L’assicurazione sulla vita va pagata a favore degli eredi del terzo, anche se è morto prima dello stipulante

Luca Tantalo
20 Aprile 2021

In tema di assicurazione sulla vita, si applica la disposizione di cui all'art. 1412, comma 2, c.c. che dispone che con riferimento al contratto a favore del terzo, la prestazione al terzo, dopo la morte dello stipulante, deve essere eseguita a favore degli eredi del terzo se questi muore prima dello stipulante, purché il beneficio non sia revocato o lo stipulante non abbia disposto diversamente.

È questo il principio stabilito dalla Corte di Cassazione in un ricorso risalente al 2018, con la sentenza n. 9984/21, emessa nella Camera di consiglio della III Sezione Civile il 20 novembre 2020 e depositata il 15 aprile 2021.

Il provvedimento è stato emesso in particolare dal Collegio, a seguito di articolato ragionamento, a seguito del quale il ricorso è stato accolto, con rinvio alla Corte territoriale competente in diversa composizione.

Il caso. La questione nasce dalla sentenza della Corte d'appello di Milano del 7 novembre 2017, con cui la Corte territoriale aveva respinto la pretesa dei ricorrenti, quali eredi di P.S.M., di incassare dalla compagnia assicuratrice quanto maturato da quest'ultima quale beneficiaria della polizza assicurativa nonostante essa fosse premorta rispetto allo stipulante, in forza di un contratto di assicurazione sulla vita stipulato nel 2011 da GV in favore della perpetua, cui i ricorrenti sono succeduti per disposizione testamentaria. La beneficiaria era però improvvisamente deceduta prima della morte dello stipulante, avvenuta a marzo del 2012 e all'epoca la compagnia aveva ricevuto una comunicazione con cui l'assicurato comunicava la rinuncia alla facoltà di revoca del beneficio, accettata dalla terza beneficiaria. La compagnia assicuratrice si era opposta al pagamento, in quanto nel corso del rapporto, lei era pervenuto un successivo disconoscimento della sottoscrizione apposta sulla rinuncia della facoltà di revoca da parte dello stipulante, nonché dopo la morte della beneficiaria, la revoca della disposizione in favore di altra beneficiaria, sorella dell'assicurato e sua unica erede.

Secondo la compagnia assicuratrice, che aveva pagato l'indennizzo alla seconda beneficiaria e non agli eredi della prima e che la nomina di questa sia venuta meno a causa della sua premorienza, della invalidità della rinuncia alla facoltà di revoca per sottoscrizione non riconducibile all'assicurato, e della successiva nomina di altra beneficiaria in sostituzione della prima premorta, alla quale, secondo la ricostruzione della compagnia, in ogni caso non potevano succedere i ricorrenti trattandosi di una nomina intuitu personae con funzione previdenziale, e questo anche qualora la rinuncia la facoltà di revoca fosse stata ritenuta valida.

I ricorrenti, nel giudizio di primo grado, avevano dichiarato di volersi avvalere della scrittura di rinuncia disconosciuta dall'assicurato e hanno contestato l'autenticità della sottoscrizione dello stipulante sulla lettera contenente la revoca della designazione della prima beneficiaria e la nomina di quella nuova, chiedendone la verificazione. I giudici di merito hanno rigettato la domanda, decidendo allo stato degli atti la questione, circa la trasmissibilità mortis causa del diritto al beneficio in una fase precedente al verificarsi dell'evento assicurato (morte dell'assicurato).

La Corte d'appello affermato la sussistenza della legittimazione attiva degli eredi della prima beneficiaria, ritenendo che in caso di premorienza della suddetta il diritto di credito non sia trasmissibile agli eredi della beneficiaria premorta perché non ancora venuto in essere. Sarebbe stato quindi irrilevante stabilire l'ammissibilità o meno della revoca del beneficio assegnato alla prima beneficiaria, non individuabile più come tale dopo la sua morte o la riconducibilità all' assicurato della successiva revoca della prima beneficiaria e designazione di altra beneficiaria.

Contro detta decisione è stato presentato ricorso affidato a due motivi, al quale ha resistito con controricorso la compagnia assicurativa. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti deducevano violazione o falsa applicazione dell'articolo 1412, comma 2, c.c. e/o dell'art. 1920, comma 3, c.c., in quanto la sentenza impugnata non avrebbe considerato che il diritto della beneficiaria della polizza assicurativa sulla vita, cui sono succeduti per testamento gli attuali ricorrenti, si sarebbe trasmesso alla beneficiaria al momento della stipula della polizza, nonostante questa sia deceduta prima del disponente, e questo a causa dell' inefficacia della revoca della sua designazione intervenuta dopo il suo decesso, per effetto della dichiarazione che disponeva l'irrevocabilità della indicazione della beneficiaria, intervenuta prima della morte della perpetua.

Spetta all'erede del terzo il pagamento dell'indennizzo a seguito di assicurazione sulla vita, a meno di espressa revoca da parte dello stipulante.

La Suprema Corte ha sviscerato, con una sentenza ampia e articolata, la questione e accolto il primo motivo di ricorso preferendo assorbito il secondo. Secondo la Suprema Corte, il provvedimento della Corte d'appello è infatti errato e va riformato virgola in quanto non conforme ai principi affermati dalla giurisprudenza della Cassazione in materia di assicurazione sulla vita a favore di un terzo, e più in generale di contratto a favore del terzo a cui detto negozio si riferisce, per espressi richiami normativi contenuti nelle norme che lo tipizzano regolandone diversamente alcuni aspetti negli artt. 1919 c.c. e seguenti.

Secondo la sentenza in commento, un beneficiario acquista un diritto proprio ai vantaggi dell'assicurazione che trova la sua fonte del contratto e quindi suddetto diritto fuoriesce dal patrimonio del soggetto stipulante ed entra a far parte del patrimonio del beneficiario sin dalla designazione del terzo punto in altri termini, nel momento in cui l'assicurato individua il beneficiario, e la stessa norma che indica che questi acquista un diritto iure proprio.

Di conseguenza, il beneficiario perfetto della designazione acquista un diritto soggettivo perfetto al pagamento della indennità correlato al pagamento dei premi assicurativi da parte dell'assicurato finché in vita. si tratta di un diritto di credito, proprio del beneficiario, di cui egli può liberamente disporre per atto tra vivi causa e che si trasmette agli eredi, a meno che la designazione non venga revocata. Di conseguenza il beneficio che va a maturare post mortem appartiene al beneficiario già prima della morte e non all'assicurato a meno che il beneficio non venga revocato.

Secondo la Suprema Corte, quindi, va applicata anche alla assicurazione sulla vita la disposizione di cui all'articolo 1412, comma 2, c.c. che prevede con riferimento al contratto a favore del terzo, che la prestazione al terzo, dopo la morte dello stipulante deve essere eseguita a favore degli eredi del terzo anche se questo è morto prima dello stipulante, purché il beneficio non sia stato revocato ho lo stipulante non abbia disposto diversamente. Di conseguenza nel caso di morte del terzo prima del disponente, non si può ritenere che il diritto a suo favore non sia sorto poiché condizionato alla morte del disponente: nel detto contratto, infatti, la morte del disponente non è evento condizionante la nascita del diritto alla prestazione , ma solo il fatto che determina la sua esigibilità, e ciò a prescindere dal motivo intuitu personae o previdenziale sottostante alla designazione del beneficiario.

In applicazione di detti principi, e ritenendo che la Corte territoriale avesse erroneamente considerato la premorienza della beneficiaria come un fatto che avesse automaticamente escluso la possibilità che detto diritto potesse nascere a favore dei suoi eredi, la Corte di Cassazione ha accolto quindi il ricorso, rinviando alla Corte d'appello, che dovrà decidere basandosi sui principi espressi dalla sentenza qui in commento.

(Fonte: dirittoegiustizia.it)

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