Il riconoscimento dei costi in caso di accertamento induttivo
04 Maggio 2021
Massima
In tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di omessa dichiarazione da parte del contribuente, l'Amministrazione finanziaria può ricorrere a presunzioni cd. supersemplici, anche prive, cioè, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, che comportano l'inversione dell'onere della prova a carico del contribuente, ma deve, comunque, determinare, sia pure induttivamente, i costi relativi ai maggiori ricavi accertati, pena la lesione del parametro costituzionale della capacità contributiva. Il Fisco deve quindi ricostruire il reddito, tenendo conto anche delle componenti negative emerse dagli accertamenti compiuti ovvero, in difetto, determinandole induttivamente e/o presuntivamente, al fine di evitare che venga sottoposto a tassazione il profitto lordo, anziché quello netto. Il caso
La Corte di Cassazione, con l'Ordinanza n. 2581 del 4 febbraio 2021, ha chiarito i criteri di accertamento induttivo e la necessità di procedere, in tal caso, al riconoscimento dei costi collegati al maggior reddito ricostruito. Nel caso di specie, una società di diritto egiziano, operante nel settore della realizzazione e cessione di beni immobili turistici nell'area di Sharm el Sheikh, riceveva vari avvisi di accertamento, per un importo, comprensivo di sanzioni, superiore a 93 milioni di euro. L'Ufficio sosteneva che, nel periodo 1993 – 2006, la società aveva operato mediante una stabile organizzazione in Italia, di natura materiale ed occulta, senza presentare alcuna dichiarazione dei redditi, che venivano quindi ricostruiti con metodo induttivo. La società, impugnati gli avvisi, risultava poi soccombente sia in primo che in secondo grado. Al di là della specifica vicenda, ciò su cui preme appuntare l'attenzione è proprio il metodo con cui l'Amministrazione finanziaria aveva nella specie proceduto alla ricostruzione del reddito.
Proposto ricorso per Cassazione, la contribuente deduceva infatti, tra le altre, la violazione degli art. 109, quarto comma, TUIR, degli art. 7, par. 3, e art. 24, par. 2, della Convenzione Italia Egitto, nonché dell'art. 53 della Costituzione, nella sostanza criticando il capo di sentenza che non aveva riconosciuto i costi deducibili in capo alla ritenuta stabile organizzazione italiana.
In altri termini, la contribuente contestava l'equiparazione "fatturato = reddito", fatta propria dall'Ufficio e poi confermata nei gradi di merito, in quanto la disposizione normativa che consente la ricostruzione induttiva del reddito, muovendo da elementi comunque reperiti, richiede comunque il rispetto dei criteri contabili per cui il reddito si calcola sull'utile che è la differenza del ricavo dedotte le spese.
In altri termini, secondo la ricorrente, non tenere conto delle spese avrebbe falsato la pretesa impositiva dell'Ufficio La questione
Il tema riguardava dunque la prova contraria alla ricostruzione dell'Ufficio, che i giudici di merito avevano ritenuto non idonea perché non fondata su dati oggettivi e riscontrabili. I giudici di merito si erano del resto appellati al principio, più volte affermato in sede di legittimità, secondo cui, nella ipotesi che il contribuente ometta di presentare la dichiarazione (e tale è per antonomasia stata la posizione della stabile organizzazione occulta), "la legge abilita l'Ufficio a servirsi di qualsiasi elemento probatorio ai fini dell'accertamento del reddito e, quindi, a determinarlo anche con metodo induttivo ed anche utilizzando, in deroga alla regola generale, presunzioni semplici prive dei requisiti di cui al terzo comma dell'art. 38 del d.P.R. n. 600/1973, sul presupposto dell'inferenza probatoria dei fatti costitutivi della pretesa tributaria ignoti da quelli noti" (Cass., n. 19174/2003; n. 2605/2000).
Sennonché, con sentenza n. 225/2005 la Corte Costituzionale ha ricordato doversi comunque dedurre i costi dai ricavi induttivamente o presuntivamente ricostruiti, in modo da rispettare il principio di capacità contributiva, valorizzando l'incidenza percentuale dei costi relativi.
Alla luce dell'intervento del Giudice delle leggi, la Cassazione ha dunque avuto modo di statuire che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di omessa dichiarazione da parte del contribuente, l'Amministrazione finanziaria, i cui poteri trovano fondamento non già nell'art. 38 (accertamento sintetico) o nell'art. 39 (accertamento induttivo), bensì nell'art. 41 del d.P.R. n. 600/1973 (cd. accertamento d'ufficio), può ricorrere a presunzioni cd. supersemplici, anche prive, cioè, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, che comportano l'inversione dell'onere della prova a carico del contribuente, ma deve, comunque, determinare, sia pure induttivamente, i costi relativi ai maggiori ricavi accertati, pena la lesione del parametro costituzionale della capacità contributiva, senza che possano operare le limitazioni previste dall'art. 75 (ora 109) del d.P.R. n. 917/1986 in tema di accertamento dei costi, disciplinando tale norma la diversa ipotesi in cui una dichiarazione dei redditi, ancorché infedele, sia comunque sussistente (cfr. Cass. civ., sez. V, n. 1506/2017, ma già anche Cass. Civ., sez. V, n. 3995/09). Le soluzioni giuridiche
E quindi, quanto all'accertamento globalmente induttivo del reddito d'impresa, vale sempre la regola che il fisco deve ricostruire il reddito, tenendo conto anche delle componenti negative emerse dagli accertamenti compiuti ovvero, in difetto, determinandole induttivamente e/o presuntivamente, al fine di evitare che, in contrasto con il principio della capacità contributiva, venga sottoposto a tassazione il profitto lordo, anziché quello netto (Cass., n. 26748/2018; Cass. n. 23314/2013; Cass., n. 13119/2020; conf. Circ. AdE, n. 9/E/2015, §2). Il che ben si raccorda con le stesse indicazioni di prassi del fisco, secondo cui, in queste fattispecie, "l'ufficio non può non tener conto, [...], di un'incidenza percentuale di costi presunti a fronte dei ricavi accertati..." e "il riconoscimento di costi deve essere livellato - anche in misura percentualistica - in ragione dei [...] ricavi accertati [...]" (Circ. AdE, n. 32/E/2006). Ciò, inoltre, rileva la Cassazione venendo anche al caso specificatamente in giudizio, si raccordava, sul piano delle fonti internazionali, anche con l'art. 7 (§3) del Modello OCSE e con l'art. 7 (§3) della Conv. Italia-Egitto, laddove si precisa che nella determinazione del reddito della stabile organizzazione vanno considerati anche gli oneri per gli scopi perseguiti (es. direzione, spese generali), e con il Comm. OCSE, sub art. 7 (§ 15), laddove si effettuano talune esemplificazioni estimative. A tali principi non si era uniformata la sentenza di secondo grado e pertanto, il motivo di impugnazione, secondo la Corte, era fondato. Osservazioni
Il principio di valorizzazione dei costi si applica quindi anche (e soprattutto) alle ipotesi di accertamento induttivo "puro", ai sensi dell'art. 39 comma 2 d.P.R. n. 600/1973, quando trovano applicazione le presunzioni prive dei requisiti di cui all'art. 39 comma 1 lettera d.P.R. n. 600/1973 (in termini Corte Cost., 8 giugno 2005, n. 225; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26748). Viene, dunque, ribadito il principio per cui, nel caso di verifiche diverse da quelle analitiche, ed ai fini della ricostruzione del reddito, i costi non registrati devono essere riconosciuti anche nel caso in cui non siano stati annotati nelle scritture contabili ed anche quando sia stata omessa la dichiarazione dei redditi, applicando l'imposta sull'utile netto e portando in deduzione i costi non registrati, sia pure forfettariamente stabiliti. La Cassazione respinge pertanto la tesi contraria dell'Agenzia delle Entrate, secondo cui vale il principio in base al quale la parte privata deve provare l'inerenza e la riferibilità dei costi all'attività commerciale svolta, anche se magari utilizzati dalla stessa Amministrazione finanziaria per la rideterminazione induttiva del reddito, derivante dalla mancata presentazione della dichiarazione. La stessa Cassazione, con l'Ordinanza n. 26748 del 23/10/2018, ha peraltro affermato che, affinchè un costo possa essere dedotto, non solo è necessario che ne sia certa l'esistenza, ma occorre altresì che ne sia comprovata l'inerenza. E per provare tale ultimo requisito, il cui onere incombe al contribuente, non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata, atteso che una spesa può essere correttamente inserita nella contabilità aziendale solo se esiste una documentazione di supporto, dalla quale possa ricavarsi, oltre che l'importo, la ragione della stessa. La Corte precisa però, a tal proposito, che, laddove l'Agenzia effettui un accertamento induttivo puro, deve procedere alla ricostruzione della situazione reddituale complessiva del contribuente, tenendo conto quindi anche delle componenti negative del reddito emerse dagli accertamenti compiuti. Laddove l'Amministrazione Finanziaria proceda alla determinazione induttiva dei ricavi si determina quindi un'inversione dell'onere della prova, essendo a carico del contribuente la prova di indicare gli elementi contrari intesi a dimostrare che il reddito non è stato prodotto, o è stato prodotto in misura inferiore a quella indicata dall'ufficio.
Sebbene infatti, come visto, l'Amministrazione Finanziaria, in sede di accertamento induttivo, sia tenuta a procedere alla ricostruzione della situazione reddituale complessiva del contribuente, tenendo conto anche delle componenti negative del reddito, ciò nondimeno occorre che esse siano comunque "emerse dagli accertamenti compiuti, ovvero siano state indicate e dimostrate dal contribuente" (cfr., Cass., n. 25317/14; n. 5192/11; n. 3995/09), in tal modo trovando conferma che grava sul contribuente l'onere di provare, in coerenza con il principio enunciato dall'art. 2697 c.c, i fatti modificativi della pretesa esercitata dall'ufficio mediante l'allegazione degli elementi reddituali in grado di incidere negativamente su di essa, “senza che in ciò egli possa sperare di essere sostituito da un apprezzamento discrezionale operato d'ufficio dal giudice, dato che anche nel giudizio tributario il giudice è vincolato a pronunciare la propria decisione iuxta alligata et probata partium” (cfr., Cass., sentenza n. 24778 del 04.12.2015). |