Responsabilità civile magistrati: ricorso per revocazione e decorrenza del termine per l'azione di responsabilità
05 Marzo 2021
Massima
In tema di responsabilità civile dei magistrati, nell'ipotesi di domanda di risarcimento per danno attribuito a provvedimento della Corte di cassazione che abbia deciso la causa nel merito, il termine di decadenza di cui all'art. 4, comma 2, della l. n. 117/1988 decorre dalla pubblicazione del provvedimento sull'istanza di revocazione ai sensi dell'art. 391-bis c.p.c., anche se dichiarata inammissibile per estraneità al parametro legale dell'errore di fatto, ovvero, se il rimedio della revocazione non sia stato esperito, dal provvedimento asseritamente fonte del danno, salvo, in quest'ultimo caso, la valutazione da parte del giudice dell'azione di responsabilità civile della ricorrenza dei presupposti per proporre la revocazione e, in caso positivo, la dichiarazione di inammissibilità della domanda per mancato esperimento del rimedio di cui all'art. 391-bis c.p.c. Il caso
Una società di diritto tedesco agiva per il risarcimento del danno conseguente all'accertamento della responsabilità civile dei magistrati di cui alla l. 117/1988; a base della sua istanza affermava che, nonostante fosse stata dichiarata vittoriosa in primo ed in secondo grado, la Corte di cassazione adìta dalla controparte aveva, decidendo la causa nel merito, dichiarato inammissibile per tardività il ricorso proposto innanzi al giudice tributario e che, nonostante avesse proposto contro tale ultima decisione ricorso per revocazione ai sensi dell'art. 391-bis c.p.c., la Suprema Corte, dichiarata inammissibile l'istanza di revocazione ritenendo che non ricorresse nella specie la denuncia di un errore di fatto ma una valutazione giuridica, aveva confermato la condanna della società ricorrente al pagamento di una cospicua somma di danaro. Aggiungeva poi che il tribunale adìto per il risarcimento del danno causato dall'operato dei magistrati aveva dichiarato inammissibile la domanda per tardività ai sensi dell'art. 4 della l. 117/1988 e che identico provvedimento era stato pronunciato dalla Corte d'appello, in virtù della considerazione che, costituendo il ricorso per revocazione un mezzo straordinario di impugnazione, non facente parte dei mezzi ordinari cui il legislatore subordina l'esercizio dell'azione di risarcimento del danno contro lo Stato in base all'art. 4 della l. 117/1988 l'azione di responsabilità era da considerarsi tardiva, dovendo essere presentata nel termine di due anni, applicabile ratione temporis, decorrente dalla sentenza della Corte di cassazione e non da quella successiva relativa all'istanza di revocazione. Avverso siffatta declaratoria di inammissibilità veniva proposto ricorso per Cassazione, ma la Suprema Corte, con ordinanza interlocutoria, rimetteva il ricorso al Primo Presidente per l'assegnazione alle Sezioni Unite. La questione
È stata così sottoposta alle S.U. la seguente questione: «se, proposto ricorso per revocazione avverso una sentenza della Corte di cassazione che, accogliendo il ricorso, abbia cassato la sentenza impugnata e deciso la causa nel merito, il termine di decadenza per proporre l'azione di responsabilità civile contro l'operato dei magistrati, previsto dall'art. 4, comma 2, della l. 117/1988, decorra dalla decisione di merito da parte di questa Corte ovvero dalla decisione sul ricorso per revocazione». Le soluzioni giuridiche
Le Sezioni Unite accolgono il ricorso. Osservano al riguardo che l'art. 391-bis c.p.c., introdotto successivamente all'entrata in vigore della legge sulla responsabilità dei magistrati, rappresenta un mezzo di controllo che sfugge al distinguo fra mezzi ordinari e mezzi straordinari di impugnazione, in quanto tale distinzione riguarda il concetto di cosa giudicata formale, il quale è riferibile solo alle decisioni del giudice di merito e non anche a quelle rese dal giudice di legittimità. Per tale motivo e considerato che l'art. 4 della l. 117/1988 costituisce una norma elastica, capace di adeguarsi al mutamento nel corso del tempo dei rimedi esperibili nei confronti dei provvedimenti del giudice, la Cassazione riconduce la revocazione per errore di fatto delle decisioni di merito della Corte di cassazione nell'alveo dell'art. 4, facendo leva sull'inciso contenuto in tale ultima norma «quando non siano più possibili la modifica o la revoca del provvedimento», in quanto, ad avviso della Corte, la fattispecie della «revoca del provvedimento» viene in rilievo, limitatamente all'ipotesi dell'art. 391-bis c.p.c., «come ritiro dal mondo del diritto entro un termine di decadenza». Restano invece estranei all'ambito di applicazione dell'art. 4 le ipotesi di revocazione di cui all'art. 391-ter c.p.c., in quanto «non vincolati ad un termine fisso di proposizione ed essendo proponibili a decorrere da un momento eventuale ed incerto». Ricondotta la revocazione di cui all'art. 391-bis c.p.c. fra i rimedi contemplati dall'art. 4, comma 2, della l. 117/1988, le Sezioni Unite deducono da tale inclusione due ulteriori ed importantissimi corollari. Il primo, rappresentato dall'affermazione secondo cui non può essere intrapresa l'azione di responsabilità senza il previo esperimento della revocazione di cui all'art. 391-bis c.p.c., ove ne ricorrano i presupposti. Se così non fosse, infatti, la revocazione diverrebbe un rimedio aggiuntivo rimesso alla piena discrezionalità della parte, che potrebbe determinarsi per l'azione di responsabilità pur potendo rimediare all'errore di fatto mediante la revocazione. Allo scopo di tutelare il principio costituzionale di indipendenza del giudice e di soggezione soltanto alla legge, va invece esclusa tale possibilità perché farebbe dell'azione di responsabilità civile (incidente sul magistrato in via indiretta ed attraverso l'istituto della rivalsa) l'alternativa al previsto rimedio processuale. La Cassazione deduce poi quale secondo corollario che il diritto di promuovere l'azione di responsabilità civile, da esercitare entro un termine previsto a pena di decadenza, deve restare ancorato ad un termine certo e prevedibile e non può dipendere dall'evento rappresentato dal tipo di qualificazione che, all'esito del giudizio, opererà il giudice della revocazione. Pertanto, l'azione di responsabilità civile è esperibile dalla pubblicazione del provvedimento sull'istanza di revocazione, se è stato esperito il relativo rimedio e ciò anche se la relativa istanza sia stata dichiarata inammissibile; «se invece il rimedio non è stato esperito, il termine per la proposizione dell'azione decorre dal provvedimento asseritamente fonte del danno». Osservazioni
La decisione che qui si commenta affronta numerose questioni di notevole rilevanza sistematica ed interpretativa che in questa sede si tenterà di sintetizzare. Secondo il comma 5 (originariamente terzo comma) dell'art. 391-bis c.p.c., «la pendenza del termine per la revocazione della sentenza della Corte di cassazione non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza impugnata con ricorso per cassazione respinto». Prevede poi l'ultimo comma che «in caso di impugnazione per revocazione della sentenza della Corte di cassazione non è ammessa la sospensione dell'esecuzione della sentenza passata in giudicato, né è sospeso il giudizio di rinvio o il termine per riassumerlo». Viene dunque in gioco la natura della revocazione per errore di fatto delle pronunce della Corte di cassazione, questione che già prima dell'entrata in vigore della norma ha animato la dottrina e la giurisprudenza. Dal dettato legislativo sembra invero desumersi, in aperta confutazione della tesi secondo la quale, in ossequio al disposto di cui all'art. 324 c.p.c., non poteva aversi formazione del giudicato se non dopo che fosse trascorso il termine per la proposizione della revocazione contro la sentenza della Cassazione (Carpi, Le sentenze della Corte di Cassazione e la cosa giudicata, in RTDPC, 1987, 20) che la revocazione de qua vada considerata quale mezzo straordinario di impugnazione, a fronte del carattere ordinario della revocazione di cui all'art. 395, n. 4, c.p.c. (Mandrioli, Diritto processuale civile, II, Torino, 2008, 502; Consolo, Luiso, Sassani, Commentario alla riforma del processo civile, Milano, 1996, 498; si v. la diversa opinione di Silvestri, in Taruffo (a cura di), Le riforme della giustizia civile, Torino, 2000, 513, secondo cui l'istituto possiede caratteristiche tali da renderlo un unicum nell'ambito dei mezzi di impugnazione). La natura straordinaria della revocazione delle sentenze della Corte di cassazione è stata affermata anche da parte della giurisprudenza di legittimità: in tal senso si v. Cass. civ., 17 settembre 2015, n. 18300, nonché più di recente Cass. civ., sez. un., 3 maggio 2019, n. 11747, per la quale, non influendo la revocazione avverso la sentenza di Cassazione sul passaggio in giudicato della sentenza impugnata conseguente al rigetto del ricorso per Cassazione, il mezzo di cui all'art. 391-bis c.p.c. non è ascrivibile ai mezzi ordinari di impugnazione, con riferimento al merito della controversia, e pertanto con il rigetto del ricorso per cassazione dovevano intendersi esauriti i mezzi ordinari di impugnazione menzionati dall'art. 4, comma 2, della l. 117/1988. La decisione in epigrafe, invece, pur non ponendosi in aperto contrasto con l'indirizzo appena riportato, esclude che alla revocazione per errore di fatto avverso le decisioni della Corte di cassazione sia applicabile l'art. 324 c.p.c., il quale, nel contemplare la proponibilità della revocazione per i motivi di cui all'art. 395 c.p.c., nn. 4 e 5, si riferisce alla decisione del giudice di merito e non anche a quelle di legittimità emesse dalla Corte di cassazione. Per le Sezioni Unite, in caso di revocazione per errore di fatto avverso le decisioni della Corte di cassazione, «la presenza del termine fisso per la proposizione del rimedio introduce un'autonoma fattispecie processuale di conseguimento della stabilità della decisione, in modo del tutto indipendente dalla problematica della cosa giudicata formale». Affermano le S.U. che la decisione della Corte di cassazione nasce già in giudicato; per tale motivo, l'art. 391-bis c.p.c., prevedendo un termine fisso per la proposizione del rimedio, costituisce dunque un rimedio per il conseguimento della stabilità. «Quest'ultima è nozione che concerne non la cosa giudicata formale ma l'effetto di definitività derivante dall'inutile decorso del termine posto dalla legge per il ritiro del provvedimento dal mondo del diritto». Tale regola, costituente «l'esito del bilanciamento, per il caso di svista percettiva della Corte di Cassazione, fra il principio di ragionevole durata del processo e l'annesso divieto di protrazione all'infinito dei giudizi (art. 111 Cost.) da una parte, ed i diritti fondamentali di difesa di cui all'art. 24 Cost.» dall'altra, sfugge alla distinzione fra mezzi ordinari e mezzi straordinari di impugnazione perché tale distinzione è da riferire alla cosa giudicata formale, cioè ad un ambito che è relativo solo alla decisione del giudice di merito e non anche a quello relativo al provvedimento del giudice di legittimità. Partendo da questa diversa lettura della norma, la Corte passa poi ad esaminare la disposizione contenuta nell'art. 4, comma 2, della l. 117/1988, giungendo alla conclusione che si è in presenza di una valvola di apertura rispetto al mutamento nel corso del tempo dei rimedi esperibili nei confronti dei provvedimenti del giudice nella quale è ben possibile far rientrare anche l'art. 391-bis c.p.c., in quanto rimedio volto alla «revoca del provvedimento», prevista dall'art. 4, comma 2, cit.
Per la Cassazione, alla stessa conclusione può giungersi «se si esamina la questione non nell'ottica della disciplina del processo, ma in quella della natura sostanziale del fenomeno». Al riguardo, la decisione richiama quanto già affermato in precedenza da Cass. civ., 17 gennaio 2017, n. 932, secondo la quale l'esperimento dell'azione di responsabilità di cui alla l. n. 117/1988 costituisce adempimento del dovere di evitare il danno quale principio alla base dell'art. 1227, comma 2, c.c. ponendosi l'esperimento di tutti i rimedi giudiziari quale obbligatorio per la parte che voglia agire per il risarcimento del danno ai sensi dell'art. 3 della legge citata. Se allora la parte danneggiata ha il dovere di eliminare o ridurre le conseguenze dannose mediante l'esercizio del rimedio processuale, «non può quindi essere intrapresa l'azione di responsabilità senza il previo esperimento della revocazione di cui all'art. 391-bis c.p.c., ove ne ricorrano i presupposti». Come può evincersi dalla breve sintesi della motivazione della decisione, essa esamina temi assai rilevanti che già la dottrina antecedente la riforma del 1990 aveva affrontato con esiti assai diversi tra loro. Come accennato in apertura di questo paragrafo, i più illustri studiosi del processo civile erano divisi tra quanti ritenevano che l'aver assoggettato la sentenza di legittimità ad un mezzo ordinario di impugnazione, qual è la revocazione per errore di fatto, venisse necessariamente a differire, giusta il tenore dell'art. 324 c.p.c., il passaggio in giudicato formale della sentenza al momento nel quale la revocazione non fosse più esperibile per decorrenza dei termini, ovvero la decisione sulla revocazione fosse di rigetto (così Carpi, op. cit.; Fazzalari, Il processo ordinario di cognizione. Le impugnazioni, Torino, 1990, 365), e quanti erano di contrario avviso, per lo più adducendo ragioni di opportunità e facendo rilevare come fosse inattendibile un criterio ermeneutico fondato su una norma (quella appunto dell'art. 324 c.p.c.), coniata in un momento storico nel quale le decisioni della Cassazione non erano soggette ad impugnazione alcuna (così Proto Pisani, La Corte costituzionale estende la revocazione per errore di fatto ex art. 395, n. 4, c. p. c. alle sentenze della Cassazione, in Foro it., 1986, I, 315; Consolo, La revocazione delle sentenze della Cassazione e la formazione del giudicato, Padova, 1989, 204 e segg.). L'introduzione dell'art. 391-bis c.p.c. sembrava aver sopito la questione del momento perfezionativo della res iudicata, accogliendo la seconda delle due opzioni interpretative riportate, occupandosi tuttavia della sola ipotesi in cui la sentenza revocabile sia di rigetto del ricorso per cassazione; sennonché, la facoltà riconosciuta proprio dal legislatore del 1990 alla Suprema Corte di decidere direttamente il merito della controversia, qualora non siano necessari nuovi accertamenti di fatto da demandarsi al giudice di rinvio hapo sto il problema di stabilire se la proposizione effettiva della revocazione impedisca di ritenere la medesima sentenza assistita dalla qualità di res iudicata: sul punto la dottrina si è espressa sempre in senso negativo (Proto Pisani, op. cit., 282; Consolo-Luiso-Sassani, La riforma del processo civile, Milano, 1991, I, 380; Besso, in Chiarloni (a cura di), Le riforme del processo civile, Bologna, 1992, 543 ed ivi nota 44; Cerino Cerino Canova - Tombari Fabbrini, voce Revocazione (dir. proc. civ.), in Enc. giur. Treccani, XXVII, Roma, 1991, 11). Se di tale conclusione non si è mai seriamente dubitato, allora, sembra che l'affermazione compiuta dalla sentenza in epigrafe a mente della quale l'art. 324 c.p.c. non è invocabile al caso di specie perché riferentesi alle decisioni di merito e non a quella di cassazione, pur se affascinante, non pare del tutto convincente. A prima lettura, infatti, sembrano possibili alcune osservazioni, che in questa sede possono essere solo accennate e che ci si riserva di ulteriormente verificare. In primo luogo, se è vero che vi è differenza tra sentenza di merito e decisioni di legittimità, è pur vero che sono sentenze attinenti alla medesima controversia, al medesimo rapporto processuale considerato in tappe diverse del suo sviluppo per gradi. In secondo luogo, se l'impugnazione per revocazione della sentenza di legittimità fosse davvero un evento processuale che non tocca la decisione di merito passata in giudicato, il legislatore della riforma non avrebbe avuto bisogno di precisare, al comma 4 dell'art. 391 bis c. p.c., che tale impugnazione non consente la sospensione dell'esecuzione intrapresa sul fondamento di tale sentenza: la precisazione sarebbe apparsa evidentemente inutile. Riferimenti
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