Classamento: attribuzione della rendita
06 Aprile 2021
Momento di attribuzione della rendita
Al fine di individuare il momento in cui debba ritenersi effettuata l'attribuzione di rendita occorre accertare se si perfezioni a seguito dell'iscrizione della rendita medesima negli atti catastali (c.d. messa in atti) o dalla data antecedente della denuncia di variazione da parte del contribuente, nel caso di comunicazione allo stesso prima del 1° gennaio 2000. La questione è stata risolta dalle Sezioni Unite che hanno affermato che “in tema di ICI, il metodo di determinazione della base imponibile collegato alle iscrizioni contabili, previsto dall'art. 5, comma 3, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, per i fabbricati classificabili nel gruppo catastale D, non iscritti in catasto, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, fino all'anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita, vale sino a che la richiesta di attribuzione della rendita non viene formulata, mentre, dal momento in cui fa la richiesta, il proprietario, pur applicando ormai in via precaria il metodo contabile, diventa titolare di una situazione giuridica nuova derivante dall'adesione al sistema generale della rendita catastale, sicché può essere tenuto a pagare una somma maggiore (ove intervenga un accertamento in tali sensi), o avere diritto di pagare una somma minore, potendo, quindi, chiedere il relativo rimborso nei termini di legge” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 3160 del 09/02/2011; Cass Sez. U, Sentenza n. 3666 del 15/02/2011). Ciò che rileva, quindi, è la data di attribuzione della rendita, indipendentemente dalla c.d. “messa in atti” , retroagendo i suoi effetti alla data della richiesta. L'imposta dovuta in base al classamento per gli atti fondati su rendita attribuita entro il 31 dicembre 1999, ha effetto dalla data di adozione e non da quella di notificazione. (Cass. Civ., sez. trib., Sentenza n. 21970 del 16/10/2009), mentre per gli atti attributivi o modificativi delle rendite catastali ante 2000 non può trovare applicazione l'art. 74, c. 1. L. 342/2000.
Infatti, ai fini della determinazione della rendita, fino al 31 dicembre 1999, era sufficiente la comunicazione dell'avvenuto classamento delle unità immobiliari a mezzo del servizio postale, indipendentemente dalla annotazione negli atti catastali. Deve distinguersi il caso in cui la classificazione di un immobile muta perché l'amministrazione procede in autotutela, prendendo atto di un proprio errore, dal caso in cui è il contribuente che dopo avere chiesto ed ottenuto la classificazione del proprio immobile in una certa categoria, ne richiede la classificazione in una categoria diversa. Gli immobili erroneamente classificati in una categoria non conforme alla destinazione d'uso, non possono essere esentati da imponibilità ove tale errato classamento sia stato determinato da una omissione del contribuente, che non abbia provveduto a denunciare l'effettivo utilizzo del cespite, non essendo onere dell'ente impositore richiedere all'ufficio competente le modifiche della rendita preesistente nell'ipotesi di negligenza del soggetto per legge onerato (Cass. n. 3277/2019; Cass. 1704/2016; Cass. 15025/2016). Vi è quindi un onere del contribuente di denunciare esattamente la destinazione d'uso, e in caso di errore la rettifica non può estendere i suoi effetti agli anni di imposta in cui l'amministrazione si è regolata sulla base della dichiarazione del contribuente. Gli immobili erroneamente classificati in una categoria non conforme alla destinazione d'uso, non possono essere esentati da imponibilità ove tale errato classamento sia stato determinato da una omissione del contribuente, che non abbia provveduto a denunciare l'effettivo utilizzo del cespite, non essendo onere dell'ente impositore richiedere all'ufficio competente le modifiche della rendita preesistente nell'ipotesi di negligenza del soggetto per legge onerato (Cass. n. 3277/2019; Cass. 1704/2016; Cass. 15025/2016). Vi è quindi un onere del contribuente di denunciare esattamente la destinazione d'uso, e in caso di errore la rettifica non può estendere i suoi effetti agli anni di imposta in cui l'amministrazione si è regolata sulla base della dichiarazione del contribuente.
Si tratta di una regola generale, affermata dalla giurisprudenza di legittimità in base alla quale "in tema d'imposta comunale sugli immobili (ICI), la regola generale prevista dall'art. 5, comma 2, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, secondo cui le variazioni delle risultanze catastali hanno efficacia, ai fini della determinazione della base imponibile, a decorrere dall'anno d'imposta successivo a quello nel corso del quale sono state annotate negli atti catastali, si applica anche quando il contribuente si avvalga della procedura DOCFA ai fini della determinazione della rendita catastale, ai sensi del d.m. finanze 19 aprile 1994 n. 701, non avendo tale procedura caratteristiche dissimili da qualsiasi altra istanza di attribuzione di rendita ed essendo il termine di efficacia, previsto dall'art. 5, comma 2, cit., ispirato a ragioni di uniformità delle dichiarazioni e degli accertamenti. Tale interpretazione non solo non comporta alcuna violazione dell'art. 53 Cost., in quanto l'esigenza di tener conto della capacità contributiva non esclude il potere discrezionale del legislatore di fissare un termine di efficacia uguale per tutti i contribuenti, ma è essa stessa espressione del principio di uguaglianza, in quanto l'applicazione di un termine differenziato nell'ipotesi di ricorso alla procedura DOCFA, comporterebbe una discriminazione fra contribuenti". (Cass. 21310/10; in termini Cass. 3168/15; Cass. n. 17824 del 2017; Cass. n. 11846/2017).
Al riguardo, anche il Ministero dell'Economia, richiamando la regola generale prevista dalla normativa Imu, impone di fare riferimento alla rendita catastale vigente al 1° gennaio dell'anno di imposizione; pertanto le variazioni di rendita catastale intervenute nel corso dell'anno avranno efficacia solo a partire dall'anno successivo (Cass. 2017, n. 20463). Detto principio patisce eccezione per la sola ipotesi in cui le variazioni costituiscano correzioni di errori materiali di fatto (come tali riconosciuti dalla stessa Amministrazione) incorsi nel classamento che sostituiscono; ovvero conseguano a modificazioni della consistenza o della destinazione dell'immobile denunciate dallo stesso contribuente, dovendo allora esse trovare applicazione dalla data della denuncia, in quanto il fatto che la situazione materiale denunciata risalga a data anteriore non ne giustifica un'applicazione retroattiva rispetto alla comunicazione effettuata all'Amministrazione; ciò in quanto il riesame delle caratteristiche dell'immobile da parte del medesimo ufficio comporta, previa correzione degli errori materiali, l'attribuzione di una diversa rendita con decorrenza dall'originario classamento rivelatosi erroneo o illegittimo (Cass. n. 21310 del 2010; Cass. n. 13018/2012; Cass. 3168 del 2015 Cass. n. 11844 del 2017; Cass. n. 27024 del 2017)
Laddove la norma (art. 5, comma 3 D.lgs cit.) parla di immobili “classificabili” nelle categorie da E/1 a E/9, fa riferimento solo agli immobili non ancora classificati e non anche a quelli già classificati, su istanza del contribuente, in una categoria che in seguito, sempre ad istanza del contribuente, venga rettificata.
A tale conclusione si giunge seguendo i criteri dell'interpretazione letterale avendo attenzione al significato del termine usato dal legislatore, “classificabile”; il suffisso “-abile” dal latino abilis, è un derivativo degli aggettivi tratti dai verbi della coniugazione in “are” e indica l'attitudine, possibile o necessaria, di quanto predicato dal verbo. Pertanto, classificabile si dice di un oggetto non ancora classificato, ma abile, idoneo ad esserlo. Nello stesso senso depone anche la lettura sistematica della norma in questione: trattando degli immobili della categoria D, chiarisce che gli immobili così “classificabili” sono quelli non ancora iscritti in catasto. Alle medesime conclusioni si giunge in base alla lettura coerente con i principi fondamentali dell'ordinamento e in particolare con i principi della certezza dei rapporti giuridici, del legittimo affidamento, che vale nei rapporti con l'ente pubblico, nonché con il principio, dato dall'art. 14 delle preleggi, che le norme eccezionali, quali sono quelle che riguardano le esenzioni dal tributo, sono di stretta interpretazione (Cass. n. 13145/2019).
Anche la giurisprudenza di legittimità ha affermato che l'art. 7 lett. b) del D.lgs. 504/1992, laddove dispone che sono esenti da imposta “i fabbricati classificati o classificabili nelle categorie catastali da E/1 a E/9” deve essere letto nel senso che l'esenzione si riferisce ai fabbricati così classificati oppure a quelli non ancora iscritti in catasto, ma nondimeno così classificabili, e che per il periodo in cui non sono stati ancora classificati, sono esenti da imposta se sussistono, per il medesimo periodo, i presupposti per la loro iscrizione nella categorie indicate. Di contro, l'esenzione non si applica agli immobili che siano stati classificati in una categoria diversa da quelle indicate con le sigle da E/3 a E/9 ad iniziativa del contribuente, che non può, ai fini della suddetta esenzione, invocare in suo favore l'errore, se non nei limiti e con gli effetti temporali propri della variazione della classificazione.
Ai fini del computo della base imponibile, il provvedimento di modifica della rendita catastale, emesso dopo il primo gennaio 2000 a seguito della denuncia di variazione dell'immobile presentata dal contribuente, è utilizzabile, a norma dell'art. 74 della legge 21 novembre 2000, n. 342, anche con riferimento ai periodi di imposta anteriori a quello in cui ha avuto luogo la notificazione del provvedimento, purché successivi alla denuncia di variazione. Stabilendo, infatti, con il citato art. 74, che dal primo gennaio 2000 gli atti attributivi o modificativi delle rendite catastali sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, il legislatore non ha voluto restringere il potere di accertamento tributario al periodo successivo alla notificazione del classamento, ma piuttosto segnare il momento a partire dal quale l'amministrazione comunale può richiedere l'applicazione della nuova rendita ed il contribuente può tutelare le sue ragioni contro di essa, non potendosi confondere l'efficacia della modifica della rendita catastale - coincidente con la notificazione dell'atto - con la sua applicabilità, che va riferita invece all'epoca della variazione materiale che ha portato alla modifica. ai fini del computo della base imponibile, (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 13443del27/07/2012; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 20775del26/10/2005). Secondo un univoco, e consolidato indirizzo interpretativo della S.C., il termine (di 12 mesi), per la determinazione della rendita catastale definitiva da parte dell'Ufficio non ha natura perentoria e, dunque, decadenziale. Procedura DOCFA
In tema di catasto di fabbricati, la procedura di cui al d.m. 19 aprile 1994, n. 701, regolamento emanato ai sensi dell'art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, che consente al titolare di diritti reali sui beni immobili di proporne la rendita, ha il solo scopo di rendere più rapida la formazione del catasto ed il suo aggiornamento, attribuendo alle dichiarazioni presentate ai sensi dell'art. 56 del d.P.R. n. 1142 del 1949, la funzione di “rendita proposta”, fino a quando l'ufficio finanziario non provveda alla quantificazione della rendita definitiva. La norma ha, infatti, introdotto la procedura cd. DOCFA per l'accertamento delle unità immobiliari, che consente al dichiarante, titolare di diritti reali sui beni, di proporre la rendita degli immobili stessi; ne consegue che il termine massimo (entro dodici mesi dalla data di presentazione delle dichiarazioni) di un anno assegnato all'ufficio dall'art. 1, comma 3, del d.m. per la “determinazione della rendita catastale definitiva” non ha natura perentoria, con conseguente decadenza dell'amministrazione dall'esercizio del potere di rettifica - costituente una modalità di esercizio dei poteri per la formazione ed aggiornamento del catasto- ma meramente ordinatoria. La natura perentoria del termine, infatti, oltre a non essere attribuita dalla norma regolamentare, neppure può ricavarsi dalla disciplina legislativa della materia, con la quale è assolutamente incompatibile un limite temporale alla modificazione o all'aggiornamento delle rendite catastali (Cass. n. 6411 del 2014; Cass. n. 16824 del 2006). Peraltro, ove l'Amministrazione non provveda a definire la rendita del bene oggetto di classamento, saranno le dichiarazioni presentate dai contribuenti ai sensi dell'art. 56 del d.P.R. n. 1142 del 1949 a valere come “rendita proposta” fino a che l'ufficio non provvederà alla determinazione della rendita definitiva (Cass. n. 16824 del 2006; Cass. n. 6411 del 2014; Cass. n. 16242 del 2015). In ipotesi di classamento di un fabbricato mediante la procedura Docfa, l'atto con cui l'amministrazione disattende le indicazioni date dal contribuente deve contenere un'adeguata -ancorché sommaria - motivazione, che delimiti l'oggetto della successiva ed eventuale controversia giudiziaria, affermando che l'Ufficio non può «limitarsi a comunicare il classamento che ritiene adeguato, ma deve anche fornire un qualche elemento che spieghi perché la proposta avanzata dal contribuente con la Dofca viene disattesa». (Cass. ord. n. 3394 del 2014; n. 23237 del 2014).
Tale principio contrasta, solo, in apparenza con la giurisprudenza (cfr., Cass. n. 2268 del 2014) secondo cui in ipotesi d'attribuzione della rendita catastale, a seguito della procedura Docfa, l'obbligo di motivazione è soddisfatto con l'indicazione dei dati oggettivi e della classe, trattandosi di elementi conosciuti o comunque facilmente conoscibili per il contribuente e tenuto conto della struttura fortemente partecipativa dell'atto. Tale ultimo principio deve, infatti, trovare applicazione nel caso in cui gli elementi di fatto indicati nella dichiarazione presentata dal contribuente non siano stati disattesi dall'Ufficio e risultino, perciò, immutati, con la conseguenza che la discrasia tra la rendita proposta e la rendita attribuita sia la risultante di una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati: in tal caso, risulta evidente come la presenza e l'adeguatezza della motivazione rilevino, non già ai fini della legittimità dell'atto, ma della concreta attendibilità del giudizio espresso. Diversamente, laddove la rendita proposta con la Dofca non venga accettata in ragione di ravvisate differenze relative a taluno degli elementi di fatto indicati dal contribuente, l'Ufficio dovrà specificarle, sia per consentire al contribuente di approntare agevolmente le consequenziali difese, che per delimitare, in riferimento a dette ragioni, l'oggetto dell'eventuale successivo contenzioso, essendo precluso all'Ufficio di addurre, in giudizio, cause diverse rispetto a quelle enunciate. In tema di motivazione degli atti di modifica del classamento si è affermato che è necessaria l'enunciazione delle relative ragioni per consentire al contribuente il pieno svolgimento del suo diritto di difesa e per circoscrivere l'ambito dell'eventuale futuro giudizio. (Cass. n. 9626 del 2012; ord. 19814 del 2012; n. 21532 del 2013; n. 17335 del 2014; n. 16887 del 2014), Dovrà essere, quindi, il contribuente, ad evidenziare come la divergenza di stima non sia dipesa dalla contestazione, da parte dell'Ufficio, di elementi di fatto concernenti la tipologia e composizione dell'immobile, quanto da una diversa valutazione economica (a sua volta discendente da una diversa metodologia estimativa) dei medesimi convergenti elementi di fatto, non essendo stata accettata la rendita proposta per differenze estimative , ad esempio sulle caratteristiche dell'immobile, se compreso tra i fabbricati costruiti o adattati per le speciali esigenze di un'attività commerciale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni, ovvero tra gli uffici/studi privati. Occorre, quindi verificare se il dissenso si sia formato sui fatti posti a fondamento dell'atto di classamento, non essendo controversa la consistenza catastale o l'ubicazione o esiti di ristrutturazione, ma solo la valutazione di detti fatti incontroversi e le conseguenze giuridiche che da tali valutazioni debbono esser fatte discendere. Ove gli elementi fattuali siano rimasti immutati, è sufficiente, ai fini della motivazione, che l'avviso di accertamento contenga i dati identificativi dell'immobile, la categoria, la classe e la consistenza, Per gli immobili che appartengono alla categoria ordinaria, ai fini del classamento, il metodo di stima non è la stima diretta, ma è la metodologia comparativa, basata sulle caratteristiche estrinseche ed intrinseche dell'immobile e sulla sua ubicazione, in relazione alla tariffa prevista per la classe d'appartenenza, verificando se le caratteristiche strutturali dell'immobile oggetto di controversia non risultano variate rispetto alla precedente classificazione, Nel caso di dichiarazione di variazione (d.l. n. 16 del 1993, art. 2, conv. in l. n. 75 del 1993) la relativa disciplina procedimentale (cd. Docfa) si rinviene nel d.m. 19 aprile 1994, n. 701 il quale, a sua volta, dispone che «L'ufficio notifica al contribuente le risultanze delle dichiarazioni di cui al comma 1 nei soli casi in cui abbia apportato variazioni a quelle denunciate o proposte dalla parte.» (art. 1, c. 10).
Va, ancora, considerato che, ai sensi della l. n. 311 del 2004, art. 1, c. 375, «Gli atti comunque attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati possono essere prodotti e notificati ai soggetti intestatari, a cura dell'Agenzia del territorio, avvalendosi di procedure automatizzate. In tal caso, la firma autografa del responsabile è sostituita dall'indicazione a stampa del nominativo dello stesso.»; e la procedura Docfa è fondata (anche) sulla «redazione automatizzata dei … documenti.» (d.m. n. 701 del 1994, art. 1, c. 7; v., altresì, il previgente d.lgs. 12 febbraio 1993, n. 39, art. 3, c. 2). Non è, quindi, prescritta la sottoscrizione a pena di nullità né, in altro modo, ne è disciplinata l'imputazione soggettiva secondo i requisiti che, diversamente, sono posti (solo) dal d.p.r. n. 600 del 1973, art. 42, c. 1 (sottoscrizione del capo dell'ufficio ovvero di altro impiegato della carriera direttiva delegato). Non è necessaria la sottoscrizione degli atti amministrativi ai fini della loro esistenza e validità (cfr. Cass., 22 novembre 2004, n. 21954; Cass., 5 maggio 2000, n. 5684; Cass., 24 settembre 1997, n. 9394); ciò in quanto l'evoluzione giurisprudenziale in materia, nel completare un processo di svalorizzazione della sottoscrizione autografa come dichiarazione della provenienza dell'atto dalla persona del titolare dell'organo, e come prova scritta di tale provenienza, ha rilevato che «l'atto amministrativo esiste come atto di un certo tipo se esso proviene dall'organo oggettivamente inteso e reca contrassegni che impegnano la responsabilità della persona titolare dell'organo» (così Cass., 6 luglio 2012, n. 11458; v., altresì, Cass., 10 giugno 2009, n. 13375 e, con riferimento alla cartella esattoriale, Cass., 5 dicembre 2014, n. 25773; Cass., 27 luglio 2012, n. 13461). La l. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21-septies (nullità del provvedimento), a sua volta, così dispone: «È nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge».
A fronte, pertanto, di un principio generale che postula, – con riferimento all'atto amministrativo e, per quel che qui interessa, all'atto tributario, – la rilevanza (solo) delle nullità testuali (sul principio di tassatività delle nullità cfr., ex plurimis, Cass., 2 dicembre 2015, n. 24492; Cass., 9 novembre 2015, n. 22810; v., altresì, Corte Cost., 21 aprile 2000, n. 117), la nullità dell'avviso di accertamento catastale, per difetto di sottoscrizione, non è conseguenza prevista dalla legge (a differenza di quanto disposto dal d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, art. 42; v., in tema di avviso di accertamento catastale, Cass., 7 marzo 2019, n. 6633; v., altresì, quanto alla sottoscrizione del ruolo, Cass., 18 maggio 2018, n. 12243; Cass., 14 novembre 2014, n. 24322; e, quanto alla sottoscrizione della cartella esattoriale, Cass., 27 febbraio 2009, n. 4757 cui adde, ex plurimis, Cass., 7 settembre 2018, n. 21844).
La giurisprudenza delle SS.UU. (Cass. n. 3160 del 2011), chiamate a comporre il contrasto esistente in giurisprudenza, in relazione all'annoin cui deve ritenersi verificato il presupposto legislativo che impone di considerare, non più il "valore di libro", ma il valore catastale attribuito agli immobili classificabili nel gruppo catastale D, ha affermato il principio secondo cui: “In tema di ICI, il metodo di determinazione della base imponibile collegato alle iscrizioni contabili, previsto dall'art. 5, comma 3, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, per i fabbricati classificabili nel gruppo catastale D, non iscritti in catasto, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, fino all'anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita, vale sino a che la richiesta di attribuzione della rendita non viene formulata, mentre, dal momento in cui fa la richiesta, il proprietario, pur applicando ormai in via precaria il metodo contabile, diventa titolare di una situazione giuridica nuova derivante dall'adesione al sistema generale della rendita catastale, sicché può essere tenuto a pagare una somma maggiore (ove intervenga un accertamento in tali sensi), o avere diritto di pagare una somma minore, potendo, quindi, chiedere il relativo rimborso nei termini di legge”. Sopralluogo
La giurisprudenza della S.C. ritiene non necessario il sopralluogo affermando «in tema di estimo catastale, la revisione delle rendite catastali urbane in assenza di variazioni edilizie non richiede la "previa visita sopralluogo" dell'ufficio, né il sopralluogo è necessario quando il nuovo classamento consegua ad una denuncia di variazione catastale presentata dal contribuente» «atteso che le esigenze sottese al sopralluogo ed al contraddittorio si pongono solo in caso di accertamento d'ufficio giustificato da specifiche variazioni dell'immobile» Cass. 374/2017 (tra le altre, cfr. Cass. sez. 6-5, ord. 13 febbraio 2015, n. 2998; Cass. sez. 6-5, ord. 14 novembre 2012, n. 19949; Cass. sez. 5, 3 novembre 2010, n. 22313) In tema di classamento, l'attribuzione di rendita ai fabbricati a destinazione speciale o particolare, e specificamente quelli classificati nel gruppo catastale D), deve avvenire, come previsto anche dall'art. 7 del d.P.R. n. 604/1973, mediante "stima diretta", senza che ciò presupponga, peraltro, l'effettuazione di un previo sopralluogo, potendo l'Amministrazione legittimamente avvalersi della valutazione, purché mirata e specifica, delle risultanze documentali in suo possesso. Quindi l'esecuzione del previo sopralluogo, non costituisce né un diritto del contribuente né una condizione di legittimità del correlato avviso attributivo di rendita, trattandosi solo di uno strumento conoscitivo del quale l'Amministrazione può avvalersi, ferma restando la necessità della stima diretta ai fini della determinazione del reddito medio ordinario, come previsto dall'art. 37 del d.P.R. n. 917 del 1986, ricavabile dalle caratteristiche del bene anche sulla base delle risultanze documentali a disposizione dell'Ufficio.
Va, anche, segnalato che “in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), la disciplina prevista dall'art. 74, comma 3, della legge 21 novembre 2000, n. 342, per la quale la notifica dell'atto impositivo ai fini ICI vale anche come atto di notificazione della rendita attribuita, comporta l'obbligo di impugnazione autonoma dell'atto modificativo della rendita catastale nei 60 giorni dalla data della notifica, stante l'autonomia tra i giudizi di impugnazione dell'atto di attribuzione della rendita catastale e dell'atto impositivo emanato dall'ente locale. Ne consegue che, in caso di omessa impugnazione dell'atto di attribuzione della rendita catastale, quest'ultimo diviene definitivo, non potendosi estendere l'effetto sospensivo della richiesta di accertamento con adesione, di cui all'art. 12, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, all'autonomo giudizio di impugnazione dell'atto quale attributivo della rendita catastale” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 25550 del 03/12/2014).
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