Costituisce danno “figurativo” l'occupazione illegittima dell'immobile da parte dell'ex coniuge
10 Marzo 2021
Massima
Il danno da occupazione illegittima di un immobile da parte dell'ex coniuge è in re ipsa, attesa la temporanea perdita delle utilità normalmente conseguibili dal proprietario nell'esercizio delle facoltà di godimento e disponibilità del bene. Questa presunzione iuris tantum è, però, superata ove si accerti che il proprietario medesimo si è intenzionalmente disinteressato dell'immobile. Il caso
La controversia trae origine dall'utilizzo in modo esclusivo, da parte del convenuto Tizio della ex casa coniugale di cui era comproprietaria l'altro coniuge Caia (parte attrice). In particolare, l'attrice lamentava la condotta illecita del coniuge convenuto consistente nell'utilizzo in via esclusiva, in assenza del suo consenso, dell'immobile di cui ella era comproprietaria al 50%, in origine adibito a casa coniugale; utilizzo in via esclusiva protrattosi dalla data di pubblicazione della sentenza di separazione, la quale aveva revocato l'assegnazione a Tizio della casa coniugale. Per i motivi esposti, l'attrice aveva chiesto al Tribunale adito il diritto a percepire un corrispettivo per l'utilizzo esclusivo da parte di Tizio. Costituendosi in giudizio, il convenuto eccepiva che l'attrice non aveva mai preteso il rilascio; inoltre, secondo l'attore, doveva riconoscersi il proprio difetto di legittimazione passiva in quanto aveva donato la propria quota (nuda proprietà) alla figlia, essendo rimasto usufruttuario al 50% dell'immobile. La questione
Le questioni in esame sono le seguenti: dopo la sentenza di separazione, in mancanza di effettivo consenso della moglie, l'altro comproprietario può utilizzare in maniera esclusiva l'immobile adibito in precedenzaacasa coniugale? Il danno figurativo in esame si configura in maniera in re ipsa? Le soluzioni giuridiche
A seguito dell'istruttoria della causa, era emerso che il Tribunale oltre a dichiarare la separazione tra i coniugi, revocava l'assegnazione della casa coniugale a Tizio in quanto la figlia era tornata a vivere dalla madre, in appartamento dalla stessa condotto in locazione. Dunque, era pacifico che dopo la pubblicazione della sentenza di separazione, Tizio aveva continuato a vivere nella casa coniugale, utilizzando in via esclusiva l'immobile di cui l'attrice era comproprietaria al 50%. Inoltre, come emerso dalla visura catastale, Tizio aveva donato, limitatamente alla sua quota di 1/2, la nuda proprietà del predetto immobile alla figlia, mantenendo per sé il diritto di usufrutto nella misura di 1/2. Secondo il giudice di Reggio- Emilia, questo aspetto - ossia il fatto di essere diventato da comproprietario al 50% ad usufruttuario al 50% - non faceva venir meno la legittimazione sostanziale passiva del convenuto medesimo di fronte all'azione di risarcimento del danno esercitata dall'attrice, posto che il protrarsi da parte di Tizio di tale godimento dell'immobile in forma esclusiva, realizzava pur sempre un fatto oggettivamente impeditivo ed ostativo al diritto di Caia di godere della propria metà di cui era proprietaria, tenuto conto che tale utilizzo esclusivo era avvenuto senza il consenso dell'attrice. Dunque, tale occupazione dell'intero immobile, attraverso la sua destinazione ad uso personale esclusivo, integrava certamente una situazione di fatto che impediva all'attrice il godimento dei frutti civili sull'immobile, con conseguente diritto della stessa ad una indennità corrispondente. In particolare, l'uso esclusivo dell'immobile da parte del convenuto non poteva costituire occupazione ingiustificata solo nel caso in cui Tizia fosse rimasta inerte o vi avesse acconsentito in modo certo ed inequivoco (Cass. civ. sez. II, 9 febbraio 2015, n. 2423); diversamente, nel caso di specie, il comportamento dell'attrice non integrava una rinuncia all'utilizzo diretto o indiretto del bene. Di certo, non era interpretabile l'abbandono della casa familiare, che, in questa sede, costituiva comportamento indicativo della volontà di allontanarsi dal proprio coniuge, non invece dell'intenzione di rinunciare al godimento di un immobile a vantaggio di quest'ultimo. In conclusione, secondo il Tribunale di Reggio Emilia, la signora non aveva mai espressamente né implicitamente manifestato di voler lasciare il marito nell'utilizzo gratuito del bene, ma, al contrario, aveva tenuto una condotta compatibile con la volontà di utilizzare tale immobile in maniera indiretta, traendone un vantaggio economico (Cass. civ. sez. II, 30 marzo 2012, n. 5156). Per le suesposte ragioni, la domanda è stata accolta; per l'effetto, Tizio è stato condannato al risarcimento del danno con riferimento al c.d. “danno figurativo”, ossia con riguardo al valore locativo dell'immobile. Osservazioni
La pronuncia in oggetto è interessante in quanto si presta ad alcune precisazioni generali in merito agli aspetti afferenti il risarcimento del c.d. danno figurativo. In argomento, è stato evidenziato che in relazione alla pretesa risarcitoria per il mancato godimento dell'immobile, viene in rilievo un danno in re ipsa, individuabile, di per sé, nella perdita della disponibilità del bene da parte del dominus, così come nell'impossibilità, per questi, di conseguire l'utilità anche solo potenzialmente ricavabile dal bene medesimo, in relazione alla natura normalmente fruttifera di esso. Ne consegue che la determinazione del risarcimento del danno, da lucro cessante, per mancato utilizzo di un immobile, può essere operata sulla base di elementi presuntivi semplici, anche facendo riferimento al cosiddetto “danno figurativo” e, quindi, al valore locativo del cespite abbandonato (Trib. Brindisi - sez. dist. Ostuni - 19 dicembre 2011). In particolare, l'orientamento maggioritario, condiviso anche dal Tribunale di Reggio Emilia, ritiene che il danno in questione sia in re ipsa, perché, sopprimendo quelle facoltà di godimento e di disponibilità insite nel diritto di proprietà, ex art. 832 c.c., si ricollega all'impossibilità di conseguire le utilità, anche potenziali, ricavabili dalla natura normalmente fruttifera del bene (Cass. civ., sez. II, 6 agosto 2018, n. 20545; Cass. civ., sez. VI, 15 dicembre 2016, n. 25898). Dunque, nell'ipotesi di occupazione sine titulo di un immobile adibito a casa familiare, il danno subito dal proprietario per l'indisponibilità del medesimo può definirsi in re ipsa, purché inteso in senso descrittivo: di normale inerenza del pregiudizio all'impossibilità stessa di disporre del bene, senza comunque far venir meno l'onere per l'attore quanto meno di allegare, e anche di provare, con l'ausilio delle presunzioni, il fatto da cui discende il lamentato pregiudizio, ossia che se egli avesse immediatamente recuperato la disponibilità dell'immobile, l'avrebbe subito impiegato per finalità produttive, quali il suo godimento diretto o la sua locazione (Cass. civ., sez. VI, 9 settembre 2017, n. 20856). Tuttavia, oltre a questo orientamento, esiste anche uno diverso e contrario: nel caso di occupazione illegittima di un immobile il danno subito dal proprietario non può ritenersi sussistente in re ipsa, atteso che tale concetto giunge ad identificare il danno con l'evento dannoso ed a configurare un vero e proprio danno punitivo, ponendosi così in contrasto sia con l'insegnamento delle Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972) secondo il quale quel che rileva ai fini risarcitori è il danno-conseguenza, che deve essere allegato e provato, sia con l'ulteriore e più recente intervento nomofilattico (Cass. civ., sez. un., 5 luglio 2017, n. 16601) che ha riconosciuto la compatibilità del danno punitivo con l'ordinamento solo nel caso di espressa sua previsione normativa, in applicazione dell'art. 23 Cost. Secondo questo orientamento, ne consegue che il danno da occupazione sine titulo, in quanto particolarmente evidente, può essere agevolmente dimostrato sulla base di presunzioni semplici; ma un alleggerimento dell'onere probatorio di tale natura non può includere anche l'esonero dalla allegazione dei fatti che devono essere accertati, ossia l'intenzione concreta del proprietario di mettere l'immobile a frutto (Cass. civ., sez. III, 25 maggio 2018, n. 13071). In definitiva, nonostante gli opposti orientamenti, a parere chi scrive, attesa la temporanea perdita delle utilità normalmente conseguibili dal proprietario nell'esercizio delle facoltà di godimento e disponibilità del bene, il danno da occupazione illegittima di un immobile dovrebbe considerarsi in re ipsa; tenendo presente che questa presunzione iuris tantum potrebbe essere superata ove si accerti che il proprietario medesimo si è intenzionalmente disinteressato dell'immobile (Cass. civ., sez. II, 15 ottobre 2015, n. 20823) Quanto al calcolo del risarcimento, così come precisato dalla sentenza in commento, il riferimento al valore locativo si spiega in ragione dell'art. 820 c.c. che definisce frutti civili quelli che si traggono dalla cosa come corrispettivo del godimento, compreso il corrispettivo delle locazioni. Quindi, anche i frutti civili, dovuti dal comproprietario che abbia utilizzato, in via esclusiva, un bene rientrante nella comunione, hanno, ai sensi dell'art. 820, comma 3, c.c., la funzione di corrispettivo del godimento della cosa e possono essere liquidati con riferimento al valore figurativo del canone locativo di mercato (Cass. civ., sez. II, 5 aprile 2012, n. 5504). In conclusione, sulla base di queste considerazioni, l'ex coniuge (convenuto) è stato condannato al pagamento, in favore di parte attrice, della somma di circa 16 mila euro a titolo di risarcimento del danno. Riferimenti
(Fonte: Condominio e Locazione) |