Compensi amministrativi indeducibili se la delibera è postuma

Alessandro Borgoglio
08 Aprile 2021

La corresponsione da parte di una società di capitali di compensi amministrativi maggiori di quelli deliberati, anche se ratificati con apposita delibera di qualche anno dopo, configura una sostanziale violazione delle competenze attribuite all'assemblea dei soci e, quindi, sul piano fiscale, ciò comporta l'indeducibilità di tali compensi per la società. Lo ha stabilito la Cassazione, con l'ordinanza 5763/2021.
Massima

La corresponsione da parte di una società di capitali di compensi amministrativi maggiori di quelli deliberati, anche se ratificati con apposita delibera di qualche anno dopo, configura una sostanziale violazione delle competenze attribuite all'assemblea dei soci e, quindi, sul piano fiscale, ciò comporta l'indeducibilità di tali compensi per la società. Lo ha stabilito la Cassazione, con l'ordinanza 5763/2021.

Il caso

Una piccola Srl (poi divenuta Spa), a ristretta base familiare, era stata destinataria di avvisi di accertamento, con i quali il Fisco aveva recuperato a tassazione, per violazione dell'articolo 109 del Tuir, l'importo dei compensi corrisposti agli amministratori dalla società, atteso che a questi negli anni 2005 e 2006 erano stati erogati emolumenti complessivi superiori a quelli stabiliti dalla specifica delibera assembleare di nomina degli amministratori.

A fronte dei giudizi di merito dagli esiti contrastanti, l'Ufficio proponeva ricorso per Cassazione, contro la decisione d'appello, per cui i compensi sarebbero stati comunque deducibili dal reddito d'impresa della società, atteso che quest'ultima era costituita da una ristretta compagine familiare, per cui i compensi degli amministratori erano ben noti ai soci; inoltre, tali importi erano stati indicati nel bilancio d'esercizio e nella nota integrativa, oltre a essere stati espressamente ratificati con una delibera assembleare del 2007; e, comunque, l'operazione era avvenuta in buona fede e il recupero fiscale avrebbe determinato, nella sostanza, una doppia tassazione della medesima materia imponibile.

La questione

Per esaminare la fattispecie in oggetto occorre previamente inquadrare le norme di riferimento.

Si tratta, in particolare, dell'art. 95, comma 5, del Tuir, a mente del quale i compensi spettanti agli amministratori delle società di capitali sono deducibili nell'esercizio in cui sono corrisposti. Tuttavia, poiché i compensi amministrativi assumono la qualifica di redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, si applica il c.d. “principio di cassa allargata” valevole per questi ultimi, ai sensi dell'art. 51, comma 1, del Tuir, secondo cui il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro, considerandosi percepiti nel periodo d'imposta anche le somme e i valori in genere corrisposti dai datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d'imposta successivo a quello cui si riferiscono.

Inoltre, in tema di reddito d'impresa, occorre considerare anche l'art. 109 del Tuir, che fissa i criteri di deducibilità dei componenti di reddito, tra cui quelli di competenza, inerenza (anche se per una parte della dottrina e della giurisprudenza tale requisito è immanente nel sistema del reddito d'impresa), certezza e determinabilità. Un componente del reddito d'impresa è deducibile solo se presenta tutti i suddetti requisiti previsti dall'art. 109.

La soluzione giuridica

Da quanto sin qui illustrato emerge che non esistono specifiche disposizioni del TUIR che menzionino la delibera assembleare come presupposto per la deducibilità, da parte della società erogante, degli emolumenti corrisposti agli amministratori. Alla necessità di tale preventiva delibera, però, è pervenuta la Cassazione, in via giurisprudenziale, sancendo dei principi che, al lato pratico, finiscono per operare alla stessa stregua di una norma codificata nel diritto positivo.

Il punto di partenza per l'approdo fiscale poc'anzi delineato è, però, civilistico.

L'articolo 2364, comma 1, numero 2) e 3), c.c. stabilisce, tra l'altro, che nelle società prive di consiglio di sorveglianza l'assemblea ordinaria nomina e revoca gli amministratori e determina il loro compenso, se non è stabilito dallo statuto; inoltre, l'art. 2389 c.c. dispone, tra l'altro, che i compensi spettanti ai membri del consiglio di amministrazione sono stabiliti all'atto della nomina o dall'assemblea.

Le Sezioni Unite hanno interpretato le norme codicistiche, pervenendo alla conclusione che la determinazione dei compensi amministrativi, se non integrata nello Statuto della società, richiede una esplicita delibera assembleare, non potendosi ritenere implicita in quella di approvazione del bilancio, attesa la natura imperativa e inderogabile della previsione normativa di cui all'articolo 2389 C.C. e la distinta previsione della delibera di approvazione del bilancio da quella della determinazione dei compensi ex articolo 2364, numero 3, c.c. (SS.UU. 21933/2008).

Da ciò, i Supremi Giudici della Sezione Tributaria sono giunti al principio, poi reiterato nel tempo, per cui soltanto la preventiva delibera assembleare con cui sia stato approvato l'importo dei compensi amministrativi permette di attribuire a tali costi gli elementi di certezza e inerenza richiesti dall'articolo 109 del TUIR ai fini della deducibilità (cfr. Cass. 17673 e 20265 del 2013, 5349/2014).

Ciò in quanto, ai fini del requisito della certezza del costo, per i compensi amministrativi, assume rilievo il momento della formazione del titolo giuridico in cui trova fonte l'obbligazione patrimoniale, ovvero la specifica delibera assembleare di determinazione di tali compensi, in assenza della quale, appunto, viene a mancare il ridetto titolo giuridico (Cass. 21953/2015).

La Suprema Corte, l'anno scorso, confermando il suo orientamento, lo ha ulteriormente puntualizzato, statuendo che, qualora la determinazione della misura del compenso degli amministratori di società di capitali, ai sensi dell'art. 2389, comma 1, del Codice Civile, non sia stabilita nell'atto costitutivo, è necessaria una esplicita delibera assembleare, che non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio, atteso:

  • la natura imperativa e inderogabile della previsione normativa, discendente dall'essere la disciplina del funzionamento delle società dettata, anche, nell'interesse pubblico al regolare svolgimento dell'attività economica;
  • la distinta previsione della delibera di approvazione del bilancio e di quella di determinazione dei compensi (art. 2364 n. 1 e 3 cod. civ);
  • la mancata liberazione degli amministratori dalla responsabilità di gestione, nel caso di approvazione del bilancio (art. 2434 cod. civ.);
  • il diretto contrasto delle delibere tacite e implicite con le regole di formazione della volontà della società (art. 2393, secondo comma, cod. civ.).

Conseguentemente, l'approvazione in sé del bilancio, pur se contenente la posta relativa ai compensi degli amministratori, non è idonea per la loro deducibilità dal reddito d'impresa, salvo che un'assemblea convocata solo per l'approvazione del bilancio, essendo totalitaria, non abbia espressamente discusso e approvato la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori (Cass. n. 28586/2020).

Nelle dinamiche interne ai gruppi societari, accade sovente che la società controllante/partecipante affidi l'incarico di amministratore nel board della società controllata/partecipata ad un dipendente (di solito un dirigente), proprio o di altra società del gruppo.

In tal caso, la controllata corrisponde il compenso dell'amministratore direttamente alla società della quale questi è dipendente e l'emolumento concorre alla formazione del reddito d'impresa della società controllante nel periodo di competenza. Simmetricamente al detto criterio di tassazione del compenso come reddito d'impresa della controllante, per quanto attiene al costo sopportato dalla società controllata, trova applicazione la disciplina generale dell'art. 109, tuir, della deduzione dei costi "per competenza", con esclusione, quindi, dell'art. 95, comma 5, tuir, al quale, errando, fa riferimento l'A.F., che prevede la diversa ipotesi della deducibilità dal reddito d'impresa, nell'esercizio in cui sono corrisposti (secondo il principio di cassa), dei compensi erogati direttamente agli amministratori.

La questione è stata recentemente risolta, nei termini appena illustrati, da (Cass. n. 22479/2020), che ha avuto modo di chiarire che: «In questi casi [...] la società non versa alcun compenso all'amministratore, legato da rapporto di lavoro dipendente o di collaborazione coordinata e continuativa con altra società, ma si limita a versare a quest'ultima un corrispettivo per l'utilità ricevuta, consistente nella fruizione dell'attività di gestione societaria espletata dalla risorsa umana messale a disposizione. La situazione fattuale non è, quindi, riconducibile alla fattispecie [...] della deduzione del costo rappresentato dal compenso all'amministratore, mancando l'erogazione di somme di denaro a tale titolo a colui che ha svolto l'attività gestoria. L'inapplicabilità della disciplina della deduzione del costo per attività di amministrazione societaria e del relativo principio, eccezionale, di cassa, determina, in applicazione delle regole generali sui componenti del reddito di impresa, la rilevanza del costo quale spesa per prestazione di servizi e la sua deducibilità secondo il principio di competenza [...]».

In conclusione

La pronuncia in commento - Cass. 5763/2021 - aggiunge un ulteriore tassello al quadro giurisprudenziale sin qui delineato, perché nel caso di specie gli emolumenti corrisposti in eccesso dalla società, rispetto a quanto previamente deliberato dall'assemblea dei soci, erano poi stati ratificati con una successiva delibera degli stessi soci.

Per la Suprema Corte, però, si tratta di un'operazione che configura una violazione sostanziale alle regole codicistiche di formazione della volontà dell'ente collettivo - la società -, che può esprimerla soltanto attraverso le delibere assembleari, sicché l'atto negoziale adottato in difformità è affetto da nullità assoluta e insanabile.

I profili civilistico e fiscale, secondo la Cassazione, sono strettamente legati, tanto che la violazione delle regole del Codice Civile, in materia di determinazione dei compensi degli amministratori, ovvero l'erogazione di emolumenti in assenza della specifica delibera, comporta sul piano civilistico la nullità dell'atto di autodeterminazione dei compensi da parte degli stessi amministratori e, sul piano fiscale, la loro indeducibilità dal reddito d'impresa, atteso che soltanto la presenza della delibera determina il rispetto delle regole civilistiche necessarie al fine di attribuire quei caratteri di certezza e determinabilità richiesti dall'art. 109 del Tuir ai fini della deducibilità dei componenti negativi di reddito.

Non può assumere rilievo quale esimente, peraltro, né la buona fede dei contribuenti né il fatto che i compensi siano già stati comunque tassati in capo ai percettori, come stabilito dalla Cassazione, con la pronuncia in commento.

Le conclusioni odierne, infine, si pongono in linea con un recente arresto secondo cui sono indeducibili gli emolumenti corrisposti dalla società a taluni amministratori, se, dopo una prima delibera che li ha specificamente approvati, una seconda ne ha stabilito la decorrenza a partire dall'anno successivo, mentre la società li aveva già corrisposti in quello precedente (Cass. 4400/2020).

Cassazione, con l

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ordinanza 5763/2021

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