel caso di mancanza di un contratto collettivo applicato nell'unità produttiva per carenza di attività negoziale ovvero per impossibilità di pervenire ad un accordo aziendale. Ad una tale evenienza può astrattamente darsi risposta attraverso una molteplicità di soluzioni. Queste potrebbero consistere, tra l'altro, nella valorizzazione dell'indice di rappresentatività costituito dal numero degli iscritti, o ancora nella introduzione di un obbligo a trattare con le organizzazioni sindacali che superino una determinata soglia di sbarramento, o nell'attribuzione al requisito previsto dall'art. 19 dello Statuto dei lavoratori del carattere di rinvio generale al sistema contrattuale e non al singolo contratto collettivo applicato nell'unità produttiva vigente, oppure al riconoscimento del diritto di ciascun lavoratore ad eleggere rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro. Compete al legislatore l'opzione tra queste od altre soluzioni".

(39) Esiste in questa prospettiva una vasta e significativa produzione dottrinaria. Si citano solo alcuni autori, chiedendo venia per le ampie omissioni: M. D'Antona, Il quarto comma dell'art. 39 della Costituzione, oggi, in “Giornale di Diritto del Lavoro e di Relazioni Industriali”, 1998; G. Proia, Francesco Santoro Passarelli e l'autonomia collettiva: prima e dopo, in “Argomenti di Diritto del Lavoro”, n.1, 2009; E. Ghera, L'art. 39 della Costituzione e il contratto collettivo, in “W.P. Massimo D'Antona.IT”, 202/2014; M. Marazza, Dalla “autoregolamentazione” alla “legge sindacale”? La questione dell'ambito di misurazione della rappresentatività sindacale, in “W.P. Massimo D'Antona.IT”, 209/2014.

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