Il diritto alla giusta pretesa fiscale: l'adempimento collaborativo come presupposto per il pactum fiduciae

Daniela Mendola
01 Aprile 2021

Il rafforzamento degli strumenti di confronto tra l'Amministrazione finanziaria ed il contribuente nell'ottica di un affievolimento degli aspetti di imperatività dell'azione impositiva ha determinato l'introduzione della cd. tax compliance.
Il potenziamento degli istituti collaborativi: la tax compliance

La legge generale sul procedimento amministrativo che ha affermato il ruolo partecipativo del cittadino all'attività amministrativa, ha prodotto ricadute anche sulla funzione impositiva in termini di ricerca di una collaborazione tra le parti e di un affidamento reciproco. Gli schemi rigidi per molto tempo peculiarità della funzione impositiva hanno lasciato spazio a forme di cooperazione con il contribuente quale parte attiva rispetto all'attuazione del tributo ed, in quanto, titolare di un diritto alla imparzialità dell'azione fiscale. Su tali presupposti è sorto il cd. adempimento collaborativo, con la finalità di promuovere l'adozione di forme di comunicazione e cooperazione rafforzata e di ridurre le controversie in materia fiscale. Si prevede una nuova tipologia di rapporto che superi la logica conflittuale e imperativa per dare spazio ad un modello relazionale basato su fiducia e collaborazione.

L'adempimento collaborativo trova riconoscimento nel D. Lgs. n. 128/2015, in attuazione della l. 11 marzo 2014, n. 23, in risposta all'esigenza di migliorare i rapporti tra l'Amministrazione Finanziaria ed il contribuente, per effetto del quale il legislatore ha individuato l'ambito di applicazione del suddetto istituto isolando tre piani di osservazione:

  • l'introduzione di forme di comunicazione e di cooperazione rafforzata tra le imprese e l'amministrazione finanziaria;
  • la previsione di sistemi aziendali strutturati di gestione e di controllo del rischio fiscale per i grandi contribuenti;
  • la previsione di incentivi sotto forma di minori adempimenti per i contribuenti e di riduzioni delle eventuali sanzioni.

Si può, dunque, affermare che la tax compliance si inserisce nell'alveo degli strumenti di semplificazione degli adempimenti posti a carico del contribuente e di riduzione dei profili di invasività dei controlli riconducibili ad un dialogo collaborativo (Per un approfondimento sulla tax compliance si rinvia a G. Ragucci, Alternative Dispute Resolution e amministrazione finanziaria, in Rivista di Dir. Fin. e Scien. Fin. 2, 1° giugno 2018, 208.).

L'art. 53 Cost. vuole garantire non solo il dovere contributivo posto a carico del contribuente che partecipa alla “ricchezza pubblica” mediante il versamento delle somme dovute, ma anche la correttezza dell'azione amministrativa che deve commisurare il prelievo alla effettiva capacità contributiva del soggetto interessato (La capacità contributiva, quale principio generale, deve rispettare taluni criteri che sono identificabili nella universalità, attualità ed effettività. In tal senso vd. si G. M. Esposito, Sistema amministrativo tributario italiano, Cedam, 2017, passim).

Se, dunque, l'obiettivo comune è la giusta ed imparziale applicazione dell'imposta, gli obblighi di ambo le parti devono essere adempiuti in ossequio ad un principio di leale collaborazione. In tale sfondo, dunque, viene ad inserirsi l'esigenza di un dialogo preventivo tra le parti che muova dall'incentivo all'adempimento dell'obbligazione tributaria tramite un affievolimento delle sanzioni. A ben vedere, la compliance è un concetto molto ampio originato già con la previsione della cd. voluntary disclosure che ha consentito in un arco di tempo limitato a determinati soggetti di “far rientrare i capitali detenuti illecitamente all'estero” con conseguente regolarizzazione della propria posizione fiscale, oppure con il cd. ravvedimento operoso che riconosce al contribuente la possibilità di emendare gli errori commessi in buona fede mediante una dichiarazione integrativa (M. Pierro, Il dovere fiscale e lo scambio di informazioni in Riv. Dir. Fin. e Scien. Fin., 4, 1 dicembre, 2017, 449).

Il primo istituto si presenta come un'autodichiarazione di residenza fiscale italiana che consente il ripristino della “legalità erariale” (M. Grotto, Aspetti penali della voluntary disclosure Criminal Implications of Voluntary Disclosure in Cass. Pena., 6, 2015, 2152), il ravvedimento operoso, invece, consente al contribuente che si accorga di aver commesso un errore di rettificare il dato inserito presentando una dichiarazione integrativa. Infine, nell'ottica della compliance si pone anche l'uso di algoritmi per l'elaborazione di informazioni rilevanti e per migliorare l'effettività dei controlli, in funzione repressiva. L'algoritmo assolve alla funzione di parametrare le informazioni derivanti dagli indicatori con quanto risulta dalla dichiarazione del contribuente attribuendo un giudizio di affidabilità (N. Rangone, Semplificazione ed effettività dei controlli sulle imprese in Riv. Trim. di Dir. Pubbl., 3, 1 settembre, 2019, 882).

È lo stesso Statuto dei diritti del contribuente a prescrivere che “i rapporti tra l'Amministrazione finanziaria ed il contribuente debbano essere improntati alla leale collaborazione” (art. 10, L. n. 212/2000) e, dunque, ad indirizzare il rapporto tra le parti dell'obbligazione tributaria nell'ottica di una ottimizzazione fiscale attraverso la compliance (L. Salvini, I regimi fiscali e la concorrenza tra imprese, in Giur. Comm., 2, 2016, 130; G. Incerto, Compliance fiscale e prevenzione dei rischi in IlTributario, 24 dicembre 2019). Il principio enunciato pervade l'intero sistema e rafforza i principi di cui alla l. n. 241/1990.

Il principio enunciato pervade l'intero sistema e rafforza i principi di cui alla l. n. 241/90 attinenti al rapporto tra la Pubblica Amministrazione ed il cittadino, soprattutto se si considera che la funzione di imposta è quella di realizzare pratiche di walfare (S. D'Origo, Fiscalità, mercato e solidarietà: la crisi economica globale ed il ruolo del Diritto dell'Unione Europea, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 6, 1 dicembre, 2017, 1531).

La semplificazione delle regole deve indurre il contribuente, chiamato al versamento all'erario delle somme dovute a preferire la condotta collaborativa ed allo stesso tempo l'Amministrazione finanziaria deve incrementare i sistemi di monitoraggio automatico che oggi sono identificabili, tra gli altri, con l'Anagrafe tributaria e con il sistema informativo in materia di antiriciclaggio (M. De Benedetto, Controlli della Pubblica Amministrazione sui privati: controlli e rimedi in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 3, 1 settembre, 2019, 855).

L'obiettivo della compliance, dunque,non è solo quello di effettuare un giusto recupero erariale, ma di ingenerare nei contribuenti la fiducia verso il sistema fiscale, in una prospettiva di durevole collaborazione.

L'interlocuzione preventiva mediante l'interpello per nuovi investimenti

I principi suesposti rappresentano il perimetro entro cui l'Amministrazione Finanziaria è chiamata ad esercitare il potere di controllo, attraverso un meccanismo di ponderazione tra il principio di uguaglianza e quello della giusta imposizione muovendo dalla considerazione che l'obiettivo dell'equa imposta può essere raggiunto più agevolmente mediante il contributo in termini collaborativi del contribuente.

Il tentativo di una collaborazione fiscale tra le parti del rapporto obbligatorio viene in luce anche con la previsione del cd. interpello, istituto a carattere preventivo che prevede una fase procedimentalizzata di confronto tra l'amministrazione finanziaria ed il contribuente (F. Amatucci, Nozioni e principi di diritto tributario, Giappichelli, 2016, passim) la cui disciplina generale è contenuta all'interno dell'art. 11 della l. 212/2000; istituto che assume rilevanza anche in termini di economicità se si tiene conto del valore attribuito al silenzio in mancanza di risposta da parte dell'Ufficio, che riveste i connotati di un silenzio significativo.

Si può, dunque, osservare che il procedimento di interpello attivi una fase di monitoraggio preventivo sulle condotte dei singoli contribuenti al fine di evitare condotte contra legem e si configura quale fondamentale strumento di gestione del rischio fiscale.

Il riferimento che, nel caso di specie, rileva è al cd. interpello preventivo, procedimento attivabile in relazione all'applicazione delle disposizioni tributarie a casi concreti nei quali il contribuente ravvisi dei rischi fiscali. L'Amministrazione Finanziaria, dopo aver valutato la sussistenza dei presupposti di ammissibilità della istanza, è tenuta a rispondere nel termine di quarantacinque giorni dal ricevimento della domanda. A tale istituto si affianca il cd. interpello per nuovi investimenti introdotto dall'art. 2, del D.Lgs. n. 147/2015, cd. decreto internazionalizzazione, che origina da una apposita istanza da rivolgere all'Agenzia delle Entrate da parte di investitori siano essi italiani o stranieri che intendono effettuare operazioni rilevanti sul territorio dello Stato per mezzo della quale si chiede all'Ufficio quale trattamento fiscale sia applicabile alle suddette operazioni.

La richiesta può essere presentata dalle imprese residenti e non residenti, nonché dai soggetti che siano qualificabili come imprese (in tale ultima ipotesi è necessario che l'investimento si traduca nello svolgimento di un'attività commerciale o comporti operazioni aventi come target imprese). L'istanza di interpello può essere formulata in presenza di obiettive condizioni di incertezza e deve recare un contenuto minimo: la descrizione del caso concreto e personale, l'indicazione del domicilio del contribuente o dell'eventuale domiciliatario per l'effettuazione delle comunicazioni, la sottoscrizione del contribuente o del suo legale rappresentante. Trattandosi di un interpello cd. speciale, l'Agenzia delle Entrate può evadere la risposta a carattere vincolante nel termine di centoventi giorni, prorogabili in caso di complessità di ulteriori novanta giorni. La vincolatività della risposta è una tematica che rientra ancora una volta nella buona fede e leale collaborazione, sicché il parere dell'Agenzia delle Entrate è dotato di una particolare efficacia, in quanto non può essere modificato ed è vincolante in relazione al piano di investimento descritto nell'istanza e tale efficacia opera nei confronti di tutti i soggetti coinvolti nell'investimento. L'impegno dell'Amministrazione Finanziaria, in tal caso, è proprio quello di analizzare in via preventiva le condotte suscettibili di generare rischi fiscali significativi e fornire al contribuente una risposta entro un termine ragionevole al fine di creare un meccanismo di “certezza fiscale” e semplificazione degli adempimenti posti a carico del contribuente. Logica conseguenza è la nullità di qualunque atto emanato dall'Ufficio in difformità con quanto espresso, fatta salva l'ipotesi in cui sia sopraggiunto un mutamento delle condizioni presenti al momento della proposizione dell'istanza.

È

opportuno osservare che il procedimento di interpello è significativo sul piano generale, perché origina un “contatto procedimentale” che viene ad instaurarsi prima ancora che l'Ufficio abbia esercitato il potere di controllo e consente al contribuente di avere chiarimenti dall'ufficio, affinché la sua condotta non assuma i connotati di un comportamento fiscalmente rilevante. Al D.Lgs. n. 128/2015,, dunque, è riconducibile la prescrizione di regole comuni a tutte le tipologie di interpello, con la previsione della regolarizzazione non limitata alle ipotesi di carenza della sottoscrizione, tale intervento legislativo è espressione del favor debitoris, ma anche del principio di economicità in quanto la procedura non può essere attivata tutte le volte in cui l'istanza risulti priva dei requisiti non sanabili (A. L. Cazzato, Il nuovo volto dell'interpello tributario alla prova della compliance allargata, in Fisco, 2016, 17, 1620).

Nella stessa ottica si colloca la possibilità riconosciuta al contribuente di integrare la documentazione carente, con la previsione che in mancanza di ottemperanza all'integrazione entro i termini previsti, l'interpello si intende rinunciato.

L'ottimizzazione delle risorse tramite la fatturazione elettronica

La normativa di settore prescrive l'obbligo, a carico del soggetto che effettua la cessione di beni o la prestazione di servizi, di emettere un documento chiamato appunto fattura al manifestarsi del presupposto impositivo (art. 21, DPR. 633/72). Il documento in oggetto nasce in versione cartacea per poi essere coinvolto nel progetto di snellimento dell'amministrazione pubblica per effetto della cd. amministrazione digitale, diretta ad estendere l'azione amministrativa verso nuovi servizi nell'ambito dei quali vi rientra anche il documento in formato cd. elettronico (L. Zoppoli, P. Monda, Innovazioni tecnologiche e lavoro nelle pubbliche amministrazioni in Dir. Rel. Industr., 2, 1 giugno 2020, 312).

Come sovente accade in un ordinamento gerarchico, qual è appunto quello italiano, lo sguardo è rivolto alle disposizioni della Comunità Europea con conseguente adeguamento all'interno dei singoli Stati membri.

Ed, infatti, la fatturazione elettronica trova ad esempio riconoscimento in un provvedimento comunitario, la Direttiva n. 2006/112/UE volto a promuovere l'utilizzo della fatturazione elettronica negli ordinamenti interni (C. Melillo, I. Mottola, Direttiva n. 2010/45/UE - Fattura elettronica: le novità applicabili dal 2013, in Fisco, 2011, 21 - parte 1, 3313) che ha trovato applicazione nell'ordinamento nazionale per effetto della l. 24 dicembre 2007, n. 244 introduttiva per la prima volta in Italia dell'obbligo per le aziende che cedono beni o prestano servizi alla Pubblica Amministrazione di emettere esclusivamente fatture elettroniche nell'ottica delle soluzioni cd. e - precurement (U. Zanini, L'obbligo di fatturazione elettronica verso le amministrazioni pubbliche, in Fisco, 2013, 26 - parte 1, 3978).

In tal senso si colloca anche la Direttiva 2010/45/UE che rafforza l'utilizzo dello strumento elettronico.

In tale impianto, dunque, si inseriscono le disposizioni nazionali, invero, con il D. Lgs. 27 dicembre 2018, n. 148, in linea con la normativa europea si è data attuazione alla fatturazione elettronica verso la pubblica amministrazione; siffatta procedura si inserisce nella logica della trasparenza, imparzialità e lotta ai fenomeni corruttivi che possono svilupparsi nei procedimenti ad evidenza pubblica con conseguenti vantaggi anche sul piano dell'economicità dei procedimenti e del contenimento dei costi. Segnatamente, la fattura elettronica assume i connotati di un documento informatico trasmesso mediante la procedura telematica all'ente impositore (S. Capolupo, Le semplificazioni per l'avvio della fatturazione elettronica, in Il tributario, 14 novembre 2018) e contenente l'indicazione dell'operazione posta in essere dal soggetto interessato. Per fattura elettronica si intende la fattura che è stata emessa e ricevuta in qualunque formato contenente la data di emissione, il numero progressivo che la identifichi in modo univoco e tutti gli elementi prescritti dall'art. 21, d.P.R. 600/73; secondo le disposizioni normative il ricorso alla fatturazione elettronica è subordinato all'accettazione del destinatario ed il soggetto che emette la fattura elettronica deve conservarla in formato digitale. La fatturazione elettronica si ispira alla logica dell'economicità dell'azione amministrativa attraverso l'abbattimento di una serie di fasi procedimentali e la rapidità delle comunicazioni. Evidente, dunque, è l'intento perseguito da siffatto istituto che, da un lato vuole implementare i meccanismi telematici e dall'altro assicurare la trasparenza ed imparzialità dell'azione amministrativa (G. Sgueo, Amministrazioni più trasparenti ed efficienti con la fatturazione elettronica obbligatoria in Giornale Dir. Amm., 2019, 5, 556).

Senza poi trascurare che la fatturazione elettronica rappresenta uno strumento necessario ai fini del neoistituto della dichiarazione precompilata Iva che consente al contribuente di avere a disposizione una bozza di dichiarazione effettuata dallo stesso Ufficio. Come già accaduto per il 730 precompilato, non è più il contribuente a calcolare l'imposta da versare, ma lo stesso Ufficio a ricostruire il quantum da corrispondere. Prima facie, potrebbe apparire in deroga al principio di autotassazione, ma in realtà è sempre il contribuente ad informare l'ufficio della propria situazione economica mediante l'emissione delle fatture elettroniche.

La semplificazione degli adempimenti: le comunicazioni del contribuente mediante l'esterometro

In linea con l'esigenza di semplificazione delle procedure inerenti ai rapporti tra l'amministrazione finanziaria ed il contribuente, si colloca anche il cd. strumento che prevede a carico dei soggetti titolari di partita Iva l'obbligo di comunicare i dati relativi alle operazioni effettuate e ricevute con soggetti non stabiliti nel territorio dello Stato. Il riferimento normativo di tale strumento è rinvenibile nell'art. 1, comma 3-bis, del D.Lgs. n. 127/2015, che prevede la trasmissione telematica inizialmente con cadenza mensile, poi a seguito del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, con periodicità trimestrale, entro la fine del mese successivo al trimestre di riferimento, di tutte le operazioni intercorse con soggetti non residenti, salvo quelle per le quali sia stata emessa una bolletta doganale e quelle per le quali siano state emesse o ricevute fatture in formato elettronico (R. De Pirro, Semplificazione degli adempimenti Iva: esterometro trimestrale e imposta di bollo semestrale, in Fisco, 2020, 4, 343.).

È

, dunque, agevole scorporare la norma attraverso due profili: l'uno soggettivo e l'altro oggettivo. Con riguardo al primo il riferimento è ai soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato con esclusione, per espressa previsione legislativa, dei soggetti aventi un ridotto volume di affari, cd. contribuenti minimi, e quelli soggetti a regime forfettario. Sotto il profilo oggettivo, l'esterometro si applica alle operazioni effettuate o ricevute con soggetti stranieri, non residenti o stabiliti nel territorio dello Stato, ad esclusione dei dati transfrontalieri legati alla presenza delle fatturazioni elettroniche ovvero delle bollette doganali (G. Giuliani, M. Spera, Dopo il rinvio, esterometro ai blocchi di partenza, in Fisco, 2019, 14, 1328.).

Tuttavia, l'esterometro riguarda anche le operazioni rese a privati ed in tal caso occorre comprendere quali siano i tratti di differenziazione tra i soggetti residenti ed i non residenti. Il riferimento è al concetto di residenza ovvero il luogo in cui il cessionario/committente viva abitualmente o per motivi di interessi personali o professionali (G. Giuliani, M. Spera, Assonime fa chiarezza sulle incertezze relative all'esterometro in Fisco, 2019, 21, 2013).

L'esterometro si inserisce nel progetto già intrapreso con la fatturazione elettronica al punto da poter ritenere che tra i due istituti sussista un rapporto di interdipendenza tale per cui l'uno è strumentale all'attuazione dell'altro. Per effetto di tale strumento si instaura una linea diretta tra l'amministrazione finanziaria ed il contribuente che si esplica attraverso la comunicazione che il soggetto passivo inoltra all'Ufficio di dati e informazioni rendendolo edotta circa le operazioni poste in essere. Tuttavia, l'esterometro secondo le ultime indicazioni contenute nel disegno di legge di Bilancio 2021 potrebbe perdere la sua efficacia a partire dal primo gennaio 2022 ed essere sostituito dalla comunicazione mediante fatturazione elettronica, in modo da apportare una ulteriore semplificazione prevedendo l'utilizzo di un unico canale di trasmissione, il Sistema di interscambio (Sdl), eliminando l'obbligo di una comunicazione autonoma per le operazioni transfrontaliere

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