Utili distribuiti dalla Svizzera: quale regime tributario

04 Marzo 2021

In caso di distribuzione di dividendi da parte di una società estera, è necessario, per determinare il corretto regime tributario da parte del soggetto italiano, in primis, stabilire se le partecipazioni estere sono assimilate a quelle italiane. In caso di esito positivo, si dovrà capire se l'utile distribuito si è formato in un periodo di imposta in cui il soggetto estero era considerato o meno residente in un Paese a fiscalità privilegiata. Così si è espressa l'Agenzia delle Entrate, con la risposta ad interpello del 12 gennaio 2021, n. 38, occupandosi del caso di dividendi distribuiti da una società svizzera ad una persona fisica italiana.
Premessa

Con la risposta a interpello n. 38 del 12 gennaio 2021, l'Agenzia delle Entrate si è occupata del caso di una persona fisica residente in Italia, che possiede da numerosi anni una partecipazione in una società svizzera e deve ricevere dei dividendi.

In particolare, il soggetto istante ha chiesto di conoscere il trattamento fiscale ai fini delle imposte sui redditi applicabile agli utili in caso di distribuzione da parte della società estera, facendo presente che la stessa, per tutte le annualità ricomprese nel periodo temporale specificatamente individuato, ha mantenuto la propria residenza nel Canton Ticino e ha versato le imposte sui redditi previste dalla normativa svizzera, sia a livello federale, che a livello cantonale e comunale, nella misura ordinaria, non beneficiando di alcuno dei regimi speciali che possono o potevano trovare applicazione in tale Paese, al ricorrere di determinati presupposti (quale, ad esempio, il regime di tassazione previsto per le holding).

Pertanto, ha chiesto di precisare se gli stessi debbano essere assoggettati a tassazione "ordinaria" ai sensi dell'articolo 47 del Testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (di seguito TUIR), in quanto utili non provenienti da Paesi a fiscalità privilegiata.

In merito alle società svizzere che liquidano le imposte in misura ordinaria, recentemente è stato confermato che dividendi corrisposti a holding svizzere possono beneficiare del regime di esenzione da ritenuta previsto dall'articolo 9 dell'accordo fra Svizzera e Ue sullo scambio automatico di informazioni finanziarie nella versione modificata dal protocollo di modifica dell'accordo tra la Comunità europea e la Confederazione svizzera firmato il 27 maggio 2015 ed entrato in vigore il 1° gennaio 2017 (così: risposta ad interpello del 2 marzo 2021, n. 135).

Prima di esaminare le conclusioni a cui è arrivata l'Agenzia delle Entrate, con la risposta 38/2021, è necessario soffermarsi brevemente sulla relativa normativa che, nel corso degli anni, ha subito numerose modifiche.

L'evoluzione della normativa in merito all'individuazione dei Paesi c.d. «black list»

Si ricorda che, in deroga al regime ordinario, gli utili provenienti da territori a regime fiscale privilegiato concorrono integralmente alla formazione del reddito complessivo, così come previsto dagli artt. 47, quarto comma, e 89, terzo comma, del TUIR.

Al fine di determinare il corretto regime fiscale di tali dividendi, è necessario stabilire se il Paese da cui provengono è considerato a tassazione privilegiata o meno.

Prima dell'ultima modifica normativa, di cui ci si soffermerà di seguito, per la verifica in merito alla qualifica del Paese con regime di fiscalità ordinaria o meno, si doveva fare riferimento a quanto previsto dalla disciplina sulle c.d. CFC (anch'essa recentemente modificata dalle direttive ATAD), e in particolare agli Stati o territori di cui all'art. 167, quarto comma, del TUIR.

Quest'ultima disposizione, però, ha subito numerose modifiche nel corso degli anni (per un esame più approfondito delle modifiche normative alla disciplina CFC si rinvia alla circ. Assonime 14 giugno 2016, n. 17).

Infatti, non va dimenticato che, dalla data di entrata in vigore della disciplina CFC e fino al 31 dicembre 2014, l'individuazione degli Stati e territori a regime fiscale privilegiato si desumeva dall'elenco contenuto nel D.M. 21 novembre 2001, n. 429 (c.d. black list).

In tale contesto normativo e limitatamente all'esercizio 2015 era stato inserito l'art. 1, comma 680, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, che aveva modificato i criteri di determinazione dei regimi fiscali privilegiati.

In particolare, era stato novellato il quarto comma dell'art. 167 del TUIR stabilendo che, ai fini dell'individuazione dei regimi fiscali privilegiati, da inserire in decreti ministeriali, per “livello di tassazione sensibilmente inferiore” si intendesse un livello di tassazione inferiore al 50 per cento di quello applicato in Italia.

Conseguentemente era sorta la necessità di adeguare il decreto n. 429/2001 in modo da individuare gli Stati e i territori da considerare paradisi fiscali sulla base dei nuovi parametri normativi e, per dare attuazione alla modifica normativa, erano stati emanati i seguenti due decreti ministeriali:

- D.M. 30 marzo 2015, che aveva abrogato l'art. 3 del citato decreto n. 429 (ove erano elencati gli Stati e i territori facenti parte della black list limitatamente a determinati soggetti e attività) e che aveva rimosso dall'art. 1 della black list tre Stati: Filippine, Malesia e Singapore;

- D.M. 18 novembre 2015, che aveva espunto dalla black list anche Hong Kong.

La disposizione aveva precisato, inoltre, che si consideravano in ogni caso privilegiati i regimi fiscali speciali che consentivano un livello di tassazione inferiore al 50 per cento di quello applicato in Italia, indipendentemente dalla circostanza che tale regime fosse previsto da un ordinamento estero che applicava un regime generale di imposizione non inferiore al suddetto limite percentuale.

Pertanto, relativamente all'anno 2015, non era sufficiente accertarsi che la partecipata estera fosse compresa tra i soggetti residenti o localizzati in Paesi inclusi nel decreto n. 429/2001, ma era anche necessario verificare se, indipendentemente dalla presenza nella black list del Paese interessato, l'entità controllata fosse localizzata in uno Stato o territorio dove era assoggettata a un regime fiscale speciale.

Al fine di dare uno strumento di ausilio al contribuente per potere adempiere a tale nuova verifica, riducendo l'incertezza dell'applicazione della norma, era prevista l'emanazione di un provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate che elencasse, senza pretesa di tassatività ed esaustività, alcuni regimi speciali.

Malgrado l'imminente emanazione (si veda comunicato stampa del Ministero dell'economia e delle finanze 1° aprile 2015, n. 77) ciò non è mai avvenuto, e tale mancanza non ha permesso ai contribuenti di avere un importante punto di riferimento per individuare la natura di tali regimi.

Infine la legge 28 dicembre 2015, n. 208 ha modificato nuovamente il quarto comma dell'art. 167 del TUIR che, nella formulazione precedente a quella attuale, prevedeva che: “I regimi fiscali, anche speciali, di Stati o territori si considerano privilegiati laddove il livello nominale di tassazione risulti inferiore al 50 per cento di quello applicabile in Italia”.

I cambiamenti della normativa sulla tassazione dei dividendi provenienti da Paesi c.d. «black list»

A seguito di questi cambiamenti nei criteri per individuare il territorio di provenienza degli utili distribuiti, il legislatore ha dovuto adeguare anche la normativa sulla determinazione degli importi imponibili.

Infatti, anche nella normativa precedente, i dividendi provenienti da tali territori erano tassati al 100 per cento del loro importo a meno che:

- fossero già stati imputati al socio, secondo le disposizioni delle CFC;

- ovvero fosse stata data dimostrazione che dalle partecipazioni non era stato conseguito, sin dall'inizio del periodo di possesso, l'effetto di localizzare i redditi in Stati o territori in cui sono sottoposti a regimi fiscali privilegiati (c.d. “seconda esimente» del regime dei dividendi”).

Non essendoci più una lista precisa dei Paesi c.d. black list e non essendo stata introdotta una disposizione transitoria, si era posto il tema di come si dovevano qualificare i dividendi provenienti da un regime fiscale privilegiato, ovvero, se sulla base delle disposizioni in vigore al momento della percezione del provento in capo al socio italiano, oppure con riferimento al periodo di maturazione dell'utile.

Con la Circolare 4 agosto 2016, n. 35/E, l'Agenzia delle Entrate ha fornito alcuni chiarimenti in merito alla normativa sulle CFC contenuta nell'art. 167 del TUIR, così come sopra modificato, occupandosi anche della tassazione dei dividendi c.d. black list.

Dalla lettura di tale documento, erano emerse delle problematiche in merito alla tassazione dei dividendi, tra cui quella dell'imposizione delle riserve maturate in periodi di imposta in cui il Paese estero non era incluso nelle liste contenute nei D.M. sopracitati; con il rischio che i relativi utili avrebbero dovuto essere tassati integralmente, anche nel caso in cui la società estera, in base alla precedente disciplina e al momento del realizzo degli utili di esercizio, non era nelle liste dei regimi fiscali privilegiati. Infatti, se al momento del pagamento del dividendo formato con utili precedenti, la società estera, in base alle nuove norme, si doveva considerare residente in un Paese c.d. black list, in quanto avente una tassazione inferiore a quella italiana, l'imposizione di tale riserve sarebbe stata totale.

È evidente come tale interpretazione avrebbe potuto danneggiare soprattutto i soggetti che partecipavano in società estere, che avevano accumulato utili nei periodi d'imposta in cui il relativo Paese non era inserito nella black list.

Come rilevato correttamente nell'interrogazione parlamentare a risposta immediata in Commissione 5-10317 del 18 gennaio 2017, la norma, così come interpretata dall'Agenzia delle entrate, avrebbe finito per distorcere il suo stesso scopo originario, colpendo anche coloro che operano e investono realmente in Stati o territori con situazioni economiche più arretrate o svantaggiate; operando in territori economicamente «depressi» o in via di sviluppo è, infatti, frequente che vengano offerti incentivi all'insediamento industriale sotto forma di “tax-holiday” o di riduzioni d'imposta temporanee, condizionate però all'esecuzione di investimenti e/o all'incremento occupazionale.

Per evitare tale discriminazione, parte della dottrina (si rinvia a F. GALLIO, La tassazione dei dividendi provenienti dai nuovi «Paradisi fiscali» secondo l'Agenzia delle Entrate: alcune criticità, in IlTributario.it, e ID., Le soluzioni ai possibili effetti distorsivi della disciplina sui dividendi black list, in Corriere tributario) aveva suggerito che sarebbe stato più corretto sostenere che le riserve di utili, formate in periodi d'imposta in cui la società non era inserita nella lista, venissero in ogni caso tassate in capo al socio italiano con l'imposizione ordinaria dei dividendi.

E al fine di tenere distinti tali utili da quelli realizzati successivamente all'entrata in vigore della nuova normativa, si sarebbe potuto richiedere di tenere memoria del periodo di formazione delle riserve distribuite dalla società estera e, in caso di mancanza di codesto riscontro documentale, di presumere distribuiti al socio residente, in via prioritaria, gli utili formati nei periodi agevolati.

Tale criterio non solo avrebbe reso più agevole per il socio italiano dimostrare che i dividendi formati fino al 2014 non devono essere tassati integralmente, dal momento che la relativa verifica si limiterebbe all'accertamento del mancato inserimento del Paese di residenza della società estera nella lista ex D.M. 21 novembre 2001, ma anche avrebbe evitato che, per tali soggetti, la nuova normativa di fatto venisse applicata retroattivamente. Infatti era evidente che, secondo l'impostazione dell'Agenzia delle entrate, il socio italiano avrebbe dovuto effettuare la verifica, in merito alla congruità della tassazione, fin dall'inizio del possesso della partecipazione estera e, dunque, in anni in cui era in vigore una differente disciplina e lo Stato non era inserito nella black list. Senza dimenticare che tale adempimento avrebbe potuto essere richiesto anche per anni in cui i termini per la conservazione dei documenti contabili e fiscali erano spirati.

Secondo tale suggerimento si sarebbe trattato, in altri termini, di consentire di applicare un principio simile a quello previsto per gli utili corrisposti da società residenti al socio persona fisica (non imprenditore), che, nel caso di partecipazioni qualificate, concorrevano alla formazione del reddito complessivo del contribuente nella misura del 58,72 per cento o del 49,72 per cento se relativi a utili prodotti, rispettivamente, dal 1° gennaio 2017 e dal 1° gennaio 2008, ovvero del 40 per cento se relativi a utili prodotti fino all'esercizio in corso al 31 dicembre 2007.

Con la legge di bilancio 2018 (legge 27 dicembre 2017, n. 205) sono state apportate modifiche a suddetto regime che hanno ovviato ad alcune di tali problematiche.

In particolare, il comma 1007 della legge n. 205/2017 ha precisato espressamente che gli utili percepiti dal periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 non si considerano provenienti da Stati o territori a regime fiscale privilegiato se: - maturati in periodi d'imposta antecedenti a quello in corso al 31 dicembre 2014, in cui le società partecipate erano residenti in Paesi non inclusi nella black list di cui al D.M. 21 novembre 2001 (unico criterio all'epoca vigente); - maturati in periodi d'imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2014 in Stati o territori non a regime fiscale privilegiato e successivamente percepiti in periodi d'imposta in cui risultano integrate le condizioni di cui all'art. 167, quarto comma, del TUIR.

Secondo l'Agenzia delle Entrate (con il principio di diritto n. 17 del 29 maggio 2019) la novella si applica esclusivamente ai casi in cui, in presenza di distribuzione di utili pregressi, muti la qualificazione dello Stato di residenza della società partecipata: da Paese considerato a tassazione ordinaria a Paese a fiscalità privilegiata.

Non si applicherebbe, invece, nell'ipotesi inversa, ovvero nel caso in cui la maturazione degli utili è avvenuta in periodi d'imposta nei quali le società partecipate erano residenti o localizzate in Stati o territori inclusi nel D.M. 21 novembre 2001 e la percezione degli stessi avviene quando le predette società sono da ritenersi residenti o localizzate in Stati o territori non a regime fiscale privilegiato. In tal caso resterebbero validi i chiarimenti forniti nella citata circolare n. 35/E/2016.

In altri termini, se nel momento di maturazione dell'utile la società risulta paradisiaca, si deve valutare se il Paese è paradisiaco al momento della percezione. Qualora, invece, il Paese non è paradisiaco al momento della percezione, si deve valutate la natura paradisiaca al momento della maturazione applicando le regole vigenti al momento della percezione e non della maturazione.

Infine, per quanto riguarda le società di capitali, il comma 1009 della medesima legge n. 205/2017 ha modificato il terzo comma dell'art. 89 del TUIR, stabilendo che gli utili provenienti da Stati o territori a regime fiscale privilegiato sono esclusi dalla formazione del reddito del percipiente per il 50 per cento del loro ammontare, a condizione che sia dimostrato, anche a seguito di interpello, l'effettivo svolgimento di un'attività industriale e commerciale da parte del soggetto non residente, come attività principale, nel mercato dello Stato e del territorio di insediamento. Limitatamente alla fattispecie soprariportata, viene riconosciuto al soggetto controllante residente nel territorio dello Stato italiano un credito d'imposta ai sensi dell'art. 165 delTUIR in ragione delle imposte assolte dalla partecipata sugli utili maturati durante il periodo di possesso della partecipazione, riproporzionato alla quota imponibile degli utili conseguiti e nei limiti dell'imposta italiana relativa a tali utili.

La nuova normativa

A seguito del recepimento delle Direttive europee c.d. ATAD (D.Lgs. 29 novembre 2018, n. 142), ai fini della verifica se un dividendo proviene o meno da un Paese privilegiato, a partire dal 2019, non si deve più fare riferimento all'art. 167, quarto comma, del TUIR, ma al nuovo art. 47-bis, che prevede un diverso criterio per l'individuazione delle entità estere a regime fiscale privilegiato a seconda che la partecipazione nell'entità estera sia o no di controllo ai sensi del nuovo secondo comma dell'art. 167 (per un approfondimento si rinvia anche a circolare informativa n. 2/2019 del 4 ottobre 2019 del Consorzio Studi e ricerche fiscali).

In particolare, in caso di controllo, è necessario verificare se il soggetto controllato sia assoggettato o meno a tassazione effettiva inferiore alla metà di quella a cui sarebbe stato soggetto qualora fosse residente in Italia. Al contrario, in mancanza del requisito del controllo, è necessario verificare se il livello nominale di tassazione risulti o meno inferiore al 50% di quello applicabile in Italia, tenendo conto dei regimi speciali.

Si deve ricordare che il nuovo art. 47-bis fa riferimento ai regimi fiscali di Stati o territori diversi da quelli appartenenti all'Unione europea ovvero da quelli aderenti allo Spazio economico europeo.

La tassazione integrale del dividendo non si applica nel caso in cui gli stessi utili siano già stati imputati al socio ai sensi del sesto comma del nuovo art. 167 o sia dimostrato, anche a seguito dell'esercizio dell'interpello di cui al terzo comma dell'art. 47-bis, il rispetto, sin dal primo periodo di possesso della partecipazione, della condizione di cui al secondo comma, lett. b) del medesimo articolo; ovvero che dalle partecipazioni non consegua l'effetto di localizzare i redditi in Stati o territori a regime fiscale privilegiato, come sopra definiti.

Ove si dimostri quanto richiesto dalla lett. a) del secondo comma del medesimo art. 47-bis, ovvero che il soggetto non residente svolga un'attività economica effettiva mediante l'impiego di personale, attrezzature, attivi e locali, ai sensi del nuovo art. 47, comma 4, per i soggetti IRPEF è riconosciuto un credito d'imposta relativamente alle imposte pagate all'estero dal soggetto partecipato in proporzione degli utili conseguiti e nei limiti dell'imposta italiana relativa a tali utili; per i soggetti IRES, invece, il nuovo terzo comma dell'art. 89 prevede che il dividendo concorra alla formazione del reddito imponibile per il 50% del suo ammontare (anziché del 5 per cento nel caso in cui sia dimostrato quanto previsto dal secondo comma, lett. b) dell'art. 47-bis), con riconoscimento di un credito d'imposta in proporzione alla quota imponibile degli utili conseguiti (50 per cento) e nei limiti dell'imposta italiana relativa a tali utili.

La risposta all'istanza di interpello

Con la risposta all'interpello in esame, l'Agenzia delle Entrate ha ricordato che l'applicazione del regime fiscale dei dividendi agli utili di fonte estera è condizionata all'assimilazione delle azioni estere a quelle italiane prevista a norma dell'art. 44, comma 2, lettera a), del TUIR, in presenza della indeducibilità della relativa remunerazione in sede di determinazione del reddito nello Stato estero della società distributrice.

In merito al trattamento fiscale degli utili da partecipazione, l'articolo 47 del TUIR prevede un regime di tassazione differente dei dividendi percepiti da soggetti residenti in Italia in relazione a partecipazioni detenute in società non residenti a seconda che essi provengano o meno da Paesi qualificabili come a Pagina fiscalità privilegiata.

Infatti, il comma 4 di tale disposizione stabilisce, relativamente agli utili percepiti da persone fisiche residenti al di fuori dell'esercizio di attività di impresa (nonché agli utili percepiti da persone fisiche titolari di imprese commerciali, in virtù del rinvio contenuto nell'art. 59 del TUIR, il concorso integrale alla formazione del reddito imponibile del socio residente degli utili provenienti da soggetti residenti in Stati o territori a regime fiscale privilegiato, qualora non abbiano già concorso a formare il reddito imputato ai soci per trasparenza. Su tali utili la ritenuta alla fonte, prevista dall'art. 27 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, è operata a titolo d'acconto sull'intero importo delle remunerazioni, sempreché le partecipazioni non siano negoziate in mercati regolamentati. Tali redditi andranno poi indicati dal contribuente nel quadro RL del Modello Redditi PF.

Nel caso in cui non si tratti di utili provenienti da Paesi c.d. “black list”, viene ricordato che, a decorrere dal 1° gennaio 2018, su tali utili è prevista la tassazione a titolo d'imposta con aliquota del 26 per cento, ai sensi del citato art. 27 del d.P.R. n. 600 del 1973, essendo stata equiparata la tassazione dei dividendi derivanti da partecipazioni qualificate a quelle non qualificate. Qualora tali utili non siano assoggettati a ritenuta a titolo d'imposta da parte di un sostituto o di un intermediario, gli stessi dovranno essere indicati dal contribuente nel quadro RM del Modello Redditi PF ed essere assoggettati ad imposta sostitutiva nella misura del 26 per cento, senza il riconoscimento del credito di imposta per quella pagata all'estero di cui all'art. 165 del TUIR. Secondo l'Agenzia delle Entrate, infatti, la suddetta equiparazione si applica anche agli utili e ai proventi equiparati di fonte estera derivanti da soggetti residenti in Paesi che non sono considerati a regime fiscale privilegiato.

Inoltre, anche per le partecipazioni qualificate detenute in società estere, si deve applicare il regime transitorio previsto per quelle detenute in società italiane.

In merito, si ricorda che è stato previsto un regime transitorio per gli utili prodotti fino all'esercizio in corso al 31 dicembre 2019 la cui distribuzione è deliberata entro il 31 dicembre 2022, dato che la nuova disciplina si applica ai dividendi percepiti a partire dal 1° gennaio 2020.

Tuttavia, in via transitoria, agli utili derivanti da partecipazioni in società ed enti soggetti all'IRES, formatesi con utili prodotti fino all'esercizio in corso al 31 dicembre 2019, deliberati entro il 31 dicembre 2022, continua ad applicarsi la disciplina previgente a quella prevista dalla legge finanziaria 2018, ossia sono tassati in capo ai soci:

- nel limite del 40%, per gli utili formatisi fino all'esercizio in corso al 31 dicembre 2007;
nel limite del 49,72%, per gli utili formatisi dopo l'esercizio in corso al 31 dicembre 2007 e sino all'esercizio in corso al 31 dicembre 2016;

- nel limite del 58,14%, per gli utili formatisi dall'esercizio in corso al 31 dicembre 2017 e fino all'esercizio in corso al 31 dicembre 2019.

Come precisato dall'Agenzia delle Entrate, nell'ipotesi in cui gli utili esteri siano percepiti tramite un sostituto d'imposta o un intermediario, questi applicheranno la ritenuta a titolo di acconto ai sensi del previgente comma 4 dell'articolo 27 del d.P.R. n. 600 del 1973, sul cosiddetto "netto frontiera", secondo quanto disposto dal successivo comma 4-bis (così la Risoluzione dell'Agenzia delle Entrate del 26 giugno 2019, n. 61).

Pertanto, è importante definire il regime fiscale di tali proventi e, per effettuare tale verifica, in forza di quanto previsto dalle disposizioni della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (legge di bilancio 2018), di cui si è parlato sopra, è necessario accertare, se nel periodo di "formazione" dell'utile, la società si qualifica residente in uno Stato a fiscalità ordinaria secondo le regole vigenti nelle rispettive annualità di imposta.

In altri termini, con riferimento ai dividendi che saranno distribuiti attingendo dalle riserve pregresse di utili è necessario comprendere, con riferimento a ciascun periodo d'imposta, se gli utili (che si sono formati in capo alla società svizzera) siano qualificabili o meno come dividendi provenienti da un Paese a fiscalità privilegiata.

Infine, è opportuno ricordare che l'Associazione Italiana Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Milano , occupandosi della problematica della tassazione dei dividendi esteri percepiti da persone fisiche, ha rilevato e segnalato alle autorità europee gli aspetti discriminatori dell'imposizione gravante sulle persone fisiche che incassano dividendi di fonte estera senza l'intervento di un sostituto d'imposta italiano (cfr. documento denominato: “ denuncia n. 15 – fiscalità diretta del 3 dicembre 2020: illegittimità comunitaria del regime fiscale italiano sulla tassazione dei dividendi esteri”).

Infatti, i dividendi di fonte estera percepiti da persone fisiche residenti in Italia al di fuori dell'esercizio d'impresa, sono assoggettati in Italia:

- a una ritenuta a titolo d'imposta, ove siano percepiti con l'intervento di un intermediario finanziario italiano;

ovvero

- a una imposta sostitutiva, da liquidare a cura del contribuente in sede di dichiarazione dei redditi, ove siano percepiti direttamente all'estero o in generale senza il tramite di un intermediario nazionale.

In entrambi i casi si applica l'aliquota d'imposta del 26 per cento.

Tuttavia, nel primo caso la base imponibile è il cosiddetto “netto frontiera” ossia l'importo del dividendo al netto delle ritenute subite all'estero, all'atto della percezione del dividendo (art. 27, comma 4, d.P.R. n. 600/73); mentre nel secondo caso la base imponibile è costituita dal dividendo al “lordo della ritenuta” (cfr. art. 18 del Testo unico come interpretato nella prassi; si vedano le istruzioni al quadro RM della dichiarazione e la risposta n. 111 del 21 aprile 2020).

Tale sistema sarebbe, secondo la Commissione compatibilità Ue dell'Aidc di Milano, in contrasto con l'art. 63 del Trattato sul funzionamento della Ue che espressamente vieta le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi, ivi incluse le restrizioni sui pagamenti.

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