Medici che non aderiscono alla campagna vaccinale: aspetti normativi, deontologici, disciplinari e d.l. n. 44/2021
19 Aprile 2021
Introduzione
È passato ormai più di un anno dal primo lockdown nazionale causato dalla pandemia del SARS-CoV-2 che ha messo in ginocchio il tessuto socio-sanitario ed economico del nostro Paese e di tutto il mondo. In poco più di un anno a causa della COVID-19 abbiamo contato più di 100.000 morti in Italia e quasi tre milioni a livello globale. Di questa malattia, nonostante gli sforzi fatti dalla ricerca fino ad oggi, si conosce ancora poco e abbiamo a disposizione strategie terapeutiche limitate ed una organizzazione sanitaria con ancora troppe lacune e diversità territoriali. Qualunque medico sa che contro le infezioni virali esistono ancora oggi pochi farmaci rispetto a quelli in commercio contro le infezioni batteriche e qualunque medico sa anche che quando si parla di una malattia infettiva diffusiva (come la COVID-19), malgrado gli sforzi terapeutici per curare la singola persona, esiste un solo modo per evitare la circolazione del virus e debellare definitivamente la malattia: il vaccino. Come riporta il “Documento sui vaccini” redatto a cura della Federazione Nazionale degli Ordini Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO) nel 2016 “Nella storia della medicina i vaccini rappresentano una delle più grandi vittorie sulle malattie e sono tra i presidi più efficaci mai resi disponibili per l'uomo. La prevenzione e la scomparsa di malattie infettive, in passato tra i più terribili flagelli dell'umanità, costituiscono un successo senza pari e, senza dubbio, il più gran numero di vite salvate grazie alla scienza medica. Ed è forse la scomparsa del confronto quotidiano con le conseguenze mortali o invalidanti di tante malattie, dovuta alla scoperta dei vaccini e delle terapie antibiotiche, che ha indotto la cittadinanza a credere che il successo sulle malattie infettive fosse definitivo”. Il vaccino è l'unica arma oggi a nostra disposizione in grado di evitare che un soggetto si ammali e limitare (forse anche impedire) che il soggetto diffonda l'infezione, interrompendo così la catena di trasmissione del contagio al fine di estirpare in modo definitivo la circolazione dell'agente infettivo. Continua il documento della FNOMCeO: “… Statistiche raccolte negli USA dimostrano che le vaccinazioni hanno ridotto di più del 99% molte gravi malattie: del 100% polio paralitica, difterite e vaiolo, del 99% rosolia, rosolia congenita e morbillo, del 95% parotite, del 92% tetano e pertosse”.
Produrre un vaccino non è certo cosa semplice, sono necessarie lunghe ricerche scientifiche, anni di sperimentazioni, analisi sulla reale efficacia nel contrastare il patogeno e ancora più importanti e necessarie ricerche sul profilo della sua sicurezza, che deve essere chiaramente elevata per l'uomo, al fine di minimizzare il più possibile gli eventuali eventi avversi dovuti all'inoculazione del vaccino stesso. Per tutti questi motivi, e per altri che non ci sembra il caso di elencare in tale sede, per la produzione di un vaccino, forse più di quella per qualsiasi altro farmaco, è necessario un lungo lasso di tempo, di norma alcuni anni, almeno così è stato fino a poco tempo fa.
La scienza e la medicina negli ultimi anni hanno fatto notevolissimi passi in avanti in tema di innovazione e utilizzo di nuove tecnologie, tanto da velocizzare la creazione e produzione di un vaccino che, anche a causa dell'emergenza globale, ha richiesto poco meno di un anno. La riduzione delle tempistiche, tuttavia, non poteva di certo intaccare la struttura delle varie fasi di una sperimentazione e giocare a sfavore dell'efficacia e della sicurezza del prodotto. Per tale motivo, si legge nel Piano Strategico della “Vaccinazione anti-SARS-CoV-2/COVID-19” del 12 dicembre 2020, parallelamente alla realizzazione degli studi pre-clinici e di quelli di fase I, II e III, si è avviata la preparazione della produzione su scala industriale, per la distribuzione commerciale, che comunque non può avvenire prima che le Agenzie regolatorie, che per l'Europa è l'European Medicines Agency (EMA), abbiano compiuto i necessario approfondimenti per garantire la sicurezza e l'efficacia del prodotto e concedere così l'autorizzazione al commercio. Inoltre, proprio a causa dell'emergenza e al fine di accelerare i tempi di approvazione, l'EMA ha avviato, e lo sta ancora facendo, una procedura definita di “rolling review” che consiste nel valutare le singole parti dei dossier man mano che vengono presentate dalle aziende farmaceutiche, anziché attendere l'invio di un dossier completo. Questa procedura, quindi, non andando ad inficiare la valutazione complessiva, ha permesso di abbreviare significativamente i tempi di attesa e rendere il vaccino disponibile in un periodo veramente breve. Nonostante le verifiche dall'EMA e dell'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), tutti i vaccini oggi approvati in Italia sono comunque stati proposti alla popolazione in una situazione di emergenza, con “pochi”, seppur confortanti, dati oggettivi a disposizione rispetto a quelli necessari alla produzione di qualsiasi altro vaccino nel passato, dovuti comprensibilmente alla ristrettezza delle tempistiche dettate dall'enorme circolazione virale. Tutto ciò ha ovviamente creato nella popolazione un alone di timore, in particolare dopo la sospensione temporanea del vaccino AstraZeneca di questi giorni, che oltretutto è sempre stato mitigato ma comunque presente nei confronti delle case farmaceutiche, e che, purtroppo, non ha lasciato indifferenti nemmeno i professionisti sanitari. È necessario sottolineare però che la somministrazione di un nuovo vaccino alla popolazione è la cosiddetta fase IV della sperimentazione del prodotto, fase in cui la partecipazione delle persone, per un principio di eticità, deve essere assolutamente volontaria, senza penalizzare in alcun modo chi non voglia sottoporsi alla vaccinazione. E questo concetto è del resto sancito dall'art. 32 della Costituzione in cui viene chiaramente affermato che “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Anche dalla lettura di questo articolo, oltre che per l'attuale fase sperimentale di somministrazione dei vaccini, si comprende quindi facilmente che l'adesione alla campagna vaccinale, al momento, deve necessariamente essere su base volontaria e non può essere obbligatoria, a meno che non sia una legge a imporlo. L'obbligo vaccinale non è infatti completamente incompatibile con l'art. 32 della Costituzione, ma per esserci quest'obbligo deve esserci una legge, e affinché ci sia una legge che imponga un trattamento sanitario è necessario che vengano rispettati alcuni criteri fondamentali. Nella sentenza della Corte Costituzionale n. 258 del 20-23 giugno 1994, che riguardava il giudizio di legittimità costituzionale sulla vaccinazione obbligatoria contro l'epatite virale B, questi criteri sono espressi nel seguente passaggio: “…la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l'art. 32 della Costituzione: a) "se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell'uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale (cfr. sentenza 1990 n. 307); b) se vi sia la previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario e, pertanto, tollerabili; c) se nell'ipotesi di danno ulteriore alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio - ivi compresa la malattia contratta per contagio causato da vaccinazione profilattica - sia prevista comunque la corresponsione di una "equa indennità" in favore del danneggiato (cfr. sentenza 307 cit. e v. ora legge n. 210/1992)…”. Medesimo concetto è stato poi ribadito anche nella più recente sentenza n. 5 del 2018 in cui la Corte afferma la compatibilità tra l'art. 32 e l'obbligo vaccinale purché siano rispettati i criteri di tutelare la salute individuale e collettiva e di non arrecare danni alla salute di colui che si sottopone al vaccino.
Dunque, è possibile secondo la Corte che un trattamento sanitario sia obbligatorio, ma affinché ci sia una legge che imponga l'obbligo vaccinale, nel caso concreto contro il coronavirus, è necessario non solo disporre di dati certi a supporto dell'efficacia, e cioè che il vaccino produca effetti benefici non solo sul soggetto che si sottopone a vaccinazione ma anche sulla collettività, andando per esempio ad impedire la trasmissione dell'infezione. Ma è necessario disporre anche (ndr. e soprattutto) di dati certi a supporto della sicurezza dell'individuo che si sottopone alla vaccinazione, che non lo esponga a pericoli salvo il temporaneo e fugace effetto dovuto all'inoculazione stessa e alla successiva attivazione del sistema immunitario (febbre, mialgie, malessere). Purtroppo, tutti questi dati attualmente li abbiamo soltanto in maniera parziale e non completa e, seppure siano molto incoraggianti e lascino ben sperare, non sembrerebbero sufficienti, almeno in questa fase, a giustificare la proposizione di una legge che imponga un obbligo vaccinale alla popolazione.
Anche l'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa è attualmente di questo avviso e, infatti, nel report del 28 gennaio 2021 “Covid-19 vaccines: ethical, legal and practical considerations”, ha raccomandato di “garantire che i cittadini siano informati che la vaccinazione non è obbligatoria e che nessuno è politicamente, socialmente o altrimenti sotto pressione per vaccinarsi, se non lo desiderano da soli”, nonché di “attuare sistemi efficaci di monitoraggio dei vaccini e della loro sicurezza in seguito alla loro introduzione alla popolazione generale, anche al fine di monitorare gli effetti a lungo termine”. Sul punto anche il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) si è espresso in merito all'obbligatorietà vaccinale nell'attuale emergenza pandemica nel documento del 27 novembre 2020 “I vaccini e COVID-19: aspetti etici per la ricerca, il costo e la distribuzione” raccomandando “che sia rispettato il principio che nessuno dovrebbe subire un trattamento sanitario contro la sua volontà, preferendo l'adesione spontanea rispetto all'imposizione autoritativa, ove il diffondersi del senso di responsabilità individuale e le condizioni complessive della diffusione della pandemia lo consentano”; tuttavia, lo stesso CNB sottolinea che “nell'eventualità che perduri la gravità della situazione sanitaria e l'insostenibilità a lungo termine delle limitazioni alle attività sociali ed economiche, non vada esclusa l'obbligatorietà dei vaccini, soprattutto per gruppi professionali che sono a rischio di infezione e trasmissione di virus; tale obbligo dovrà essere revocato qualora non sussista più un pericolo significativo per la collettività”. Il fondamentale ruolo del medico nella campagna vaccinale
I timori della popolazione generale nei confronti dei vaccini in genere e, soprattutto, quelli per un nuovo vaccino, sono noti. Contro questi essenziali farmaci ormai da tempo esistono vere e proprie campagne di disinformazione, a volte addirittura portate avanti da quelle stesse figure che avrebbero il compito di promuoverne l'utilizzo. E quindi, in questo delicatissimo scenario resta da verificare qual è, o quale dovrebbe essere, la posizione dei medici che oggi più che mai sono stati travolti da questa emergenza, sia dal punto di vista lavorativo sia dal punto di vista umano.
Già nel 2015, il CNB nel documento “L'importanza delle vaccinazioni” affermava il ruolo fondamentale del medico nelle campagne vaccinali evidenziando “come i vaccini costituiscano una delle misure preventive più efficaci, con un rapporto rischi/benefici particolarmente positivo e con un valore non solo sanitario, ma etico intrinseco assai rilevante… In particolare, è necessario mobilitare i medici e le strutture sanitarie del territorio e promuovere efficaci campagne d'informazione, comunicazione ed educazione finalizzate a illustrare l'importanza delle vaccinazioni a livello individuale e collettivo e a richiamare i cittadini a scelte consapevoli e corrette nel proprio stesso interesse”. Anche nel Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale 2017-2019 viene affermato che “Ogni operatore sanitario, e a maggior ragione chi svolge a qualsiasi titolo incarichi per conto del Servizio Sanitario Nazionale, è eticamente obbligato ad informare, consigliare e promuovere le vaccinazioni in accordo alle più aggiornate evidenze scientifiche e alle strategie condivise a livello nazionale. La diffusione di informazioni non basate su prove scientifiche da parte di operatori sanitari è moralmente deprecabile, costituisce grave infrazione alla deontologia professionale oltreché essere contrattualmente e legalmente perseguibile”. Il ruolo del medico nella promozione e incentivazione della vaccinazione della popolazione generale è quindi delineato in maniera molto netta in questi due documenti e quello che ci si aspetta è che, oltre al ruolo di promotore verbale, il medico si faccia carico di questa sensibilizzazione in prima persona, dando prova della fiducia nella scienza sottoponendosi egli stesso alle vaccinazioni, soprattutto in corso di una pandemia.
La Carta di Pisa delle vaccinazioni negli operatori sanitari (2017) sottolinea invece che, in generale, l'adesione degli operatori sanitari alle vaccinazioni non sia affatto ottimale, in alcuni casi insoddisfacente, e rileva inoltre che “…La vaccinazione dell'operatore sanitario (OS), unitamente alle altre misure di protezione collettive ed individuali per la prevenzione della trasmissione degli agenti infettivi nelle strutture sanitarie, ha una valenza multipla: serve a proteggere l'operatore dal rischio infettivo professionale, serve a proteggere i pazienti e i cittadini dal contagio in ambiente assistenziale e comunitario, serve a difendere l'operatività dei servizi assistenziali, garantendo la qualità delle prestazioni erogate. A questo si aggiunga che, in un clima di diffuso scetticismo nei confronti della vaccinazione, l'OS che si vaccina offre un esempio positivo ai suoi assistiti e deve essere considerato come il principale promotore della cultura vaccinale all'interno della popolazione”. La scarsa adesione del personale sanitario alle vaccinazioni già in tempi normali non è sicuramente rassicurante, e diventa probabilmente rischiosa in un contesto emergenziale come quello in cui ci troviamo. Tuttavia, la Carta di Pisa si riferisce a vaccinazioni che ormai da tempo sono disponibili alle popolazioni e su cui molti studi sono stati effettuati garantendo alti standard di efficacia e sicurezza: “Le solide evidenze scientifiche a oggi ottenute, sia in ambito di ricerca clinica sia nella pratica assistenziale, circa la sicurezza e l'efficacia dei preparati disponibili confermano le attuali raccomandazioni previste all'interno dei programmi d'immunizzazione esistenti nel nostro Paese”. E se questi concetti si riferiscono a malattie infettive e vaccini che sono da tempo oggetto di studi, approfondimenti e innovazioni, benché lo stato delle conoscenze sul SARS-CoV-2 e sui diversi vaccini oggi autorizzati non sia ancora completo, lo stesso discorso, soprattutto per la diffusione pandemica di questo virus e le drammatiche criticità che ha determinato, andrebbe fatto anche per l'infezione di cui stiamo discutendo. La posizione degli Ordini professionali
Il Viceministro alla Salute, dott. Pierpaolo Sileri, riferendosi genericamente al medico che non si vaccina ha dichiarato: “se dopo sei anni di studio più la specialistica arrivi alla conclusione che il vaccino non serve, hai sbagliato lavoro… se fosse per me auspicherei che l'Ordine prenda provvedimenti e sanzioni”. Della stessa opinione anche il Sottosegretario alla Salute, dott.ssa Sandra Zampa che addirittura afferma che “nel contratto di lavoro pubblico lo metterei come precondizione per l'assunzione”. Andiamo ad analizzare, a questo punto, quali sono le decisioni di alcuni degli Ordini professionali che in questi mesi hanno espresso pubblicamente le loro posizioni sul tema della mancata adesione di alcuni professionisti sanitari alla campagna vaccinale contro il coronavirus.
L'Ordine dei Medici-Chirurghi e Odontoiatri di Bologna in data 3 febbraio 2021 ha pubblicato sul proprio sito un documento dal titolo “Il Medico di fronte alla vaccinazione anti SARS-CoV-2” nel quale, oltre a esaminare alcuni punti evidenziati anche precedentemente da noi, afferma che esistono sufficienti rassicurazioni sull'efficacia e sulla sicurezza dei vaccini disponibili e che il rapporto rischio/beneficio del vaccino e della attuale pandemia è a favore della vaccinazione. Inoltre, citando i primi articoli del Codice di Deontologia Medica asserisce il ruolo fondamentale del medico nel tutelare la salute individuale e collettiva e sottolinea che “non sarebbe deontologicamente corretto e né rispettoso delle vittime del COVID-19, in particolare in questo momento storico, che da parte anche solo di pochi medici provenissero voci contrarie alla vaccinazione, non sostenute da alcuna evidenza e basate solo su notizie non verificate o, peggio ancora, artatamente interpretate. Se non vi sono controindicazioni individuali, che risultano ad oggi essere veramente rare, la vaccinazione deve essere effettuata”. Ed ancora, il Presidente dell'Ordine dei medici di Bologna ha affermato in un'intervista che “Nel caso in cui alcuni medici decidessero di non aderire alla campagna vaccinale, si potrebbe valutare di prendere provvedimenti anche dal punto di vista legale. La mancata protezione verso i ricoverati è un problema che non può essere sottovalutato. Per questo cercheremo, attraverso il documento, di convincere tutti gli operatori sanitari che operano sul territorio. Attualmente la percentuale di adesione è buona, nonostante una prima carenza di dosi, ed il completamente del ciclo vaccinale registra un'adesione dell'80% del personale sanitario. Speriamo di arrivare a quote superiori al 95%”. Comunque, per quanto ne sappiamo, nessun provvedimento è stato adottato ad oggi nei confronti di medici bolognesi che hanno deciso di non sottoporsi alla vaccinazione.
Diversamente, l'Ordine dei Medici-Chirurghi e Odontoiatri di Roma ha avviato un procedimento disciplinare nei confronti di 13 medici che hanno apertamente espresso posizioni no-vax sui social e in TV. Tre di loro hanno palesemente sminuito, o addirittura negato, l'esistenza del coronavirus e hanno assunto posizioni contrarie alla vaccinazione anti-COVID-19; gli altri dieci medici, invece, avevano tenuto posizioni contrarie a tutte le vaccinazioni obbligatorie e a quelle anti-influenzali, e per loro i procedimenti disciplinari si sono già conclusi, con sanzioni che vanno dalla censura all'ammonimento, fino alla sospensione per 1-2 mesi. L'iter, dichiara in un'intervista il Presidente dell'Ordine di Roma, dott. Magi, prevede che i medici sotto procedimento giustifichino e presentino delle spiegazioni con motivazioni scientifiche a supporto di quanto affermato, che verranno poi valutate da un'apposita commissione dell'Ordine che decide se andare avanti e arrivare ad un'eventuale sanzione o archiviare. Nessun medico, conclude, è stato mai radiato perché contrario alle vaccinazioni.
Il Coordinatore degli Ordini dei Medici-Chirurghi e Odontoiatri del Veneto, dott. Francesco Noce, dichiara in un'intervista che pensare di non vaccinarsi è una pura follia e inaccettabile per chi opera nella sanità, sia da un punto di vista etico che deontologico. Lo stesso, però, ricorda che in Italia non esiste una legge che obblighi gli operatori sanitari a vaccinarsi contro il Covid ma afferma anche che “Chi non può vaccinarsi per motivi di salute dovrebbe avere un cambio mansione che lo allontani dal rischio di contagiarsi e contagiare, chi non vuole vaccinarsi dovrebbe essere sospeso. Tutti gli Ordini dei Medici hanno fra le loro mission la tutela della salute dei cittadini, è questo quello che noi dobbiamo fare. Mettere al sicuro il cittadino dal contagio all'interno degli ospedali”. Il messaggio del Coordinatore degli Ordini dei Medici veneti, nonché Presidente dell'Ordine dei Medici di Rovigo, che arriva dopo l'insorgenza di un focolaio scoppiato nel reparto di Geriatria a Rovigo nei primi giorni di febbraio 2020 e che aveva aumentato l'attenzione dei media e della popolazione su questa tematica, sembra abbastanza chiaro nel ribadire l'importanza della adesione alle vaccinazioni da parte del personale sanitario. Sulla stessa linea di pensiero è anche il Presidente dell'Ordine dei Medici di Venezia, dott. Giovanni Leoni, che afferma: “l'adesione al vaccino è volontaria, ma ai medici chiediamo di più, devono essere un esempio… Se l'Ordine ha notizia del rifiuto alla vaccinazione di un medico lo convoca per capire le ragioni della mancata adesione e se alla base del rifiuto non ci sono valide ragioni sanitarie, prevediamo l'apertura di un procedimento disciplinare i cui gradi previsti sono l'avvertimento, la censura, la sospensione o la radiazione”.
Infine, il Presidente della Federazione Nazionale Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (FNOMCeO), dott. Filippo Anelli, in un'intervista ha da poco lanciato un appello a tutti gli operatori sanitari: “Il vaccino è uno strumento potentissimo di difesa dei cittadini e della nostra professione che durante la pandemia ha subito troppe perdite. Non dobbiamo sottrarci, la deontologia ce lo impone… Si potrebbe comprendere l'obiezione di colleghi che lavorano in laboratorio ma non di quelli che operano ogni giorno a contatto diretto col paziente”. Il Presidente della FNOMCeO ha anche parlato di unpatentino di immunitàche, secondo lui, “dovrebbe essere un requisito per il personale di reparti critici come terapia intensiva, malattie infettive e pneumologia… se vuoi lavorare in quelle aree devi metterti in condizioni di dare sicurezza… si dovrebbe ragionare sull'obbligatorietà. La salute pubblica è un bene superiore alla libertà individuale”. Correlandoci a quest'ultima dichiarazione non si può non citare la sentenza n. 137 del 2019 della Corte Costituzionale che si è pronunciata nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Puglia 19 giugno 2018, n. 27 (Disposizioni per l'esecuzione degli obblighi di vaccinazione degli operatori sanitari), dichiarando legittima la possibilità delle regioni di “individuare i reparti in cui consentire l'accesso ai soli operatori sanitari che si siano attenuti alle indicazioni del PNPV vigente per i soggetti a rischio per esposizione professionale e nel prevedere le relative sanzioni amministrative per i trasgressori”. Tale sentenza, oggi più che mai, appare attuale e di rilevante importanza nel suggerire una attenta riflessione agli operatori sanitari e un particolare riguardo a quei contesti in cui la tutela della salute della collettività è messa in pericolo da una scarsa adesione alla campagna di vaccinazione del personale sanitario. Ricollegandoci al Codice di Deontologia Medica, infine, vogliamo citare l'art. 14 (Prevenzione e gestione di eventi avversi e sicurezza delle cure) che prevede che “il medico opera al fine di garantire le più idonee condizioni di sicurezza del paziente e degli operatori coinvolti, promuovendo a tale scopo l'adeguamento dell'organizzazione delle attività e dei comportamenti professionali e contribuendo alla prevenzione e alla gestione del rischio clinico”.
Questi ultimi due punti sono ripresi anche da un documento redatto dal prof. Buccelli e dal prof. Macrì, membri della Consulta Nazionale Deontologica (CND) della FNOMCeO, all'interno del quale vengono esposti ampiamente gli aspetti giuridici, etici e deontologici in merito all'obbligo vaccinale anti-COVID-19 per la categoria medica. Gli Autori citano l'art. 1 della Legge n. 24/2017 (Legge Gelli-Bianco), che testualmente riporta che “la sicurezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla salute ed è perseguita nell'interesse dell'individuo e della collettività. La sicurezza delle cure si realizza anche mediante l'insieme di tutte le attività finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio connesso all'erogazione di prestazioni sanitarie e l'utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative. Alle attività di prevenzione del rischio messe in atto dalle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, è tenuto a concorrere tutto il personale, compresi i liberi professionisti che vi operano in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale”. Per dettato di tale norma, continuano, ne deriva che gli esercenti le professioni sanitarie sono tenuti a sottoporsi alla vaccinazione al fine di non arrecare danno ai pazienti e non sottrarre risorse professionali alle strutture sanitarie e alla collettività. Tra gli aspetti deontologici citano, ovviamente, diversi articoli del Codice di Deontologia Medica in cui viene espresso ripetutamente l'obbligo deontologico dei medici di agire con assoluta correttezza comportamentale nei confronti dei pazienti che a loro si affidano. E in questa correttezza comportamentale rientra sicuramente anche la pratica vaccinale, giocando un ruolo importantissimo di prevenzione di potenziali danni per i pazienti. Richiamano addirittura in causa il Giuramento di Ippocrate nella parte in cui il medico si impegna a “regolare il tenore di vita per il bene dei malati” e ad astenersi dal recar loro “danno ed offesa”.
I due Autori esperti di Etica e Deontologia Medica concludono affermando che l'atto di rifiuto della vaccinazione anti-COVID-19 da parte dei medici contrasta con l'essenza stessa della professione ma, al contempo, suggeriscono di non puntare troppo su azioni sanzionatorie da parte degli Ordini professionali bensì sull'innesco di comportamenti virtuosi che portino i professionisti all'accettazione spontanea della vaccinazione per la finalità comune della salute del paziente. Anche l'INAIL da parte sua ha dovuto far fronte al problema della mancata adesione del personale sanitario alla vaccinazione anti-Covid. All'Ente, infatti, è stato chiesto se e quali provvedimenti dovrebbero essere intrapresi riguardo al personale sanitario che non abbia aderito alla vaccinazione anti-Covid-19, considerato che, pur in assenza di una specifica norma di legge che stabilisca l'obbligatorietà della vaccinazione, la mancata adesione al piano vaccinale nazionale potrebbe comportare da un lato responsabilità del datore di lavoro in materia di protezione dell'ambiente di lavoro e, inoltre, se la malattia-infortunio sia ammissibile o meno alla tutela INAIL nel caso in cui il personale che non abbia aderito alla profilassi vaccinale contragga il virus e si ammali.
In merito alla funzionalità della tutela assicurativa l'Ente ha ovviamente chiarito che essa opera indipendentemente dall'eventuale inadempimento dell'obbligo assicurativo da parte del soggetto assicurante e non può essere sottoposta a ulteriori condizioni se non quelli previsti dalla legge. La tutela assicurativa è così intensa da operare anche indipendentemente dall'eventuale inadempimento dell'obbligo assicurativo da parte del datore di lavoro. L'articolo 67 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124 stabilisce che “gli assicurati hanno diritto alle prestazioni da parte dell'Istituto assicuratore anche nel caso in cui il datore di lavoro non abbia adempiuto agli obblighi stabiliti nel presente titolo” (principio di automaticità delle prestazioni). In sintesi, l'assicurazione gestita dall'INAIL ha la finalità di proteggere il lavoratore da ogni infortunio sul lavoro, anche da quelli derivanti da una sua colpa, e di garantirgli i mezzi adeguati allo stato di bisogno derivante dalle conseguenze. Sotto il profilo assicurativo, per giurisprudenza consolidata il comportamento colposo del lavoratore, tra cui rientra anche la violazione dell'obbligo di utilizzare i dispositivi di protezione individuale, non comporta di per sé, l'esclusione dell'operatività della tutela prevista dall'assicurazione gestita dall'INAIL. Il comportamento colposo del lavoratore può invece ridurre oppure escludere la responsabilità del datore di lavoro, facendo venir meno il diritto dell'infortunato al risarcimento del danno nei suoi confronti, così come il diritto dell'INAIL ad esercitare il regresso nei confronti sempre del datore di lavoro, ma non comporta l'esclusione della tutela assicurativa prestata dall'Istituto in caso di infortunio. La nota chiarisce infine che “non si rileva allo stato dell'attuale legislazione in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, un obbligo specifico di aderire alla vaccinazione da parte del lavoratore; infatti il d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 all'articolo 279 riguardante Prevenzione e controllo, stabilisce che “il datore di lavoro, su conforme parere del medico competente, adotta misure protettive particolari (…)” tra cui “a) la messa a disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all'agente biologico presente nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente”, ma non prevede l'obbligo del lavoratore di vaccinarsi”. Atto finale: obbligo vaccinale per gli operatori sanitari
Infine - dopo più di tre mesi dall'inizio della campagna vaccinale e dopo numerosi e accesi dibattiti in merito alla mancata adesione, in alcuni casi, degli operatori sanitari alla vaccinazione, che in qualche occasione ha anche causato l'insorgenza di focolai all'interno delle strutture sanitarie - il 1° aprile 2021 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 79 il Decreto-legge n. 44 recante “Misure urgenti per il contenimento dell'epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici”. L'art. 4 di questo decreto prevede esplicitamente l'obbligo vaccinale per “gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali”. Come precedentemente esposto, infatti, l'obbligo vaccinale è compatibile con l'art. 32 della Costituzione, anche se, come abbiamo visto, unicamente al ricorrere di specifici presupposti non ancora del tutto consolidatisi per il vaccino contro il SARS-CoV-2. Tuttavia, in questa precipua fase emergenziale, la motivazione che ha portato il Governo a introdurre l'obbligo vaccinale per gli operatori sanitari è chiaramente quella di preservare il più possibile la salute pubblica, e quindi la salute dell'intera comunità, a discapito di una momentanea contrazione del diritto di autodeterminazione del singolo (operatore sanitario). Certo è che sulle spalle degli operatori sanitari “gravava” già un obbligo deontologico, etico e morale non indifferente e che, molto spesso, è stato troppo facilmente dimenticato in ambito vaccinale, e cioè quello di agire nell'interesse degli assistiti mettendo in campo tutte le attività finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio connesso all'erogazione di prestazioni sanitarie, tra cui per certo la profilassi vaccinale, così come riportato ampiamente nel Codice di Deontologia Medica. Ovviamente il Decreto prevede anche la possibilità di esenzione dall'obbligo (omissione o differimento) del professionista sanitario, ma solo nel caso di “accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale”.
In caso di assenza di misure ostative alla vaccinazione e nel caso in cui l'operatore sanitario non abbia adempiuto all'obbligo vaccinale, in seguito agli accertamenti previsti, il comma 6 del decreto prevede che la “azienda sanitaria locale determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2”, per cui, di fatto, l'operatore sanitario non può più svolgere attività che lo mettano in contatto con gli assistiti. Per gli operatori sanitari dipendenti, inoltre, è previsto che il datore di lavoro adibisca il lavoratore, ove possibile, a mansioni anche inferiori, che non implichino contatti interpersonali o comportino, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio; tale eventuale demansionamento prevede altresì l'adeguamento del trattamento economico alle corrispondenti mansioni (quindi riduzione retributiva nel caso in cui la “nuova” mansione lo preveda). Nel caso in cui, invece, non sia possibile l'assegnazione a mansioni lavorative diverse, il datore di lavoro può sospendere l'operatore sanitario, senza retribuzione. Entrambe le previsioni, comunque, rimangono valide fino ad assolvimento dell'obbligo vaccinale del lavoratore o, in caso contrario, fino al 31 dicembre 2021. Sempre per effetto del comma 6, sembra di capire che gli operatori sanitari che svolgono la professione in regime libero-professionale e non si siano sottopostosi a vaccinazione anti-COVID-19, non possano più svolgerla se questa prevede contatti interpersonali con gli assistiti, fino ad adempimento dell'obbligo vaccinale.
Nei casi in cui la vaccinazione fosse state omessa o differita per cause correlate alla salute dell'operatore sanitario, invece, il datore di lavoro lo deve adibire a mansioni anche diverse, senza però decurtazione della retribuzione, come invece accade per chi volontariamente e senza motivazioni non si vaccina; nel caso di esercizio dell'attività libero-professionale, gli operatori sanitari che non possono vaccinarsi adottano le misure di prevenzione igienico-sanitarie indicate dallo specifico protocollo di sicurezza adottato con decreto del Ministro della salute, di concerto con i Ministri della giustizia e del lavoro e delle politiche sociali, entro venti giorni dalla data di entrata in vigore decreto. Conclusione
In conclusione, l'etica e le norme specifiche ci impongono ovviamente di rispettare le decisioni altrui e quindi anche la volontà di non sottoporsi a vaccinazione; la decisione di vaccinarsi rimane, almeno senza una legge che lo imponga per la popolazione generale, su base volontaria e in un momento storico come quello in cui viviamo si dovrebbe forse abbandonare la volontà di imporre a favore della scelta di spiegare e invogliare attraverso la scienza la popolazione tutta ad aderire alla campagna vaccinale. Sulla classe medica grava però un preciso obbligo etico e deontologico, ed oggi, anche un preciso obbligo di legge, per loro appositamente predisposto e limitatamente alla fase emergenziale. Il decreto-legge n. 44/2021 rappresenta una precisa decisione politica mirata fondamentalmente a evitare comportamenti anti-vaccinali dei professionisti sanitari e a disincentivare l'astensione alla vaccinazione che in questo momento risulta invece indispensabile per ridurre il rischio di contagio e combattere la pandemia. Una cosa appare abbastanza certa, ovverosia che la circolazione incontrollata di questo virus causerebbe altre migliaia di morti, il collasso del nostro sistema sanitario e la conseguente distruzione del tessuto sociale ed economico. Ed è altrettanto accertato scientificamente che solo una vaccinazione di massa potrebbe interromperne la diffusione. Ci sentiamo pertanto di aderire pienamente a quanto riportato nei documenti analizzati e quindi di riaffermare il ruolo fondamentale del medico in questa delicatissima fase e in generale nei confronti delle vaccinazioni. Secondo noi è eticamente e deontologicamente doveroso farsi guidare solamente da dati scientifici e non da convincimenti personali, che seppure rispettati, non possono prendere il sopravvento e influenzare negativamente il resto della popolazione.
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