Redazione scientifica
17 Maggio 2021

Rimessa al Primo Presidente, per l'assegnazione alle Sezioni Unite, la questione dell'interpretazione del titolo esecutivo: se tale interpretazione costituisca «apprezzamento di fatto» come tale incensurabile in sede di legittimità o «quaestio iuris» sindacabile sotto il profilo della violazione di legge in sede di legittimità.

Un lavoratore del settore agricolo, dopo aver ottenuto una sentenza favorevole nei confronti dell'INPS (n. 6567/2010), con cui veniva accertata l'illegittimità del provvedimento di cancellazione dagli elenchi dei lavoratori agricoli e dichiarato il suo diritto alla reiscrizione, agiva in via esecutiva ex art. 612 c.p.c., lamentando che l'INPS non aveva ottemperato all'ordine di reiscrizione recato dalla sentenza.

Nel corso della procedura esecutiva l'INPS provvedeva all'iscrizione e il lavoratore chiedeva pertanto «dichiararsi l'estinzione della procedura esecutiva, con condanna dell'Ente al pagamento delle spese». Veniva quindi dichiarata la cessazione della materia del contendere da parte del giudice dell'esecuzione, con compensazione delle spese di lite. Il lavoratore proponeva opposizione in punto spese ed il Tribunale accoglieva l'opposizione condannando l'INPS al pagamento delle spese del processo esecutivo e di opposizione.

L'INPS ricorreva in Cassazione, denunciando «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio» per avere il Tribunale ricostruito la portata precettiva del titolo posto alla base dell'esecuzione (costituito dalla sentenza n. 6567/2010) sulla base della domanda proposta in giudizio, omettendo l'esame della sentenza che tale giudizio aveva definito. Tale sentenza in particolare, era semplicemente «di accertamento» del diritto ad ottenere l'iscrizione negli elenchi annuali degli operai agricoli. E, dunque, non contenendo alcuna statuizione «di condanna» ad un facere fungibile non poteva fondare alcuna azione in executivis del tipo di quella intrapresa.

Con il primo motivo di ricorso l'INPS demanda pertanto alla S.C. l'interpretazione diretta del titolo esecutivo di formazione giudiziale.

Sul punto rilevano i giudici che, una tale interpretazione, è esclusa dalla costante giurisprudenza della Corte, giusta il principio secondo cui «l'interpretazione del titolo esecutivo compiuta dal giudice dell'esecuzione o da quello chiamato a sindacarne l'operato nell'ambito delle opposizioni esecutive, si risolve nell'apprezzamento di un «fatto», come tale incensurabile in cassazione, se non nei limiti dell'art. 360, n. 5, c.p.c.» (così Cass. civ., n. 15338/2018 e 32196/2018). Prosegue la Corte evidenziando che il richiamato orientamento è stato tuttavia virtualmente superato da Cass. civ., n. 11501/2008 che – nell'enunciare il principio di diritto secondo cui, ai fini dell'interpretazione di provvedimenti giurisdizionali, si deve fare applicazione, in via analogica, dei canoni ermeneutici prescritti dagli artt. 12 ss. prel. c.c., invece che di quelli propri degli atti negoziali, in ragione dell'assimilabilità dei provvedimenti giudiziali alle norme giuridiche quanto a vis imperativa e indisponibilità per le parti – ha direttamente proceduto all'interpretazione del titolo esecutivo posto alla base dell'esecuzione intrapresa in quel giudizio (costituito da decreto di liquidazione delle spese al CTU), per poi concludere che, sebbene erroneamente condotta alla stregua dei canoni propri dell'ermeneutica negoziale, l'esegesi del titolo compiuta dai giudici di merito doveva nondimeno ritenersi corretta. Secondo tale ultimo indirizzo, dunque, l'interpretazione del titolo esecutivo operata dal giudice del merito non può essere riguardata come «apprezzamento di fatto», ma costituisce quaestio iuris da sindacare nell'ottica della violazione di legge in sede di legittimità.

Di fronte a tale contrasto giurisprudenziale su una questione di massima particolare importanza, la sezione Lavoro della Suprema Corte, rimette con ordinanza interlocutoria la questione al Primo Presidente per l'assegnazione alle Sezioni Unite.

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