I valori medi dei parametri forensi non sono vincolanti
26 Febbraio 2021
Massima
In tema di liquidazione delle spese processuali successiva al d.m. 55/2014, non trova fondamento normativo un vincolo alla determinazione secondo i valori medi ivi indicati, dovendo il giudice solo quantificare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe, a loro volta derogabili con apposita motivazione. Il caso
Il Ministero dei Trasporti proponeva ricorso per Cassazione avverso la sentenza con cui il Tribunale di Roma aveva dichiarato inammissibile, per tardività, l'opposizione agli atti esecutivi proposta avverso l'ordinanza di assegnazione di somme pignorate in suo danno ed a favore dell'impresa Alfa. Il ricorrente, in particolare, con l'unico motivo di gravame, assumeva che, ai fini del decorso del termine per proporre opposizione ex art. 617 c.p.c., rilevasse solo la conoscenza legale del provvedimento del giudice dell'esecuzione, e non anche quella di fatto. Anche l'impresa Alfa proponeva ricorso incidentale, lamentando la violazione e falsa applicazione del d.m. 55/2014, atteso che il Tribunale adito aveva liquidato, a titolo di spese giudiziali, un importo inferiore al minimo previsto dallo scaglione di riferimento dei parametri vigenti, senza alcuna motivazione sul punto.
La questione
Nella pronuncia in commento la Suprema Corte si sofferma su due questioni: 1) la rilevanza della conoscenza di fatto del provvedimento del giudice dell'esecuzione ai fini della decorrenza del termine perentorio di venti giorni per la proposizione dell'opposizione agli atti esecutivi; 2) la necessità che il giudice motivi specificamente la liquidazione delle spese giudiziali in una misura che oltrepassi il minimo o il massimo dei parametri tabellari. Le soluzioni giuridiche
In ordine al ricorso principale, lo stesso si rivela infondato, atteso che, per ormai costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di opposizione agli atti esecutivi, ai fini del decorso del termine perentorio di venti giorni previsto dall'art. 617 c.p.c. per la proposizione dell'opposizione, valgono sia il principio per cui il tempo del compimento dell'atto coincide con quello in cui l'esistenza di esso è resa palese alle parti del processo esecutivo, e quindi con il momento in cui l'interessato ha avuto legale conoscenza dell'atto medesimo ovvero di un atto successivo che necessariamente lo presupponga, sia il principio della piena validità della conoscenza di fatto dell'atto stesso in capo all'interessato (Cass. civ., 30 aprile 2009, n. 10099; Cass. civ., 17 marzo 2010, n. 6487; Cass. civ., 13 maggio 2010, n. 11597; Cass. civ., 30 dicembre 2014, n. 27533; Cass. civ., 31 agosto 2015, n. 17306; Cass. civ., 6 marzo 2018, n. 5172; Cass. civ., 24 maggio 2018, n. 13043; Cass. civ., 26 giugno 2020, n. 12920). Nella specie, la «conoscenza di fatto» da parte dell'Avvocatura dello Stato era stata ravvisata, con accertamento in fatto correttamente operato dal tribunale e quindi non sindacabile in sede di legittimità, nella nota con cui il Ministero debitore le aveva comunicato l'avvenuta emissione dell'ordinanza di assegnazione. In ordine alla seconda questione, oggetto del ricorso incidentale proposto dall'impresa Alfa, lo stesso risulta, invece, meritevole di accoglimento, alla luce dei principi di diritto secondo cui, in tema di liquidazione delle spese processuali successiva al d.m. 55/2014, non trova fondamento normativo un vincolo alla determinazione secondo i valori medi ivi indicati, dovendo il giudice solo quantificare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe, a loro volta derogabili con apposita motivazione (Cass. civ., 31 gennaio 2017, n. 2386; Cass. civ., 9 novembre 2017, n. 26608; Cass. civ., 11 dicembre 2017, n. 29606), ragion per cui l'esercizio del potere discrezionale del giudice contenuto tra i valori minimi e massimi non è soggetto a sindacato in sede di legittimità, attenendo pur sempre a parametri fissati dalla tabella, mentre la motivazione è doverosa allorquando il giudice medesimo decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo necessario, in tal caso, che siano controllabili sia le ragioni dello scostamento dalla «forcella» di tariffa, sia le ragioni che ne giustifichino la misura (Cass. civ., 10 maggio 2019, n. 12537). Nel caso di specie, a fronte di un valore della causa di opposizione agli atti esecutivi (desumibile dall'importo di cui era contestata l'assegnazione) di € 18.296.471,65, era stata liquidata, a titolo di spese processuali, la somma di € 24.000,00, inferiore al minimo dei parametri dello scaglione di riferimento, pari ad € 27.668,00, senza alcuna adeguata motivazione. La Suprema Corte, quindi, in accoglimento del ricorso incidentale, ha cassato la sentenza impugnata, con rinvio al tribunale di Roma, in persona di diverso magistrato, affinchè venisse rinnovata la liquidazione in misura compresa tra i valori minimi e massimi dei parametri tabellari, ovvero venisse adeguatamente motivato lo scostamento da tali limiti. Osservazioni
La pronuncia in esame appare condivisibile, in relazione ad entrambi i principi in essa ribaditi. Soffermandoci sulla tematica della liquidazione delle spese giudiziali, deve rilevarsi che, già in relazione ai parametri approvati con il d.m. 140/2012, si era sostenuto che, in difetto di specifica indicazione, non potesse presumersi che la somma liquidata fosse stata parametrata dal giudice ai valori medi, rilevando unicamente che la liquidazione fosse contenuta entro i limiti, massimo e minimo, delle tariffe medesime, peraltro nemmeno vincolanti, come si desumeva dall'art. 1 comma 7 del menzionato decreto (Cass. civ., 16 settembre 2015, n. 18167). E' divenuto poi ius receptum che la determinazione dei compensi di avvocato, costituendo esercizio di un potere discrezionale del giudice, qualora sia contenuta tra il minimo ed il massimo della tariffa, non richieda una specifica motivazione e non possa formare oggetto di sindacato in sede di legittimità (Cass. civ., 9 ottobre 2015, n. 20289). In particolare, con riferimento ai parametri di cui al più recente d.m. 55/2014, ed all'asserito vincolo del giudice alla determinazione media del compenso professionale, si è rilevato che tale vincolo non trova fondamento nella normativa, secondo la quale (artt. 1 e 4) il giudice deve soltanto liquidare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe (Cass. civ., 31 gennaio 2017, n. 2386). In relazione al precedente d.m. 140/2012 (che ha fatto venir meno la distinzione tra onorari di avvocato e diritti di procuratore), si è anche precisato che il giudice era tenuto ad indicare le concrete circostanze che giustificavano la deroga ai minimi e massimi ivi stabiliti (Cass. civ., 16 settembre 2015, n. 18167; Cass. civ., 11 gennaio 2016, n. 253; Cass. civ., 3 agosto 2016, n. 16225). Pertanto, l'onere di motivazione, gravante sul giudice, opera solo qualora questi voglia discostarsi dai valori minimi e massimi della tabella, essendo necessario, in tale ipotesi, indicare le ragioni dello scostamento dalla «forcella» di tariffa e quelle che ne giustifichino la misura concretamente applicata (Cass. civ., 10 maggio 2019, n. 12537). Né la violazione di tali principi può escludersi in ragione del mancato deposito di una specifica nota spese, posto che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, il regolamento delle spese di lite è consequenziale ed accessorio rispetto alla definizione del giudizio, potendo la condanna essere emessa, a carico del soccombente ex art. 91 c.p.c., anche d'ufficio e pure se non sia stata prodotta la nota spese prevista dall'art. 75 disp. att. c.p.c. (Cass. civ., 28 febbraio 2012, n. 3023). Anzi, in presenza di una nota spese specifica prodotta dalla parte vittoriosa, il giudice non può rideterminare globalmente i compensi in misura inferiore a quelli esposti, ma deve motivare adeguatamente l'eliminazione o la riduzione delle singole voci (Cass. civ., 28 luglio 2017, n. 18905). È peraltro onere del ricorrente in cassazione, a pena d'inammissibilità del ricorso, specificare analiticamente le voci tariffarie e gli importi in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore, nonché le singole spese contestate o dedotte come omesse, in modo da consentire il controllo di legittimità senza necessità di ulteriori indagini (Cass. civ., 19 novembre 2014, n. 24635). Inoltre, il giudice deve liquidare in modo distinto spese ed onorari, in relazione a ciascun grado del giudizio, per consentire alle parti di controllare i criteri di calcolo adottati e, di conseguenza, le ragioni per le quali sono state eventualmente ridotte le richieste presentate nelle note spese (Cass. civ., 30 settembre 2016, n. 19623; Cass. civ., 25 novembre 2011, n. 24890). Tuttavia, è consentito al giudice liquidare le spese e gli onorari in un'unica somma se ha cura di specificare la voce degli onorari che concorre a formare tale somma, dato che tale specificazione consente anche di determinare (per differenza) l'importo della somma liquidata per le spese, in quanto così viene permesso alla parte un controllo sulla legittimità o meno della disposta liquidazione, non potendosi ammettere che il giudice del merito sia onerato, in mancanza del deposito della nota spese ex art. 75 disp. att. c.p.c., a indicare specificamente le singole voci delle spese e degli onorari e quindi, sostanzialmente, a sostituirsi all'attività procuratoria della parte e, di fatto, a compilare ex officio la nota delle spese (Cass. civ., 3 ottobre 2005, n. 19269). Infine, va rammentato che i parametri introdotti dal d.m. 55/2014, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti, trovano applicazione ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto, ancorché la prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta nella vigenza della pregressa regolamentazione, purché a tale data la prestazione professionale non sia stata ancora completata. Ne consegue che, qualora il giudizio di primo grado si sia concluso con sentenza prima della entrata in vigore del detto d.m., non operano i nuovi parametri di liquidazione, dovendo le prestazioni professionali ritenersi esaurite con la sentenza, sia pure limitatamente a quel grado; nondimeno, in caso di riforma della decisione, il giudice dell'impugnazione, investito ai sensi dell'art. 336 c.p.c. anche della liquidazione delle spese del grado precedente, deve applicare la disciplina vigente al momento della sentenza d'appello, atteso che l'accezione omnicomprensiva di «compenso» evoca la nozione di un corrispettivo unitario per l'opera prestata nella sua interezza (Cass. civ., 10 dicembre 2018, n. 31884; Cass. civ., 19 ottobre 2016, n. 21205). Riferimenti
|