Annullamento della sentenza penale ai soli effetti civili: qual è il giudice del rinvio?

Francesco Agnino
22 Giugno 2021

Con la sentenza in commento le Sezioni Unite penali si soffermano sull'individuazione del giudice, civile o penale, competente a decidere nell'ipotesi di sentenza di annullamento resa ai sensi dell'art. 622 c.p.p., quando l'accertamento penale è definito e resti da decidere sull'azione civile promossa nel processo penale.
Massima

In caso di annullamento ai soli effetti civili, da parte della Corte di cassazione, per la mancata rinnovazione in appello di prova dichiarativa ritenuta decisiva, della sentenza che in accoglimento dell'appello della parte civile avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, abbia condannato l'imputato al risarcimento del danno, il rinvio per il nuovo giudizio va disposto al giudice civile competente per valore in grado di appello.

Il caso

Un artigiano edile, operante come subappaltatore dell'impresa esecutrice di alcuni lavori condominiali, subiva un infortunio sul lavoro, riportando lesioni personali a causa di una caduta da un ponteggio.

Il P.M. esercitava l'azione penale con richiesta di rinvio a giudizio nei confronti del legale rappresentante dell'impresa affidataria dell'appalto, al quale era contestato il reato di cui all'art. 590, commi 2 e 3, c.p., per imprudenza ed imperizia, consistite nell'inosservanza delle norme in materia di infortuni sul lavoro, omettendo di inserire nel Piano Operativo di Sicurezza le misure di protezione e prevenzione relative alle operazioni svolte dai lavoratori autonomi presenti in cantiere (art. 96 T. U. 81/2008).

Il Tribunale assolveva l'imputato, reputando che sussistesse un ragionevole dubbio circa le modalità della caduta dall'impalcatura: la persona offesa aveva riferito d'esser rovinato a terra per il cedimento delle assi del ponteggio, mentre l'imputato ed i testi a discarico, al contrario, avevano affermato che l'artigiano sarebbe caduto mentre stava intonacando la parte inferiore del muro interno di una stanza.

La Corte territoriale accoglieva l'appello della parte civile riformando la sentenza di primo grado, valorizzando la credibilità estrinseca del racconto della vittima, le cui lesioni erano incompatibili con la tesi difensiva, che le riconduceva ad una caduta accidentale da una scaletta.

Il difensore dell'imputato proponeva ricorso in Cassazione, lamentando la mancata riassunzione di due deposizioni a carico, ritenute decisive per l'assoluzione.

La Corte di cassazione, rilevata la recente formazione di un contrasto interpretativo in seno alla giurisprudenza di legittimità, aveva rimesso il ricorso alle Sezioni unite affinché chiarissero «se, in caso annullamento, ai soli effetti civili, da parte della Corte di cassazione, per la mancata rinnovazione in appello di prove dichiarative ritenute decisive, della sentenza di secondo grado che, in accoglimento dell'appello della parte civile avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, abbia condannato l'imputato al risarcimento del danno, il rinvio vada disposto dinanzi al giudice civile competente per valore in grado di appello ovvero dinanzi al giudice penale» (Cass. civ., sez. IV, 5 novembre 2020, n. 30858).

La questione

La questione in esame è la seguente: in caso annullamento della sentenza penale ai soli effetti civili, quale è il giudice competente alla prosecuzione del giudizio?

Le soluzioni giuridiche

L'art. 622 c.p.p. non rappresenta un elemento di novità nel panorama storico - legislativo.

In effetti, assente nel codice del 1865 (che all'art. 675 prevedeva nel suddetto caso un rinvio al giudice penale), la previsione compare già nel codice Finocchiaro/Aprile del 1913, che, all'art. 525, così recitava: «se la Corte di cassazione annulla solamente le disposizioni o i capi della sentenza che concernono l'azione civile, proposta a norma dell'art. 7 (relativo appunto all'azione civile esercitata nel processo penale), rinvia la causa al giudice civile competente per valore in grado di appello, anche se l'annullamento abbia per oggetto una sentenza della Corte di Assise»; mentre, nel codice del 1930, la previsione, che non ha formato oggetto di specifica considerazione nella relazione, è stata mantenuta nell'art. 541, che così recitava: «la Corte di cassazione, se annulla solamente le disposizioni o i capi della sentenza che riguardano l'azione civile proposta a norma dell'art. 23 (relativo all'esercizio dell'azione civile nel processo penale), rinvia la causa quando occorre al giudice civile competente per valore in grado di appello anche se l'annullamento ha per oggetto una sentenza inappellabile».

La norma giuridica attualmente vigente, a sua volta, è del tutto corrispondente, anche formalmente, a quella che figurava nel Progetto preliminare del 1978 (sotto l'art. 586), e nella Relazione al Progetto preliminare del 1988, osservandosi (ripetendo quanto già contenuto della relazione al precedente progetto del 1978) che l'art. 622 detta disposizioni analoghe a quelle dell'attuale art. 541, aggiungendo il caso di accoglimento del ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell'imputato: «quando la Corte di cassazione annulla la sentenza per i soli effetti civili, l'eventuale giudizio di rinvio - fermi restando gli effetti penali - si svolgerà davanti al giudice civile competente in grado di appello, anche se l'annullamento riguarda una sentenza inappellabile».

Il giudice della nomofilachia è stato chiamato ad individuare la corretta attribuzione della sede di prosecuzione del procedimento, tema sul quale si confrontano tre distinti orientamenti.

Secondo il formante più risalente e consistente, la Cassazione deve trasmettere il fascicolo al giudice civile competente per valore in grado di appello e, in quest'ottica, valorizza: l'argomento letterale, avendo a riferimento una disposizione che non fa distinzioni di sorta; il principio di economia, che vieta di rimanere in una sede impropria ed incidentale, in assenza di una specifica esigenza di giudizio; la prevedibilità di tale sviluppo, comportante l'applicazione di regole meno favorevoli, per il danneggiato che decida di esercitare in questa forma la sua pretesa risarcitoria.

Per tale prima posizione, peraltro maggioritaria, nel caso di sopravvenuta estinzione del reato per prescrizione, in sede di legittimità, unitamente ad un vizio di motivazione sulla responsabilità dell'imputato, il provvedimento gravato deve essere annullato senza rinvio; ove poi la sentenza contenga la condanna alle spese civili, la stessa deve essere annullata con rinvio al giudice civile competente (Cass. pen., sez. V, 13 luglio 2020, n. 26217).

In tal senso, si sono espresse anche le Sezioni Unite, affermando che laddove venga accertata in sede di appello la maturazione dei termini di prescrizione, in assenza di una pronuncia sulla responsabilità dell'imputato ai fini civilistici, la decisione su tali aspetti va rimessa, per ragioni di economia processuale, al giudice civile che è competente a pronunciarsi sia sul diritto al risarcimento che sul quantum (Cass. pen., sez. un., 18 luglio 2013, n. 40109).

A diverse conclusioni giunge, invece, un opposto orientamento secondo il quale, nel caso di estinzione del reato per prescrizione, la decisione in merito alle statuizioni civili è comunque legata alla fondatezza del ricorso dell'imputato.

Alcune sentenze, invero, hanno messo in discussione la competenza del giudice civile, qualora, in caso di intervenuta prescrizione, la sentenza sia annullata solo agli effetti civili. In tal caso, secondo questa particolare posizione, la sentenza, deve essere annullata senza rinvio, fatta salva la possibilità per la parte civile di esercitare ex novo l'azione civile (Cass. pen., sez. VI, 6 giugno 2019, n. 31921).

Pertanto, in casi simili deve essere disposto il rinvio dinanzi al giudice penale ovvero l'annullamento senza rinvio e, a supporto di tale esegesi, sottolinea: che l'irrevocabilità del proscioglimento dalla responsabilità penale non intacca l'interesse (costituzionale) a mantenere saldi i principi del c.d. giusto processo; che il rinvio in sede civile imporrebbe comunque di procedere secondo i canoni del rito penale; che trasmettere gli atti al giudice penale, per le maggiori garanzie insite nel diverso sistema, assicurerebbe maggior tutela dei diritti di tutte le parti coinvolte.

Una terza, più isolata, corrente ermeneutica, sostiene infine che non possa rinviarsi l'ulteriore trattazione al giudice civile quando l'annullamento delle disposizioni o dei capi della sentenza impugnata concernenti l'azione civile dipenda dalla fondatezza del ricorso della difesa agli effetti penali, posto il proscioglimento per intervenuta prescrizione, non spiegando efficacia di giudicato, non preclude la possibilità, per la parte danneggiata, di radicare una nuova ed autonoma causa nella sede propria.

Secondo quest'orientamento, infatti, vi è pur sempre un interesse penalistico alla vicenda, nonostante l'irrevocabilità della sentenza di proscioglimento e anche se la questione sottoposta al giudice riguardi solo i suoi profili civilistici. E ciò perché il rinvio ad altro giudice, in particolare a quello civile, imporrebbe, illogicamente, allo stesso di procedere all'accertamento del fatto secondo le regole del processo penale. Infine, il rinvio al giudice penale garantirebbe a tutte le parti che le regole (penalistiche) alle quali fino a quel momento erano state sottoposte siano utilizzate per definire la vicenda anche sotto l'ulteriore profilo civilistico.

L'adesione all'una o all'altra tesi non è indifferente. La soluzione «autonomistica» postula l'assoggettamento del giudizio di rinvio alle sole regole civilistiche e, di converso, l'impermeabilità a quelle di matrice penalistica. Ne deriva una menomazione dei diritti e delle prerogative non solo dell'imputato, ma anche, a ben vedere, della parte civile.

In tale ottica, basti osservare che la più recente giurisprudenza civile di legittimità ha escluso la possibilità di utilizzare nel procedimento di rinvio le dichiarazioni rese dalla persona offesa nel corso del processo penale, poiché l'art. 246 c.p.c. vieta di assumere come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che ne potrebbe legittimare la partecipazione al giudizio (Cass. civ., sez. III civ., 12 giugno 2019, n. 15859).

Come noto, invece, nel processo penale le dichiarazioni della persona offesa costituitasi parte civile possono fondare, anche da sole, una pronuncia di condanna (Cass. pen., sez. V, 13 febbraio 2020, n. 12920).

Osservazioni

Con la sentenza in commento, le Sezioni Unite offrono una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 622 c.p.p., escludendone l'applicabilità quando, all'esito del terzo grado di giudizio, sopravvivano interessi di rilevanza penale.

E, certo, questo è il caso dell'annullamento disposto per violazione dell'obbligo convenzionale di rinnovazione in appello delle prove dichiarative decisive.

Invero, allorquando permanga - anche in presenza di questioni relative ai soli profili civilistici della vicenda - l'interesse penalistico alla necessaria applicazione del «giusto processo», di rilievo costituzionale con riguardo ai casi di reformatio in peius della sentenza di assoluzione, non si innesca la definitiva recisione tra la pretesa civilistica e l'accertamento del fatto - reato (Cass. civ., sez. III, 9 gennaio 2020, n. 14229).

Si tratta di una soluzione pragmatica e maggiormente coerente con la disciplina dell'azione civile esercitata nel processo penale.

Sotto il primo profilo, in questo modo, i giudici penali di legittimità eludono il contrasto con gli omologhi civili sulla configurazione del giudizio di rinvio quale procedimento autonomo o come fase rescissoria dell'impugnazione della sentenza penale agli effetti civili.

La seconda alternativa ha sicuramente il pregio di condizionare l'accoglimento della pretesa risarcitoria della parte civile ai medesimi presupposti valevoli per l'affermazione della responsabilità penale (art. 538 c.p.p.); ma, al contempo, implica l'applicazione delle regole processual-penalistiche anche nel giudizio risarcitorio.

Di conseguenza, si consentirebbe alla Corte di cassazione civile di pronunciare in modo definitivo sull'interpretazione delle disposizioni dell'ordinamento penalistico, con inevitabile pregiudizio per la nomofilachia, giacché non esiste un organo deputato alla composizione dei contrasti insorti tra le due articolazioni della Suprema Corte, costituendo per via tabellare (ad esempio mediante il modulo ordinamentale della «coassegnazione») di un Collegio in composizione «mista», formato da giudici civili e penali di legittimità in pari numero di quattro, i quali, con cadenza semestrale, venga convocato dal Primo Presidente per risolvere le eventuali questioni controverse, nei casi in cui la soluzione offerta ab externo, seppure nell'ambito della propria competenza ratione materiae, dalla Corte di cassazione civile possa incidere sull'indirizzo giurisprudenziale di quella penale e viceversa.

Il rinvio al giudice penale, pertanto, assicura una maggiore uniformità dell'interpretazione delle disposizioni penalistiche, elidendo in radice i rischi di un «cortocircuito ermeneutico» gravemente pregiudizievole – come si è visto – tanto per l'imputato quanto per la parte civile.

Tale soluzione è inoltre coerente con l'impianto del codice procedura penale, che relega l'azione civile ad una posizione ancillare rispetto all'interesse all'accertamento dei reati, in ragione della quale essa è destinata a soggiacere alle norme proprie del processo penale.

Tanto è stato ribadito, di recente, anche dalla Corte costituzionale, la quale ha inoltre precisato che il disposto dell'art. 622 c.p.p. «trova la sua giustificazione nella particolarità della fase processuale collocata all'esito del giudizio di cassazione, dopo i gradi (o l'unico grado) di merito, senza che da ciò possa desumersi l'esigenza di un più ampio ricorso alla giurisdizione civile per definire le pretese restitutorie o risarcitorie della parte civile che abbia, fin dall'inizio, optato per la giurisdizione penale» (Corte cost.,12 luglio 2019, n. 176).

L'inevitabile corollario è una limitazione della portata applicativa della norma a quei soli casi in cui l'accertamento del fatto-reato possa dirsi definitivamente concluso davanti al giudice penale, in ragione del venir meno della persistenza dello statuto garantistico dell'imputato rispetto alla vicenda da esaminare (Cass. pen., 9 gennaio 2020, n. 14229, cit.: «né - ha aggiunto la Corte - la prospettata soluzione contrasta con quanto disposto dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte con la sentenza n. 40109/2013, Sciortino (Rv. 256087), la quale, esaminando una questione diversa da quella attuale, ha ritenuto che, una volta rilevata e dichiarata l'estinzione del reato per prescrizione, non possa residuare alcuno spazio per ulteriori pronunce del giudice penale (…). Infatti, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata, atteso che il giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (cfr. Cass. pen., sez. un., n. 35490/2009, Tettamanti, cit., Rv. 244275). Con la conseguenza per cui non potrà rinvenirsi quell'espansione dello statuto dell'imputato che giustifica il permanere della cognizione del fatto-reato davanti al giudice penale, stante il suo obbligo di verificare solo l'evidenza dell'insussistenza del fatto o della sua non riconducibilità all'imputato e, per il giudice di legittimità, la non manifesta infondatezza del motivo che ha consentito la corretta instaurazione del contraddittorio in quella sede»).

I giudici di legittimità, attraverso una minuziosa ricostruzione della valenza della sentenza resa ex art. 622 c.p.p., hanno superato il vincolo gnoseologico fra il pregresso accertamento penalistico e l'instaurando procedimento civile, tutte le volte che l'accertamento del fatto-reato possa dirsi definitivamente concluso davanti al giudice penale.

Si tratta di una soluzione esegetica che conferma la sistematica attuale dei rapporti fra le due giurisdizioni, penale e civile, improntati al principio di autonomia e separazione dei rispettivi giudizi.

Evidente, invero, il mutamento di prospettiva rispetto al sistema processuale previgente. Quest'ultimo, sul duplice presupposto dell'unità della funzione giurisdizionale e della netta preminenza assiologica del giudizio penale su quello civile, sanciva normativamente il principio di pregiudizialità necessaria dell'accertamento penale (art. 3 c.p.p. 1930) con sospensione obbligatoria del processo civile (art. 24 ss. c.p.p. 1930), onde assicurarne una risoluzione sempre coerente con l'esito cognitivo penalistico.

L'attuale assetto ordinamentale, per contro, è orientato proprio ad assicurare la reciproca indipendenza delle azioni, penale e civile, e ad evitare, quindi, pregiudizialità di sorta tra le due vicende.

L'evidente impostazione sistemica di autonomia tra il giudizio penale e il giudizio civile con conseguente dismissione del concetto di unità di giurisdizione e della prevalenza della giurisdizione penale sulla giurisdizione civile, comporta l'abbandono della supremazia dell'accertamento penale sul fatto-reato rispetto al diritto al risarcimento.

Cosicché, il giudice civile ben può operare in piena autonomia la propria cognizione della fattispecie in ordine alla verifica della responsabilità aquiliana dell'imputato/convenuto, senza essere vincolato alle soluzioni e alla qualificazioni del giudice penale, nei casi di annullamento che abbia ad oggetto esclusivamente le statuizioni ad effetti civili.

Al contrario, quante volte il giudizio civile di rinvio si ponga come lo sviluppo prosecutorio del procedimento penale, rectius di quella porzione di regiudicanda il cui vaglio – rimasto inevaso nella sede penale, ove non si è esaurito l'iter accertativo di un fatto di reato e, quindi, non sono state valutate le pretese risarcitorie fatte valere dalla parte offesa attraverso la costituzione di parte civile - appare evidente che il rinvio debba essere fatto innanzi al giudice penale.

Il criterio di economia processuale, per il quale deve evitarsi il permanere di questioni civili nei ruoli penali, va bilanciato con la necessità, dettata dal principio del giusto processo, di cristallizzare nella cognizione devoluta al giudice penale l'accertamento del fatto illecito da cui origina il danno.

Con la conseguente determinazione della Cassazione penale di deliberare l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata che abbia pronunciato statuizioni civili in violazione di una regola processuale penale prevista a pena di nullità (Cass., sez. VI, 6 giugno 2019, n. 31921) o, più correttamente, l'annullamento con rinvio al giudice penale sia pure ai soli effetti civili (Cass., sez. IV, 26 febbraio 2020, n. 12174), laddove sia presente un thema decidendum in cui ancora si controverta sulla sussistenza del fatto-reato. In tal caso, infatti, non può dirsi dissolto il collegamento tra la pretesa risarcitoria del danneggiato e l'accertamento del fatto-reato, che dovrà avvenire nel rispetto delle regole logico-inferenziali che presidiano il giusto processo penale e lo statuto dell'imputato, scongiurandosi altresì la diseconomica dispersione dell'acquisito compendio probatorio

Sull'individuazione del giudice al quale la regiudicanda deve essere rimessa, molto efficacemente la sentenza rileva che l'orientamento secondo il quale il rinvio andrebbe disposto dinanzi al giudice penale non ha fondamento alcuno, giacché è erronea l'idea che l'art. 622 c.p.p. presupporrebbe un definitivo accertamento della responsabilità penale.

Difatti, nel suo inciso iniziale, tale disposizione (fermi gli effetti penali della sentenza) non comporta affatto il riferimento a un «accertamento» della responsabilità penale; d'altro canto, tra gli «effetti penali della sentenza» rientrano sicuramente quelli derivanti da una pronuncia di estinzione del reato e ammettere una riapertura del tema penale solo per effetto dell'incidenza che su di esso, in linea di pura ipotesi, potrebbe avere il riesame dell'accertamento di responsabilità civile finirebbe per alterare e stravolgere fini e meccanismi decisori della giustizia penale in dipendenza di interessi civilistici ancora sub iudice.

La questione relativa all'individuazione del giudice del rinvio è forse definita, e la soluzione offerta in favore della giurisdizione civile, qualora vi sia un annullamento che interessi esclusivamente le statuizioni ad effetti civili appare l'unica in grado di scongiurare i paradossi generati dal «pastiche» dell'art. 622 c.p.p., espressione utilizzata in dottrina con riferimento al lapsus normativo nel quale «incappa l'art. 622 equiparando due ipotesi eterogenee: annullamento dei capi civili (ad esempio, perché i danni risultano male liquidati) ed esito positivo su ricorso della parte civile contro un proscioglimento».

Ed infatti, l'art. 622 c.p.p., rubricato «annullamento della sentenza ai soli effetti civili», disciplina una fase in cui l'analisi dei fatti di causa, sotto il profilo penalistico, si è completamente esaurita, anche nell'ipotesi di declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.

Al di là del dato letterale della norma (che dispone che se la Cassazione annulla solamente le disposizioni o i capi della sentenza che riguardano l'azione civile, rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello), ritengono i Giudici che il motivo per cui è legittimo e condivisibile il rinvio al giudice civile è dato anche dalla circostanza che, nel momento in cui ci si costituisce parte civile nell'ambito di un processo penale, si accetta implicitamente la possibilità che il reato possa prescriversi oppure che vi siano delle condizioni di improcedibilità che comportino la necessità di traslare l'azione presso altra sede, ossia quella civile.

Né si potrebbe giungere a diversa conclusione argomentando dalla circostanza che il rinvio dinanzi al giudice civile, comportando, nel prosieguo del giudizio, l'applicazione di regole e forme proprie del processo civile, si possa tradurre in un evento potenzialmente più gravoso per il danneggiato; difatti si tratterebbe di una possibile conseguenza che quest'ultimo ben può mettere nel conto, prospettandosi, nel momento in cui esercita l'azione civile nel processo penale, possibili esiti di quest'ultimo che non siano di condanna e lo obblighino così ad assumere il giudizio in sede civile e, quindi, secondo le regole proprie di questo.

Riferimenti
  • Agnino, Giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p. ed accertamento del nesso causale secondo la regola del più probabile che non, in www.ridare.it;
  • Canzio–Iadecola, Annullamento della sentenza penale ai soli effetti civili: quale giudice e quali regole di giudizio in sede di rinvio, in www.sistemapenale.it;
  • Cordero, Procedura penale, Milano, 2012, 1166;
  • La Muscatella, Saranno le Sezioni Unite a decidere la sorte degli annullamenti con rinvio di giudizi celebrati ai soli effetti civili in Diritto & Giustizia, 2020, 11;
  • Monzillo, Annullamento della sentenza di condanna ai soli effetti della responsabilità civile per violazione dell'obbligo di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale: quale giudice per il giudizio di rinvio?, in www.sistemapenale.it;
  • Paolucci, Le sezioni unite penali su annullamento della sentenza ai soli effetti civili: il rinvio al giudice civile e le regole applicabili, in www.foronews.it;
  • Piras, Sul giudice competente nel caso di annullamento con rinvio agli effetti civili, in Diritto & Giustizia, 2020.

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