Liquidazione del danno da mancato consenso informato in ambito sanitario: la proposta dell'osservatorio di Milano

06 Aprile 2021

L'Osservatorio sulla Giustizia civile di Milano ha individuato, sulla base dell'analisi giurisprudenziale, una serie di criteri da utilizzare per pervenire alla liquidazione del danno patito dal paziente ove non sufficientemente informato ai fini della formulazione del consenso al trattamento sanitario.
Una nuova proposta

Tra i documenti elaborati dall'Osservatorio sulla giustizia civile di Milano - trasmessi in data 10 marzo ai Presidenti del Tribunale e della Corte d'Appello, assieme alle nuove “Tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione alla integrità psico-fisica e dalla perdita/grave lesione del rapporto parentale” – una delle novità è rappresentata dalla definizione dei “Criteri orientativi per la liquidazione del danno non patrimoniale da mancato/carente consenso informato in ambito sanitario”.

Il documento è frutto di una ricerca durata svariati anni, la quale – tramite l'analisi di un campione statisticamente significativo di pronunce riguardanti la lesione dell'autodeterminazione terapeutica – ha elaborato una serie di criteri orientativi per la quantificazione del pregiudizio non patrimoniale discendente dalla violazione, da parte del medico, dell'obbligo informativo volto a ottenere il consenso del paziente. Risultato di tale analisi è l'individuazione di una scala di graduazione di quello che viene definito quale “danno all'autodeterminazione”, il quale viene suddiviso in quattro livelli (lieve – media – grave – eccezionale entità). A ciascun livello viene fatta corrispondere una liquidazione monetaria da contenersi entro una fascia predefinita: da 1000 a 4000 euro per il danno di lieve entità; da 4001-9000 euro per il danno di media entità; da 9001 a 20.000 euro per il danno di grave entità; oltre i 20.000 euro per il danno di eccezionale entità.

I criteri di quantificazione individuati dall'Osservatorio si propongono di rappresentare un riferimento per il giudice, perseguendo lo scopo di garantire che la liquidazione del pregiudizio segua uno modello omogeneo, tramite il quale poter assicurare uniformità e prevedibilità delle sentenze. Si tratta, quindi, di analizzare lo schema così delineato, per verificare l'attendibilità dei meccanismi sui quali lo stesso risulta imperniato, onde verificare se lo stesso possa fornire una scala parametrata su basi condivisibili.

Il pregiudizio derivante dalla lesione all'autodeterminazione terapeutica

Un'osservazione di carattere preliminare va formulata con riguardo all'impianto base del sistema.

Nell'illustrare i criteri orientativi per la liquidazione del pregiudizio, si afferma che vengono a distinguersi “quattro ipotesi di danno al diritto all'autodeterminazione, a seconda dell'intensità del vulnus al diritto che è stato in concreto accertato, in base alla ricorrenza di una o più circostanze della fattispecie concreta che attenuano, ovvero aggravano, il pregiudizio al diritto ad autodeterminarsi in ambito sanitario”. Un'affermazione del genere pone in luce quello che – in questo campo – rappresenta uno dei nodi più complessi da sciogliere: vale a dire la necessità di operare una distinzione tra lesione all'autodeterminazione terapeutica e pregiudizio dalla stessa derivante.

Nelle indicazioni preliminari dell'Osservatorio i riflettori sembrano rimanere puntati sulla gravità della lesione, mentre rimane in ombra il pregiudizio scaturente dalla stessa, considerato che non emerge alcun tentativo di delineare il fenomeno che si punta a misurare. Il pregiudizio da risarcire resta catalogato attraverso il generico riferimento alla categoria del danno non patrimoniale, in sé non dotata di valenza descrittiva quanto alle compromissioni prodottesi in capo alla vittima dell'illecito.

Procedere a un chiarimento sul punto non appare un'operazione semplice, una volta constatato che gli stessi giudici di legittimità – pur essendo pervenuti da oltre dieci anni al riconoscimento dell'autonoma risarcibilità del danno da lesione dell'autodeterminazione terapeutica – non sono ancora riusciti a identificare in maniera compiuta e univoca come venga a strutturarsi il pregiudizio patito dal paziente. Va, in ogni caso, precisato che ogni tentativo di misurazione in termini omogenei può essere rivolto esclusivamente al danno scaturente dalla lesione all'autodeterminazione in sé considerata; per quanto riguarda la violazione di altri interessi della persona, dei quali la stessa rappresenti il tramite, si tratterà di valutare le conseguenti compromissioni in termini di pura equità. È questo il caso del pregiudizio - più volte emerso in giurisprudenza - patito dal Testimone di Geova che abbia subito, contro la sua volontà, un'emotrasfusione, contraria al suo credo religioso: peculiari sofferenze emotive emergeranno, in tal caso, quali effetto della violazione della libertà religiosa della persona, per cui la relativa liquidazione esula da qualunque modello tabellare.

Per chiarire la sostanza del pregiudizio oggetto di misurazione, si tratta di fare riferimento alle voci di pregiudizio che sono state, di volta in volta, identificate a livello giurisprudenziale quale conseguenza tipica della lesione dell'autodeterminazione terapeutica. In questa prospettiva, andranno presi in considerazione:

a) turbamento e sofferenza causati da una situazione inaspettata: a tale proposito la Cassazione sottolinea come la preventiva informazione del paziente permetta a costui di vivere il trattamento e le sue conseguenze, anche in termini di sofferenza, con una più serena predisposizione d'animo. Pertanto, le carenze informative sono suscettibili di provocare un turbamento emotivo legato all' “impreparazione” di fronte alla condizione determinata dal trattamento. È bene precisare che il danno da impreparazione non riguarda solo le ipotesi di complicanze, ma anche le eventuali ripercussioni normali del trattamento. Tale profilo del pregiudizio sarebbe destinato a rilevare in ogni caso, a prescindere da qualunque dimostrazione circa un ipotetico rifiuto del trattamento: lo stato d'animo negativo è infatti legato esclusivamente all'effetto sorpresa, tanto più rilevante quanto più gravi si rivelino le conseguenze inattese.

b) sofferenza e contrazione della libertà di disporre di sé stesso, psichicamente e fisicamente, durante l'esecuzione dell'intervento e la convalescenza. Un pregiudizio del genere è stato considerato, dalla S.C., conseguenza normale di ogni violazione delle regole sul consenso. L'essenza del danno, in questo caso, corrisponde al fatto di trovarsi ed essere stato oggetto (e non già soggetto) della terapia, in quanto il paziente viene esautorato dalla gestione del proprio corpo. Entra qui in gioco un profilo morale del danno di carattere oggettivo, attinente alla sfera di lesione della dignità della persona.

Il modello milanese

Il modello proposto dall'Osservatorio milanese si basa su una suddivisione per livelli di gravità del pregiudizio da risarcire: prospettiva, questa, senz'altro condivisibile, in quanto volta a identificare, per ciascuno di tali gradini, una fascia di quantificazione - i cui valori risultano incardinati sull'analisi dei precedenti giurisprudenziali - entro la quale collocare la liquidazione del giudice. Da questo punto di vista è interessante notare come nessun riferimento risulta effettuato a una soglia di tollerabilità del pregiudizio, sotto la quale il danno da lesione all'autodeterminazione non andrebbe risarcito, in ossequio alle indicazioni formulate, in termini generali, dalle Sezioni Unite di San Martino del novembre 2008; prospettare la ricorrenza di danni bagatellari quando sia in gioco un valore fondamentale quale la gestione del proprio corpo apparirebbe, in effetti, fuorviante.

Meno condivisibile appare, invece, l'idea di legare – a ciascun livello di gravità del danno – una correlativa graduazione degli indicatori: ciascuno di essi, infatti, va pesato nella sua consistenza, che incide bensì sull'entità del pregiudizio, ma non necessariamente secondo la sincronia indicata nel documento (sicché, per fare un esempio, un danno di lieve entità potrebbe ben scaturire da una violazione dell'obbligo informativo del tutto carente, in assenza di ripercussioni negative sulla salute e a fronte di un trattamento poco invasivo). In buona sostanza, più opportuno appare – per il giudice – valutare separatamente ciascun indicatore, per sommare il peso di ciascuno ai fini dell'inclusione del pregiudizio in una delle quattro fasce di gravità individuate dal modello.

I criteri orientativi

Qualche osservazione meritano, infine, i singoli criteri individuati dal modello proposto:

(a) Entità dei postumi/sofferenze fisiche: considerata l'autonomia della lesione all'autodeterminazione rispetto alla lesione alla salute - per cui la prima può sussistere anche in assenza di ripercussioni negative sull'integrità psico-fisica del paziente - la rilevanza di un criterio del genere incide, fondamentalmente, sulla misurazione della sofferenza correlata all'impreparazione del paziente (posto che la menomazione psico-fisica riceverà autonoma considerazione sul piano risarcitorio ove ricorrano i relativi presupposti). Sembrerebbe, peraltro, plausibile tener conto esclusivamente delle ripercussioni legate al trattamento di per sé considerato e alle relative complicanze; non si prestano ad essere presi in considerazione i postumi conseguenti a un eventuale errore medico, dal momento che per questi non assume alcun rilievo causale la violazione dell'obbligo informativo.

(b) Necessità di interventi riparatori: tale indice, che nel modello si accompagna al primo, andrebbe preso in considerazione autonomamente, quale elemento suscettibile di condizionare l'autodeterminazione del paziente. Si tratta, peraltro, di un elemento che non risulta correlato all'entità dei postumi, considerato che potrebbe essere necessario un trattamento riparatore anche laddove si tratti di ovviare a conseguenze di lieve entità.

(c) Sofferenza interiore: a essere enunciato, qui, non è un criterio di misurazione, bensì viene fatto riferimento al fenomeno stesso che si punta a misurare, il quale viene identificato secondo i due profili di pregiudizio che abbiamo evidenziato in esordio: vale a dire la sofferenza legata agli esiti del trattamento e la sofferenza legata alla compromissione della dignità provocata dalla lesione dell'autodeterminazione.

(d) Vulnerabilità del paziente: il criterio in questione sembra poter incidere non tanto sul profilo sofferenziale del pregiudizio, quanto piuttosto sulla considerazione della compromissione della dignità. Tanto più vulnerabile appare il paziente, come tale meno dotato di strumenti di difesa, tanto più grave apparirà la violazione dell'obbligo informativo da parte del medico (per cui, più che assumere rilevanza autonoma, tale indice andrebbe considerato all'interno della valutazione quanto al carattere dell'inadempimento).

(e) Caratteristiche del trattamento: le caratteristiche del trattamento sanitario cui risulta sottoposto il paziente vengono enunciate mettendo in luce l'invasività, l'urgenza, e l'esistenza di alternative terapeutiche. Nell'illustrazione del modello le tre caratteristiche vengono intrecciate in una combinazione che non necessariamente si manifesta nella realtà concreta (ad es.: l'intervento potrebbe essere poco invasivo e per niente urgente). Ben chiara dev'essere, allora, la necessità di valutare separatamente ciascuna di esse. Una caratteristica ulteriore, per quanto riguarda questo profilo, concerne la necessità del trattamento per la salute: indicazione, questa, posta in luce nel documento in relazione ai trattamenti sanitari di tipo estetico.

(f) Carattere dell'inadempimento: l'indice in questione viene a graduare il tipo di violazione informativa commessa, considerato che la carenza informativa può manifestarsi con diverse modalità. A tale riguardo fondamentale appare, in ogni caso, la valutazione dell'effettivo apporto causale di tale violazione alla generazione di esiti pregiudizievoli in capo al paziente (sia in termini sofferenziali, che sul piano della compromissione della dignità).

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