La malversazione può essere reato presupposto del delitto di autoriciclaggio

Francesco Agnino
12 Marzo 2021

L'occultamento delle somme ottenute con finanziamenti pubblici integra il reato di malversazione ai danno dello Stato e può, inoltre, essere il presupposto dell'autoriciclaggio...
Massima

L'occultamento delle somme ottenute con finanziamenti pubblici integra il reato di malversazione ai danno dello Stato e può, inoltre, essere il presupposto dell'autoriciclaggio, anche se si verifica prima della scadenza del termine per la realizzazione dell'opera a cui i fondi statali erano destinati.

Il caso

Il Tribunale del riesame, adito ai sensi dell'art. 309 c.p.p., confermava l'ordinanza cautelare applicativa della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di un indagato per il reato di autoriciclaggio.

Nel caso di specie, il capo di imputazione contestato indicava come reato presupposto dell'autoriciclaggio quello di malversazione ai danni dello Statoe concerneva la gestione e l'utilizzo di un finanziamento pubblico ottenuto per la realizzazione di un progetto di investimento industriale.

In particolare, una società aveva ottenuto un contratto di finanziamento agevolato in forza del quale, a fronte del finanziamento erogato, avrebbe dovuto realizzare entro uno specifico termine un programma finalizzato alla riconversione e alla riqualificazione di un polo industriale attraverso la realizzazione di una nuova unità produttiva.

Tuttavia, l'imputato aveva impiegato i fondi ricevuti dallo Stato per finalità diverse rispetto allo scopo concordato con l'amministrazione, guadagnando dall'operazione ben 16 milioni di euro.

Infatti, gran parte del finanziamento ottenuto era stato distratto dagli scopi cui doveva essere destinato, venendo convogliato su altri conti correnti e poi occultato attraverso numerose operazioni, con conseguente inadempimento rispetto al programma concordato.

L'indagato proponeva ricorso in Cassazione sul rilievo che l'art. 316-bis c.p. deve essere ricondotto alla categoria dei reati omissivi propri a consumazione istantanea e che, pertanto, si consuma nel momento in cui scade il termine per la realizzazione dell'opera finanziata e nel caso di specie, il delitto di malversazione si era realizzato successivamente al reato di autoriciclaggio.

La Corte di Cassazione – nel rigettare questo specifico motivo di impugnazione – ha evidenziato che il reato di malversazione deve ritenersi perfezionato nel momento in cui l'imputato, ottenuto il finanziamento agevolato, ha distolto il denaro pubblico dal suo scopo, trasferendolo su altri conti correnti riferibili a soggetti o a diversi compartimenti operativi della società; tutte le successive operazioni compiute sulle somme distratte, volte all'occultamento delle stesse, si pongono in successione temporale rispetto alla distrazione e configurano gli estremi del reato di autoriciclaggio.

In tale contesto, tutte le operazioni successivamente compiute sulle somme distratte e volte all'occultamento delle stesse, si erano poste in successione temporale rispetto alla distrazione medesima e configuravano gli estremi del reato di autoriciclaggio.

Era la diversa destinazione delle somme ad aver segnato, inequivocabilmente, il perfezionamento del reato contestato, rendendo definitiva la distrazione dei fondi pubblicia finalità differenti da quelle per le quali il finanziamento era stato concesso.

La questione

Il delitto di malversazione può costituire il delitto presupposto dell'art. 648-ter 1 c.p.?

Le soluzioni giuridiche

La sentenza in commento va ad integrare la giurisprudenza in tema di malversazione a danno dello Stato, ad oggi non particolarmente ricca, affrontando questioni relative alla natura del delitto previsto dall'art. 316-bis c.p. - ai fini della individuazione del tempus commissi delicti - ed ai rapporti con il delitto di autoriciclaggio previsto dall'art. 648-ter 1 c.p.

L'introduzione dell'art. 648-ter 1 c.p. - ad opera della l. n. 186/2014 - ha determinato il radicale mutamento dell'assetto domestico di contrasto al money laundering, anche per effetto di univoche indicazioni sovranazionali sulle scelte di criminalizzazione.

Con l'entrata in vigore della nuova disposizione codicistica viene meno il c.d. privilegio di autoriciclaggio, in virtù del quale chi avesse preso parte al predicate crime non sarebbe stato punibile per le susseguenti condotte di "lavaggio": il delitto presupposto è dunque destinato a convivere con questa omnicomprensiva fattispecie, tanto che l'autoriciclaggio ben può diventare la “coda” di ogni altro delitto non colposo che produca proventi, riciclaggio e ricettazione compresi (Cass. pen. n. 13795/2019).

L'introduzione dell'autoriciclaggio si inserisce nella strategia avviata negli ultimi anni dal legislatore all'insegna della "tolleranza zero" nei confronti della criminalità del profitto.

L'art. 648-ter 1 c.p.appartiene alla categoria delle norme a più fattispecie o norme miste alternative, in cui le varie condotte descritte costituiscono sviluppi o fasi diverse di una azione sostanzialmente unitaria che aggredisce il medesimo bene giuridico.

L'impiego, la sostituzione, il trasferimento in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative dei beni di provenienza illecita costituiscono le modalità alternative di realizzazione di un unico reato che recupera, nel paradigma della condotta del reato di autoriciclaggio, le forme alternative ed equivalenti previste dagli artt. 648-bis e 648-ter c.p.

Il filo rosso che, in qualche misura, contraddistingue i recenti interventi - dall'autoriciclaggio appunto, alle false comunicazioni sociali - è rappresentato dall'idea che il crimine non deve pagare.

La struttura dell'art. 648-ter 1 c.p., analogamente alle pregresse disposizioni incriminatrici del money laundering (artt. 648-bis e 648-ter c.p.), deriva dal ceppo della ricettazione ed è imperniata sul "delitto non colposo" generatore dei proventi oggetto delle condotte di autoriciclaggio.

La finalità dell'art. 648-ter 1 c.p. è quella di congelare il profitto in mano al soggetto che ha commesso il reato presupposto, in modo da impedirne la sua utilizzazione maggiormente offensiva, che espone a pericolo o addirittura lede l'ordine economico.

Sicché, deve concludersi che la proiezione dell'autoriciclaggio verso attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative mira proprio a perseguire qualsiasi forma di re-immissione delle disponibilità di provenienza delittuosa all'interno del circuito economico legale.

L'art. 648-ter1 c.p. si alimenta (in tutto o in parte) con il provento del delitto-presupposto. Da qui deriva un'ovvia conseguenza sul piano giuridico: il profitto del delitto di autoriciclaggio non può coincidere con quello del reato presupposto proprio perché di quest'ultimo profitto l'agente ne ha già goduto.

Quindi, il "prodotto, profitto o prezzo" del reato di autoriciclaggio non può che essere un qualcosa di diverso ed ulteriore rispetto al provento del reato presupposto.

Il prodotto, il profitto o il prezzo del reato di autoriciclaggio non coincide con quello del reato presupposto, ma è da questo autonomo in quanto consiste nei proventi conseguiti dall'impiego del prodotto, del profitto o del prezzo del reato presupposto in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative.

Al riguardo la Corte di Cassazione, facendo leva sul monolitico orientamento che - in tema di confisca da reato fiscale - qualifica come profitto qualsiasi utilità o vantaggio, suscettibile di valutazione patrimoniale o economica, che determina un aumento della capacità di arricchimento, godimento ed utilizzazione del patrimonio del soggetto, ritiene configurabile l'autoriciclaggio avente per oggetto l'ammontare dell'imposta evasa nella disponibilità dell'agente (Cass. pen. n. 30401/2018).

Il delitto di malversazione a danno dello Stato, previsto dall'art. 316-bis c.p., è stato introdotto dall'art. 3 della l. n. 86/1990, intervenuta al fine di modificare l'impianto normativo riguardante i delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione.

Il Legislatore, mediante tale norma, ha inteso colmare il vuoto normativo esistente in materia di erogazioni di denaro da parte dello Stato, enti pubblici e Comunità europea, in quanto l'intensificazione dell'attività di finanziamento pubblico aveva progressivamente aumentato i casi di distrazione delle somme concesse per finalità di pubblico interesse.

L'art. 316-bis c.p. punisce il soggetto estraneo alla Pubblica Amministrazione, il quale dopo aver ottenuto dallo Stato o da altro ente pubblico contributi, sovvenzioni, e finanziamenti destinati a favorire iniziative dirette alla realizzazione di opere ed allo svolgimento di attività di pubblico interesse, non li abbia rivolti a tali fini.

Lo spettro di punibilità della norma è piuttosto ampio: infatti, esso ricomprende tutte le erogazioni effettuate a favore di un privato, non aventi carattere sinallagmatico, in quanto controprestazione nei confronti di un'attuale o precedente attività lavorativa, sia dipendente che autonoma, od alla prestazione di merci o servizi.

Tali sovvenzioni sono riferibili sia ad iniziative non ancora realizzate che non ancora ultimate.

Non, appare, invece, punibile la condotta ingannatoria anteriore all'ottenimento dell'erogazione, in quanto essa ne costituisce soltanto il presupposto.

La norma in esame è volta ad assicurare una corretta gestione dei finanziamenti erogati per opere ed attività di pubblico interesse, rispetto alle aggressioni perpetrate dai diretti e legittimi beneficiari.

Viene, dunque, ad essere sanzionato il comportamento del privato beneficiario, il quale, attraverso l'illegittimo uso del denaro pubblico, provoca l'interruzione del rapporto di fiducia instauratosi con l'organo erogatore del finanziamento.

Altri sostengono che vengano altresì tutelati il buon andamento e l'imparzialità della Pubblica Amministrazione, intesi come correttezza procedimentale e mancanza di abusi, in quanto il "buon andamento" non si esaurisce soltanto nell'organizzazione amministrativa, ma viene a ricomprendere anche il risultato dell'attività amministrativa.

Conseguentemente ogni condotta che si riveli essere lesiva dell'efficienza della medesima viola senza dubbi di sorta il bene in oggetto.

Ad ogni modo, la norma mira senz'altro a tutelare beni di rilevanza pubblica, sia di tipo patrimoniale che economico.

Si osservi, anzitutto, come prevedendosi espressamente che i contributi, le sovvenzioni, i finanziamenti siano «destinati a favorire iniziative dirette alla realizzazione di opere o allo svolgimento di attività di pubblico interesse» già sussiste una valutazione di tal genere nel momento in cui l'ente mette a disposizione la sovvenzione e stabilisce le modalità per accedervi.

Laddove, quindi, il soggetto percepisca il contributo e non lo destini a tali finalità, offende anzitutto un interesse di tipo patrimoniale rappresentato dalla correttezza nell'uso di contributi, sovvenzioni, finanziamenti di provenienza pubblica.

Tuttavia, la norma tutela non solo un interesse a che i contributi erogati siano utilizzati secondo un canone di correttezza da parte del suo fruitore, ma anche un interesse pubblico di tipo strettamente economico-produttivo.

L'art. 316-bis c.p. richiede che la condotta punita sia commessa avendo [il soggetto attivo] ottenuto dallo Stato o da altro ente pubblico o dalle Comunità europee contributi, sovvenzioni o finanziamenti destinati a favorire iniziative dirette alla realizzazione di opere o allo svolgimento di attività di pubblico interesse.

L'ottenimento del contributo, della sovvenzione o del finanziamento costituisce, dunque, una presupposto della condotta che deve venire in essere prima della commissione dell'atto di malversazione; ciò comporta che il soggetto attivo del reato abbia già lecitamente a disposizione quanto gli è stato erogato e possa su questo compiere atti materiali o giuridici; non è, invece, sufficiente che egli abbia semplicemente maturato il diritto all'erogazione, ad esempio in virtù dell'emanazione di un provvedimento amministrativo o di altro atto che dispone in tal senso.

A fronte della corresponsione dei contributi, delle sovvenzioni e dei finanziamenti, la condotta delittuosa si perfeziona tramite una doppia omissione che consiste nel non utilizzare tali erogazioni nel rispetto della destinazione e nel non restituirle entro il termine indicato, la cui scadenza segna il momento consumativo del reato.

Una volta ottenuta l'erogazione, dunque, il privato non ha un obbligo di utilizzare i fondi, ma diviene, piuttosto, titolare di un obbligo alternativo: se tiene i fondi, deve usarli in ossequio a quanto prescrive il vincolo; viceversa deve restituirli.

Trattasi di reato omissivo, ancorché la condotta nella maggior parte dei casi si realizzerà con la distrazione delle somme di denaro.

In altri termini, il delitto di malversazione è reato a condotta omissiva consistente nella non destinazione del contributo, dalla sovvenzione, o del finanziamento alle previste finalità di pubblico interesse.

Essa si esplica, non soltanto in ipotesi di differente destinazione del denaro pubblico, bensì anche qualora il soggetto beneficiario si astenga del tutto dall'utilizzo di tali somme, immobilizzandole ad esempio su un conto corrente bancario, senza farle fruttare.

La circostanza che la condotta tipica si traduca in un comportamento del tutto omissivo induce a sostenere la punibilità anche per tali manifestazioni di inerzia

Il fatto che non si richieda la distrazione per il perfezionamento della condotta tipica fornisce un'indicazione chiara circa l'offesa cagionata dal reato, che non è solo l'uso distorto del denaro con una destinazione di interesse pubblico, ma anche il "non uso" dello stesso per sostenere iniziative a favore di attività od opere di pubblico interesse.

Ciò detto, è comunque condivisibile l'osservazione proposta dagli autori secondo la quale la scelta del legislatore di "accontentarsi", ai fini del perfezionamento del fatto tipico, della "non destinazione" delle utilità per gli scopi di interesse pubblico, consente di realizzare una forma anticipata di tutela rispetto al loro possibile uso distorto; infatti, è ragionevole ritenere che se taluno conserva somme di denaro ricevute con una specifica destinazione, non le utilizza e allo stesso tempo non le restituisce, stia verosimilmente aspettando l'occasione propizia per utilizzarle per soddisfare un interesse privato.

Il reato non è escluso se il fruitore del contributo lo utilizza per uno scopo comunque di pubblico interesse, ma differente rispetto a quello per cui lo aveva ricevuto.

Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha osservato che integra il reato di cui all'art. 316-bis c.p. la destinazione anche di una sola parte dei finanziamenti ottenuti per soddisfare interessi privati, a nulla rilevando che con le restanti somme siano state comunque perseguite finalità di pubblico interesse, che altrimenti costituirebbero il mero pretesto per l'arricchimento personale del singolo ai danni della collettività (Cass. pen. n. 14124/2015).

Osservazioni

La sentenza in commento prende le distanze da qual formante dottrinario, per il quale l'individuazione del momento consumativo non può prescindere dal solido ancoraggio ad un termine per l'adempimento, stabilito nel provvedimento di concessione o dedotto in via interpretativa, dal momento che le distrazioni commesse prima che il termine giunga a scadenza sono penalmente irrilevanti, se entro tale scadenza l'agente provvede comunque alla realizzazione delle opere con altri mezzi economici di cui abbia o acquisti la disponibilità.

Inoltre, si è evidenziato che, nel caso in cui il termine sia inespresso e non possa essere accertato nemmeno attraverso l'interpretazione dei provvedimenti e delle normative impartite dall'ente erogatore, spetterà al giudice verificare se tali sovvenzioni siano destinate o meno a finalità di pubblico interesse.

Tale filone interpretativo è tato seguito anche dalla Corte di Cassazione (Cass.pen. n. 40830/2010) che ha sostenuto che il momento consumativo del reato di malversazione a danno dello Stato, previsto dall'art. 316-bisc.p., coincide con la scadenza del termine ultimo entro il quale avrebbero dovuto essere realizzate le opere per le quali erano stati concessi i pubblici finanziamenti, non potendosi escludere, fino a quando detta scadenza non si sia verificata, che l'agente, pur se abbia nel frattempo destinato quei finanziamenti ad altra finalità, non provveda comunque alla realizzazione delle opere con altri mezzi economici di cui abbia o acquisti la disponibilità.

Si evidenzia che l'art. 316-bis c.p. mira a reprimere le frodi attuate non destinando i fondi ottenuti alle finalità per le quali sono stati erogati. Ne deriva che il reato non si perfeziona con l'erogazione del finanziamento ma quando è accertato che l'agente non ha realizzato quanto richiesto e risulta compiuta la elusione del vincolo di destinazione alla finalità pubblica fissata.

In altri termini, si lega il perfezionamento della malversazione alla mancata destinazione dell'erogazione entro il termine prefissato; decorso tale momento, non è sostenibile la persistenza dell'obbligo di effettuazione dell'opera o dell'attività.

Antecedentemente a tale momento il fatto non diventa reato consumato, neppure qualora si manifestino comportamenti del tutto incompatibili con la volontà di destinare la sovvenzione a quella determinata finalità purché, prima dello scadere del termine, l'interesse pubblico venga ad essere soddisfatto.

Tuttavia, tenuto conto che l'art. 316-bis c.p. ha natura istantanea deve ritenersi che lo stesso si consumi nel momento in cui sovvenzioni, finanziamenti o contributi pubblici sono distratti dalla destinazione per cui erano stati erogati.

D'altro canto, la malversazione consiste nell'elusione del vincolo di destinazione gravante sui finanziamenti erogati per la realizzazione di una determinata finalità pubblica, proprio per questo perfezionandosi nel momento della mancata destinazione dei fondi allo scopo per cui erano stati ottenuti (Cass.pen. n. 12653/2016).

Invero, il delitto di malversazione ai danni dello Stato mira a reprimere le frodi attuate non destinando i fondi ottenuti alle finalità per le quali sono stati erogati, derivandone che trattasi di reato istantaneo e non permanente, che si consuma non nel momento dell'erogazione del finanziamento, bensì in quello in cui le sovvenzioni, i finanziamenti o i contributi pubblici sono distratti dalla destinazione per cui erano stati erogati ossia quando l'agente non ha realizzato quanto richiesto e risulta compiuta l'elusione del vincolo di destinazione alla finalità pubblica fissata.

Nel caso sottoposto all'attenzione della Suprema Corte sono state analiticamente indicate le date in cui l'imputato ha distolto il denaro pubblico dal suo scopo, trasferendolo su altri conti correnti riferibili a soggetti o a diversi compartimenti operativi della società, compiendo quindi operazioni estranee al vincolo di destinazione effettuate con le somme erogate, così da rendere evidente la definitività della loro distrazione.

Sulla scorta delle concrete modalità della fattispecie, la Corte di Cassazione ritiene perfezionato il delitto di malversazione nel momento in cui, ottenuto il finanziamento agevolato, il denaro pubblico è distolto dal suo scopo, trasferendolo su altri conti correnti riferibili a soggetti o a diversi compartimenti operativi della società.

In tale evenienza si verifica una distrazione del contributo pubblico dalla finalità prevista anche in ipotesi di scostamento in corso d'opera dal progetto finanziato, frustrando in tal modo lo scopo di pubblico interesse per il quale il sovvenzionamento è stato erogato.

Ulteriore corollario è l'assoluta irrilevanza del termine contrattualmente previsto per la realizzazione del programma.

Inoltre, nel caso in cui l'erogazione del contributo sia frazionata, il reato si realizza già con la prima omissione, ma si consuma soltanto con l'ultima mancata destinazione del rateo alla finalità di interesse pubblico.

Da queste premesse logiche e coerenti con la ratio della malversazione, ne discende che tale delitto può costituire reato presupposto dell'autoriciclaggio.

Guida all'approfondimento

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