Eventismo, consequenzialismo e paraeventismo nel risarcimento del danno alla persona: una rilettura critica
Elisa Colletti
16 Giugno 2021
Il Focus abbraccia il tema della nota differenziazione tra danni evento e danni conseguenza, riproducendo in un primo momento l'evoluzione giurisprudenziale che ha condotto alla scelta di un sistema operativo piuttosto che dell'altro, ed in un secondo momento rileggendo il sistema operativo medesimo alla luce dell'attuale sistema risarcitorio italiano, per verificare se lo stesso risulti oggi compatibile con l'attuale concezione di danno alla persona, su cui il sistema risarcitorio si fonda.
Lo stato dell'arte: la consacrazione del danno evento come sistema operativo in ambito risarcitorio
Qualsiasi analisi, teorica o pratica che sia, che affronti il tema del danno non patrimoniale, delle sue categorie, della sua liquidazione, passa per la differenza esistente tra danno evento e danno conseguenza. Si tratta, a ben vedere, di identificare in via preliminare quale sia effettivamente il contenuto del danno, e dunque l'oggetto della prova necessaria al risarcimento del medesimo.
Come noto, in un primo momento due orientamenti calcavano la scena della prova del danno non patrimoniale (per una disamina completa cfr. M. Sella, I danni non patrimoniali, Giuffrè Editore, 2010): il primo, eventista, enunciato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 184/1986; il secondo consequenzialista.
La tesi eventistapromana dal pronunciamento sopra menzionato, secondo cui nel caso di lesione dei valori della persona il danno sarebbe insito nella lesione medesima (cd. danno in re ipsa). In particolare, la Corte ebbe a sostenere, con ormai nota formulazione, che “menomazione dell'integrità psico -fisica dell'offeso, (...) costituisce l'evento (...) interno al fatto illecito (...)” mentre “il danno morale subiettivo, che si sostanzia nel transeunte turbamento psicologico del soggetto offeso, è danno - conseguenza, in senso proprio, del fatto illecito lesivo della salute e costituisce, quando esiste, condizione di risarcibilità del medesimo”. L'intento della Corte Costituzionale era quello di salvare l'art. 2059 c.c. dagli attacchi di incostituzionalità che da più parti gli venivano mossi. A tal proposito, la Suprema Corte distingueva in quell'occasione le due voci di danno allora esistenti: il danno biologico ed il danno morale subiettivo, rispettivamente danno evento, il primo, danno conseguenza il secondo. Di fatto, ciò significava garantire al danno biologico un risarcimento ex se, e ciò sulla base giuridica di cui al combinato disposto tra l'art. 2043 c.c. e l'art. 32 Cost.
La tesi eventista estrema (Cass. Civ. n. 7713/2000), invece, giocava sulla identificazione tra il danno e la lesione di un interesse giuridicamente protetto. Si ritenne, però, che in tal modo si snaturasse la funzione medesima del risarcimento, perchè sarebbe venuta meno, in ogni caso, la necessità di provare il danno, considerandosi sufficiente la mera allegazione della violazione del diritto costituzionalmente garantito; ci si sarebbe attestati, in tal modo, su sistemi civilistici più punitivi che compensatori. L'approccio eventista estremista fu criticato in specie da quella parte della dottrina che sostenne come la semplice allegazione dell'interesse giuridicamente rilevante leso avrebbe comportato l'impossibilità di personalizzare il danno in relazione alle peculiarità del caso concreto di volta in volta prodottesi (così, ad esempio, P. Ziviz, Il danno morale, in Persona e danno, a cura di P. Cendon., Giuffré, Milano, 2004, vol., I, 263-338, 2004).
Un primo punto di svolta lo si registra nel 2003 (Cass. Civ. n. 8828/2003), quando la Corte di Cassazione, con le "sentenze gemelle", sconfessa in radice le teorie eventiste per approdare, di converso, ai lidi consequenzialisti, sostenendo come non potrebbe esistere nel nostro sistema risarcitorio un danno in re ipsa, perchè ad essere meritevoli di risarcimento sono piuttosto le conseguenze che dalla lesione dell'interesse scaturiscono, le quali hanno ampiezza e consistenza differenti in relazione alla singola fattispecie lesiva posta in essere.
La definitiva consacrazione proviene poi dalle sentenze S. Martino (Cass. Civ., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972, 26973, 26974 e 26975) secondo cui il danno non patrimoniale, anche quando determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce sempre danno conseguenza (la pronuncia cita a sostegno Cass. n. 8827/2003, n. 8828/2003, n. 16004/2003), e deve pertanto essere allegato e provato. Da S. Martino in poi, la tesi che identifica il danno con l'evento lesivo prodottosi a detrimento di un valore fondamentale della persona viene ad essere definitivamente disattesa, così come le tesi che da questa derivano e che ne costituiscono specificazione.
Danni evento e danni conseguenza alla luce dell'attuale sistema risarcitorio: una possibile rilettura
Oggi, l'evoluzione del danno non patrimoniale è andata in una direzione ben precisa, che vede l'interesse da tutelare come fondamento del prodursi del diritto risarcitorio a favore del soggetto danneggiato. Di conseguenza, gli effetti pregiudizievoli che dal danno derivano si risarciscono in capo alla vittima perchè sostenuti da un diritto costituzionalmente protetto, il quale a sua volta sottende un valore della persona meritevole di tutela.
Tale assetto di sistema, pur avendo il merito di riconoscere un valore primario agli interessi giuridici inerenti alla persona, alla sua salute, in ultima analisi alla sua vita, produce però la conseguenza di ancorare la qualificazione del danno al diritto leso. Ne deriva uno statuto che non può a ben vedere definirsi consequenzialistico puro, stante che il consequenzialismo presupporrebbe un principio di indipendenza tra le conseguenze del danno e il diritto che si presume essere stato compromesso dall'evento illecito.
Secondo certa dottrina (tra tutti, cfr. N. Sapone., Il danno alla persona preso con filosofia, Cendon Libri, 2012), il considerare assiomatica l'equivalenza tra danno biologico e lesione del diritto alla salute risponderebbe piuttosto ad un'ottica eventista, e non consequenzialista, che invece prevedrebbe l'equivalenza tra il danno biologico e le menomazioni psico-fisiche che il danno produce in capo al danneggiato. L'impianto che deriva dalle sentenze San Martino può semmai essere definito come paraeventistico, stante che il danno, così come considerato da dottrina e giurisprudenza odierni, non è tanto la modificazione della sfera personale o patrimoniale del soggetto leso, quanto piuttosto la lesione di un interesse tutelato che sembra acquistare, nell'an, una connotazione del tutto autonoma, slegata pertanto dalla condizione dell'individuo successiva alla lesione subita (valutabile semmai ai fini del quantum). La tesi sembra trovare conferma in chi sostiene che il fulcro della liquidazione debba essere affidato al tipo di offesa e di interesse leso, indipendentemente dai modi e tempi coi quali l'interesse medesimo sia stato leso e dall'impatto che ciò abbia avuto sulla salute e sulla vita della persona (cfr. E. Navarretta., Il valore della persona nei diritti inviolabili e la sostanza dei danni non patrimoniali, in Foro.it, 2009, I, 143).
In altre parole, il sistema odierno fa coincidere il valore-uomo con il complesso dei diritti di cui la persona è titolare, in un'ottica in cui “la cosiddetta persona fisica non è quindi un uomo, bensì l'unità personificata delle norme giuridiche che attribuiscono doveri e diritti al medesimo uomo” (H. Kelsen, La dottrina pura del diritto, Torino, 1996, 198). E d'altronde, pare che tale sistema pretenda di essere consequenzialista, ma finisca in realtà per essere eventista, prodotto inevitabile del modo in cui la disciplina del danno non patrimoniale si è formata nel nostro ordinamento. Ne conviene di fatto chi autorevolmente sostiene (Ponzanelli G., Il danno non patrimoniale bagatellare: tre decisioni, in Resp. Civ. prev. 2011, 7-8, 1514) che la giurisprudenza sui danni non può esistere in maniera autonoma rispetto alla giurisprudenza sui diritti, essendo il rimedio del danno totalmente asservito alla tutela del diritto, specie in ambito non patrimoniale. Tali differenziazioni, che ad una prima occhiata potrebbero sembrare notazioni di carattere meramente teorico o filosofico, producono a ben vedere delle conseguenze pratiche e problematiche di notevole rilievo.
Si guardi, ad esempio, alla tanto osteggiata categoria del danno esistenzale (sul punto in dottrina, tra tutti, cfr. Cendon-Ziviz, Il risarcimento del danno esistenziale, Milano, 2003; M. Bona, voce Danno esistenziale, Dig. IV ed., Disc. Privatistiche, sez. civ., Aggiornamento) lapidariamente cancellata dal panorama risarcitorio italiano, dopo un breve arco di vita, da un pronunciamento di Cassazione del 2010 (Cass. Civ., Sez. III, 13 aprile 2010 n. 8724), sulla scorta del ragionamento secondo cui non sarebbe ammissibile una autonoma categoria di danno esistenziale che finisca per riconteggiare danni già presi in considerazione ai sensi dell'art. 2059 c.c., conducendo perciò ad una duplicazione risarcitoria, così come non sarebbero risarcibili danni esistenziali che non abbiano alla base pregiudizi lesivi di diritti inviolabili della persona, stante l'irrisarcibilità dei medesimi ex art. 2059 c.c.. Tale ricostruzione della Suprema Corte, la quale, si badi bene, è successiva rispetto all'affermazione della cittadinanza esclusiva dei danni conseguenza, muove in realtà da una logica che si muove a mezza via tra l'eventismo e il consequenzialismo, perchè non guarda soltanto alle conseguenze pregiudizievoli del presunto danno, ma altresì ai valori costituzionalmente protetti che il danno esistenziale potrebbe risarcire, i quali sarebbero o già tutelati da altre forme di danno, oppure irrisarcibili in quanto espressione di tutela di diritti non giuridicamente meritevoli di tutela.
Vi sono casi, poi, in cui il danno, pur producendo delle conseguenze sulla sfera personale e patrimoniale del soggetto danneggiato, non è ritenuto passibile di costituire solido fondamento di una posta risarcitoria, e ciò sulla scorta della considerazione dei medesimi come danni evento. E' il caso, ad esempio, del danno da perdita della vita (cd. danno tanatologico), il quale viene ritenuto risarcibile solo in presenza di determinate condizioni, quale l'apprezzabile lasso di tempo intercorrente tra il prodursi della lesione ed il conseguente verificarsi dell'evento morte in capo al danneggiato (Cass. Civ., Sez. Un., 22 luglio 2015, n. 15350). Tale ricostruzione giurisprudenziale, ormai assodata, sconfessa una precedente linea interpretativa del risarcimento del danno non patrimoniale in tema di perdita della vita, che considerava la vita medesima come “bene supremo dell'uomo e oggetto di primaria tutela da parte dell'ordinamento”, il quale “non può rimanere priva di conseguenze anche sul piano civilistico” (così, ad esempio, Cass. 1361/2014), e che dunque contemplava qualsiasi impedimento come superabile, in vista dell'espressione di una politica del diritto che garantisse ristoro al bene della vita.
A criticare tale pronunciamento i negazionisti del danno tanatologico, sulla scorta delle seguenti ragioni: garantire il ristoro della perdita della vita comporta la necessità ontologica di risarcire un danno evento, e non conseguenza, come S. Martino invece impone. Si ribadiva criticamente, a tal proposito, la considerazione secondo cui i danni terminali (biologico e morale) fossero “frutto di acrobazie logiche e concettuali e di intenzioni sostanzialmente compensative della totale assenza di risarcimento per la perdita della vita” (Cass. Civ. 7126/2013), e che producessero conseguenze ontologicamente contrarie al sistema della responsabilità civile.
Orbene, se inforchiamo le lenti del consequenzialista, il ragionamento della Corte di Cassazione risulta lineare. Ma non lo è più, invero, alla luce delle considerazioni, pocanzi riportate, di chi ritiene che il sistema civilistico attuale, lungi dall'essere consequenzialista puro, sia in realtà molto più vicino al consequenzialismo impuro, o al paraeventismo, fondando continuamente i propri dicta sull'urgenza di tutelare dei beni giuridici costituzionalmente, o anche soltanto giuridicamente, rilevanti.
In conclusione
Lungi dal voler riscrivere la storia giurisprudenziale del danno non patrimoniale, e dando perciò per assodato che il sistema operativo prescelto sia quello consequenzialistico piuttosto che quello eventistico, l'intento cui dovrebbe tendere lo studioso del danno non patrimoniale è piuttosto quello di chiarire che tipo di consequenzialismo prendere a riferimento per operare nell'ambito del danno alla persona.
Da evitare, invece, sembrano essere concezioni del danno che si pongono ad uno stadio di mezzo, finendo per fondare i propri ragionamenti, da cui poi derivano conseguenze nell'ambito della liquidazione del danno, su un falso danno-conseguenza, specie se i predetti ragionamenti tendono verso la riduzione del bacino dei danni risarcibili dal nostro ordinamento giuridico, piuttosto che ad un suo auspicabile ampliamento.
Riferimenti
Barcellona M., Il danno non patrimoniale, Giuffrè Editore, 2008; Barcellona P., Strutture della responsabilità e «ingiustizia del danno», EDP, 2000;
Bona M., voce Danno esistenziale, Dig. IV ed., Disc. Privatistiche, sez. civ., Aggiornamento;
Castronovo C., La nuova responsabilità civile, Giuffrè Editore, Milano, 2006;
Cendon-Ziviz, Il risarcimento del danno esistenziale, Milano, 2003;
Franzoni M., Il danno risarcibile, Milano, 2004;
Grisi G., Il principio dell'integrale riparazione del danno, in Le tutele contrattuali e il diritto europeo. Scritti per Adolfo di Majo, a cura di Mazzamuto S., Napoli, 2012;
Kelsen H., La dottrina pura del diritto, Torino, 1996, 198;
Mazzamuto S., Il rapporto tra gli art. 2059 e 2043 c.c. e le ambiguità delle Sezioni unite a proposito della risarcibilità del danno non patrimoniale, in Contratto e impresa, 2009, vol. 3;
Navarretta E., Il valore della persona nei diritti inviolabili e la sostanza dei danni non patrimoniali, in Foro.it, 2009, I, 143;
Pardolesi R. – Simone R., Danno esistenziale (e sistema fragile): «die hard», in Il Foro Italiano, 2009;
Piana G., La verità dell'azione, Morcelliana, Brescia 2011, 129;
Ponzanelli G., Il danno non patrimoniale bagatellare: tre decisioni, in Resp. Civ. prev. 2011, 7-8, 1514;
Sapone N., Il danno alla persona preso con filosofia, Cendon Libri, 2012;
Sella M., I danni non patrimoniali, Giuffrè Editore, 2010;
Ziviz P., Il danno morale, in Persona e danno, a cura di Cendon P., Giuffré, Milano, 2004, vol., I, 263-338, 2004;
Ziviz P., Il danno non patrimoniale: istruzioni per l'uso, in Danno resp., 2009.
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