Cause riconvenzionali e spostamento di competenza: differenze di disciplina tra domanda ed eccezione

Ilaria Capossela
13 Aprile 2021

Il Giudice di Pace, adito con domanda rientrante nella sua competenza per materia, ove sia investito, in via riconvenzionale, di un'eccezione che travalica la sua competenza per valore o per materia, deve decidere su entrambe...
Massima

Il Giudice di Pace, adito con domanda rientrante nella sua competenza per materia (nella specie, relativa al rispetto delle distanze legali nella piantagione di alberi), ove sia investito, in via riconvenzionale, di una eccezione che travalica la sua competenza per valore o per materia (nella specie, di usucapione, ma al solo fine di paralizzare la domanda attorea), deve decidere su entrambe, in quanto l'eccezione, a differenza della domanda riconvenzionale, non comporta lo spostamento della competenza e la separazione delle cause ai sensi dell'art. 36 c.p.c.

Il caso

Il Tribunale di Avellino ha proposto regolamento di competenza d'ufficio alla Corte di cassazione per risolvere il conflitto sorto tra lo stesso Tribunale ed il Giudice di Pace di Avellino.

Nel dettaglio, quest'ultimo giudice era stato investito della questione relativa all'insistenza di un albero di noce collocato a distanza non legale dal giardino di proprietà di parte attrice ai sensi dell'art. 7, comma 3, n.1, c.p.c. Parte convenuta, costituitasi in giudizio, ha resistito ed ha proposto causa riconvenzionale di usucapione del diritto di mantenere l'albero a distanza inferiore a quella legale.

Il Giudice di Pace, qualificando la causa riconvenzionale come «domanda» e non come «eccezione», ha separato la domanda principale da quella riconvenzionale, rimettendo le parti dinanzi al Tribunale quale giudice competente per materia. Da qui il conflitto negativo sulla questione di competenza per il quale il Tribunale ha proposto regolamento di competenza d'ufficio ex art. 45 c.p.c.

La Cassazione ha accolto la richiesta del Tribunale, confermando la competenza del Giudice di Pace, innanzi al quale ha rimesso le parti previa riassunzione.

La questione

Più precisamente, per la Cassazione, il primo giudice ha errato nell'individuare - in comparsa di costituzione - una domanda riconvenzionale di usucapione della servitù di tenere l'albero a distanza inferiore a quella legale. Infatti, per la Corte di legittimità, non si trattava di domanda in senso proprio bensì di eccezione riconvenzionale, finalizzata esclusivamente a paralizzare la pretesa attorea.

La distinzione non è di poco conto, perché - conclude la Corte - in presenza di un'eccezione riconvenzionale, contrariamente a quanto accade per la domanda, va esclusa la separazione e lo spostamento della competenza.

Le soluzioni giuridiche

La soluzione adottata dalla Suprema Corte muove dalla premessa che solamente in presenza di una domanda riconvenzionale - eccedente la competenza per materia o valore del giudice adito - si attui lo spostamento di competenza di cui all'art. 36 c.p.c. L'erronea qualificazione dell'eccezione riconvenzionale come domanda, ha indotto il Giudice di Pace a separare le pretese e a dichiarare la propria incompetenza. I Giudici di legittimità, invece, esaminando la comparsa di costituzione, hanno affermato che la parte convenuta aveva proposto un'eccezione riconvenzionale volta esclusivamente a paralizzare la domanda di parte attrice. Sicché, nel caso di specie, non opera l'art. 36 c.p.c. che regola lo spostamento dovuto a una domanda riconvenzionale eccedente la competenza per materia o per valore.

La pronuncia della Cassazione è conforme all'orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità. Del resto, ne era consapevole lo stesso Giudice di pace di Avellino laddove aveva richiamato uno specifico precedente (Cass. civ., 25 novembre 2010, n. 23937) in cui si negava, expressis verbis, la translatio iudicii nell'ipotesi di eccezione riconvenzionale, al contrario di quanto previsto per la domanda riconvenzionale eccedente la competenza del giudice adito.

Osservazioni

La pronuncia in commento merita ulteriori rilievi per quanto concerne le definizioni di domanda ed eccezione riconvenzionale e delle relative discipline.

La prima sta ad indicare la domanda proposta dal convenuto con cui si richiede l'accertamento - con efficacia di giudicato - di un diritto diverso da quello portato dalla domanda principale, purché ad esso collegato.

La seconda, invece, è stata elaborata dalla dottrina più autorevole (Mortara) nelle ipotesi di domanda riconvenzionale diretta a proporre un'azione costitutiva o di accertamento finalizzata principalmente alla paralizzazione della domanda attorea.

La Cassazione, dal proprio canto, ha mutuato e meglio sviluppato la nozione di «eccezione riconvenzionale», precisando che essa «realizza la funzione processuale della eccezione con la struttura logica della domanda riconvenzionale» (inter alia Cass. civ., 4 luglio 2007, n. 16314). Infatti, in tal caso, il convenuto amplia il tema della controversia al solo fine di paralizzare l'azione mirando, non alla pronuncia di un provvedimento favorevole, bensì al mero rigetto della domanda principale.

Anche in tempi recenti la Suprema Corte ha ribadito il principio secondo il quale «quando la deduzione è tesa ad ottenere il rigetto della domanda attorea - e non un'autonoma pronuncia sull'accertamento dell'usucapione - il giudice deve ritenersi investito di un'eccezione riconvenzionale e non, invece, di una domanda riconvenzionale» (Cass. civ., 4 marzo 2020, n. 6085). Così, in una fattispecie analoga a quella decisa dalla sentenza in commento, la Suprema Corte ha affermato che, qualora il convenuto in un giudizio di rivendica chieda, a sua volta, l'accertamento del diritto di proprietà al momento della decisione, l'istanza proposta ha natura di domanda riconvenzionale. Si è, invece, in presenza di una mera eccezione se il convenuto si limita a chiedere l'accertamento di una vicenda giuridica - come ad esempio, l'usucapione - per effetto della quale l'attore non è mai divenuto proprietario o ha cessato di esserlo (Cass. civ., 18 gennaio 2017, n. 1211).

Alle superiori considerazioni va aggiunto che la distinzione tra domanda riconvenzionale ed eccezione non dipende mai dal titolo posto a base della difesa del convenuto, ovvero dal fatto o dal rapporto giuridico invocato a suo fondamento, ma dal relativo oggetto, consistente nel risultato processuale che il convenuto vuole ottenere, circoscritto al rigetto della domanda proposta (Cass. civ., 24 febbraio 2015, n. 3594; Cass. civ., 25 ottobre 2016, n. 21472; Cass. civ.,5 marzo 2019, n. 6318).

Tenendo salda a mente tale differenza, risulta allora evidente che parte convenuta non era - nel caso di specie - intenzionata a far accertare in giudizio l'usucapione del diritto di mantenere l'albero a distanza inferiore a quella legale, ma ha voluto esclusivamente opporre il suddetto diritto a quello dell'attore per il rigetto della domanda principale.

Qualche parola deve altresì essere spesa per chiarire meglio la differenza delle relative discipline.

La domanda riconvenzionale è, come noto, disciplinata dall'art. 36 c.p.c. per il quale il giudice adito per la causa principale conosce anche delle domande riconvenzionali, nei limiti della propria competenza per valore o per materia. Diversamente - in caso di incompetenza - si applicano gli artt. 34 e 35 c.p.c., con conseguente spostamento di competenza.

Si aggiunga che la domanda riconvenzionale, ampliando la sfera dei poteri decisori del giudice, è esperibile solo in primo grado. L'eccezione riconvenzionale, invece, è frutto, come anticipato poc'anzi, di un'elaborazione dottrinale a cui la Cassazione ha applicato la disciplina propria delle eccezioni, contrapponendole nettamente alle domande. A ben guardare, con la massima su richiamata («…realizza la funzione processuale dell'eccezione con la struttura logica della domanda riconvenzionale») il meccanismo è espresso in maniera chiara: da un lato, il convenuto chiede l'accertamento di un rapporto diverso e più ampio mentre, dall'altro, agisce al solo fine di inibire la domanda attorea. In tal caso, dunque, l'istanza resta confinata nell'ambito dell'attività strettamente difensiva e, pur eventualmente ampliando la sfera dei poteri cognitori, lascia immutati i limiti di quelli decisori del giudice, quali determinati dalla domanda dell'attore (ex multis Cass. civ., 4 agosto 2015, n. 16339; Cass. civ., 2 ottobre 2016, n. 21472; Cass. civ., 4 marzo 2020, n. 6085). Così argomentando, la giurisprudenza ha ammesso pacificamente finanche la proposizione in appello delle eccezioni riconvenzionali. Al contrario, parte della dottrina ritiene che questa possibilità fosse consentita nel solo sistema preclusivo anteriore al 1990, risultando oggi preclusa per entrambe le fattispecie. Da ultimo, non va trascurato che, secondo la giurisprudenza, è consentita la riproposizione dell'eccezione riconvenzionale anche quando sia mancata l'impugnazione del rigetto della domanda riconvenzionale (Cass. civ., 18 novembre 2016, n. 23518).

Riferimenti
  • Evangelista, Riconvenzionale (domanda), in Enc. giur., XXVII, Roma, 1991, 1;
  • Mandrioli, Carratta, Diritto Processuale civile, I, Torino, 2017, 574.
  • Mortara, Commentario al codice di procedura civile, Milano 1923, 180;
  • Tarzia, Balbi, Riconvenzione (diritto processuale civile), in Enc. dir., XL, Milano, 1989, 665;
  • Vullo, La domanda riconvenzionale, Milano 1995, 94 ss.
  • Id., Riconvenzione, in Digesto civ., XVII, Torino, 1998, 526.

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