Il carosello della procura speciale in materia di protezione internazionale: la parola alla Corte costituzionale

Ilaria Capossela
05 Luglio 2021

La Corte di cassazione dubita della compatibilità con la Costituzione dell'art. 35-bis, comma 13, d.lgs. 25/2008, così come interpretato dalle Sezioni Unite nella pronuncia 15177/2021 e, per l'effetto, rimette la valutazione di costituzionalità della norma, nella sua portata di diritto vivente, alla Corte costituzionale.
Massima

Va rimessa alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale del d.lgs. 25/2008, art. 35-bis, comma 13, come inserito dal d.l. 46/2017. La necessità della certificazione dell'autenticità della data di rilascio della procura da parte del difensore, limitatamente ai procedimenti di protezione internazionale – la cui mancanza determina la inammissibilità del ricorso – pone una questione di compatibilità con: i) l'art. 3 Cost., inteso come principio di ragionevolezza, quale corollario del principio di eguaglianza; ii) l'art. 10 Cost., sotto il profilo della tutela dei richiedenti asilo, quanto all'asserita necessità che i predetti siano presenti sul territorio nazionale al momento della presentazione del ricorso in cassazione; iii) l'art. 24 Cost., per lesione del diritto inviolabile di difesa riconosciuto, indiscriminatamente, a cittadini e stranieri; iv) l'art. 111 Cost., sul giusto processo; v) l'art. 117 Cost. in relazione alla Direttiva 2013/32/UE (Procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale), con riferimento all'art. 46 (Diritto ad un ricorso effettivo: in particolare, § 11, in tema di condizioni poste dagli Stati membri perché si possa presumere che il richiedente asilo abbia implicitamente ritirato o rinunciato al ricorso) e all'art. 28 (presunzione di rinuncia); all'art. 47 della Carta dei diritti UE, agli artt. 18 e 19, §2 della medesima Carta; agli art. 6, 7, 13 e 14 CEDU.

Il caso

Il richiedente asilo MD (omissis) ha impugnato per Cassazione il decreto del Tribunale di Bologna, n. 4353/2019, del 27 settembre 2019, a causa del rigetto della domanda di protezione internazionale per mancata certificazione della data di rilascio della procura al difensore. A seguito della sospensione del giudizio a quo, la terza Sezione della Corte di cassazione ha rimesso gli atti alla Corte costituzionale, sollevando questione di legittimità dell'art. 35 bis, comma 13, d.lgs. 25/2008 (inserito dalla l. 46/2017), alla luce della recente interpretazione fornita dalle SS.UU. (sent. n. 15177/2021), per violazione degli artt. 3, 10, 24, 111 e 117 della Costituzione, quest'ultimo articolo in relazione agli artt. 28 e 46 della Direttiva 2013/21/UE, agli artt. 18,19 e 47 della Carta di Nizza, e agli artt. 6, 7, 13, 14 della CEDU. La Sezione remittente ha chiesto, non un'interpretazione difforme rispetto a quella prospettata dalle SS.UU., ma una valutazione di costituzionalità della norma nella sua portata di diritto vivente per effetto della pronuncia n. 15177/2021.

La questione

Giova brevemente richiamare la pronuncia delle Sezioni Unite che ha interpretato l'art. 35 bis, comma 13, d.lgs. 25/2008 stabilendo che la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione, in materia di protezione internazionale e rifugiato politico, richiede, quale elemento di specialità rispetto alle ordinarie ipotesi di rilascio della procura ex artt. 83 e 365 c.p.c., la posteriorità della data rispetto alla comunicazione del provvedimento impugnato, prevedendo una peculiare inammissibilità del ricorso, per mancata certificazione della data di rilascio della procura da parte del difensore.

Al contrario, a parere della terza Sezione, la norma, così interpretata dalle SS.UU., contrasterebbe con gli articoli summenzionati della Costituzione e il ricorrente sarebbe costretto a subire l'inosservanza di una forma processuale da parte del difensore, impedendo l'accesso ad una decisione di merito, in un procedimento già privo di un grado di giudizio.

Le soluzioni giuridiche

Gli orientamenti interpretativi dell'art. 35, comma 13, d.lgs. 25/2008, posti alla base dell'originario contrasto della recente pronuncia delle SS.UU., erano tre: una prima tesi, valorizzando i principi della strumentalità delle forme degli atti processuali per la realizzazione di un certo risultato, ha ritenuto il ricorso ammissibile tutte le volte in cui, all'interno della procura, sussista un esplicito riferimento al provvedimento impugnato ed alla data della sua comunicazione; per un secondo orientamento è sufficiente che la data risultante dalla procura sia certificata dal difensore senza l'uso di formule sacramentali, potendosi desumere, nel rispetto del canone di effettività, anche dall'autentica della firma che segue l'indicazione della data; una terza ed ultima interpretazione (avallata dalle ordinanze interlocutorie delle sezioni prima e seconda e dalle stesse SS.UU.) ha ritenuto sanzionabile con inammissibilità del ricorso la mancanza della data successiva alla comunicazione del provvedimento sfavorevole e la sua specifica certificazione ad opera del difensore.

La terza sezione, nell'esaminare i requisiti di rilevanza e di non manifesta infondatezza della questione sollevata, sembrerebbe porsi all'interno del primo filone interpretativo (ex multis Cass. civ., sez. un., 25 marzo 2019, n. 8312; Cass. civ., 10 luglio 2019, n. 18535; Cass. civ., 22 giugno 2020, n. 12171; Cass. civ., 2 marzo 2021, n. 5674) per le considerazioni che seguono.

In punto di rilevanza, la Sezione remittente ha evidenziato che il principio di diritto, come enunciato dalla pronuncia n. 15177/2021, imporrebbe l'applicazione della norma in esame nel giudizio a quo, non essendo ipotizzabile una nuova rimessione alle Sezioni Unite (e conseguentemente un nuovo mutamento di indirizzo), considerata la recente data di deposito della pronuncia.

Nel merito, la questione è fondata, in primo luogo, per quanto concerne il tenore letterale della norma la cui sanzione dell'inammissibilità è testualmente circoscritta al presupposto della posteriorità del conferimento della procura rispetto al provvedimento impugnato e non anche alla certificazione della data di rilascio. La terza Sezione, richiamando il principio della strumentalità delle forme processuali e del raggiungimento dello scopo - ed inserendosi così nel primo orientamento - ha affermato che, ad assicurare il fine perseguito dal legislatore sarebbe necessario e sufficiente inserire nell'atto di procura il riferimento alla relativa data di rilascio (previa autentica della firma) e a quella del provvedimento impugnato, purché la prima sia posteriore alla comunicazione del decreto impugnato. Dunque, la mancata certificazione della data costituirebbe una mera irregolarità in quanto l'inosservanza di un requisito formale è irrilevante se l'atto viziato ha ugualmente raggiunto il suo scopo, essendo, peraltro, l'inammissibilità una sanzione tale da richiedere una disposizione espressa.

In secondo luogo, la non manifesta infondatezza, a parere della terza Sezione, si rinviene dal contrasto con la Costituzione delle rationes della norma individuate dalle SS.UU. concernenti, in primis, la garanzia che il richiedente sia ancora presente nel territorio dello Stato e, poi, il contrasto con la prassi del rilascio di procure in bianco e della proposizione di ricorsi infondati, il risparmio dei costi e la funzione deflattiva. La violazione della Costituzione è desumibile, innanzitutto, dal requisito aggiuntivo della certificazione della data che allontana l'istituto dal paradigma dell'art. 83 c.p.c., essendo, non solo incompatibile con la finalità del potere certificativo dell'avvocato, ma anche assimilato incoerentemente al potere di autenticazione, il quale presuppone la terzietà del P.U. rispetto alle parti dichiaranti e l'osservanza di una serie di formalità volte a garantire la sicurezza dell'attestazione che non contiene la disciplina del conferimento dello ius postulandi.

Un ulteriore profilo di incompatibilità attiene alla previsione secondo cui la sospensione del decreto di rigetto della domanda di protezione internazionale, se originariamente era automatica fino al passaggio in giudicato del provvedimento e consentiva di presumere la presenza del richiedente asilo nel territorio dello Stato, oggi viene meno dal rigetto del ricorso anche con decreto non definitivo e può essere, al più, facoltativamente disposta dal giudice, a seguito di istanza di parte da depositarsi entro cinque giorni dalla proposizione del ricorso per cassazione (che deve, a sua volta, essere proposto entro 30 giorni dal provvedimento di primo grado). Nelle more della disposizione della sospensione da parte del giudice, il richiedente asilo potrebbe allontanarsi o essere rimpatriato in esecuzione di un decreto del Tribunale la cui efficacia non è più automaticamente sospesa, con la conseguenza che gli sarebbe impedito definitivamente l'accesso alla giustizia. In tale circostanza, l'eventualità che sia rilasciata la procura anche al di fuori del territorio nazionale escluderebbe la funzione della certificazione della data della norma de qua consistente nell'assicurare la presenza del richiedente asilo nel territorio dello Stato per evitare una pronuncia inutiliter data.

Peraltro, tale funzione, presupposto del mantenimento della domanda di protezione internazionale, non sarebbe neanche richiesta dalle normative sovranazionali (ex artt. 28, 46, par. 11, della Direttiva 2013/32/UE) le quali prevedono - esclusivamente per la fase amministrativa del procedimento - una presunzione di rinuncia della domanda di protezione internazionale dall'allontanamento, senza autorizzazione, del richiedente dal luogo ove viveva o era trattenuto; presunzione questa non applicabile alla fase della giurisdizione ove non si ritorna sul merito dell'esame della domanda internazionale ma si invoca il diritto alla tutela effettiva dei propri diritti. Inoltre, in conformità all'art. 46 della Direttiva su richiamata e all'art. 24 Cost., la rinuncia al ricorso dovrebbe trovare una disciplina nazionale espressa.

Per di più, il contrasto con la prassi di proporre ricorsi infondati non sarebbe ostacolato con la certifica della data a pena di inammissibilità ma con un mandato ad litem - corredato da data del provvedimento impugnato, autentica della firma del ricorrente e data di rilascio della procura - e con i precisi obblighi legali e deontologici dei difensori.

La fondatezza del ricorso si sostanzia, infine, alla luce dei principi costituzionali di uguaglianza e di diritto alla difesa ed a quelli sovranazionali di equivalenza ed effettività. La Sezione remittente ha criticato, in particolare, la parte della sentenza delle SS.UU. in cui si afferma che non è presente alcuna materia regolata dal diritto interno omogena a quella della protezione internazionale e dell'asilo, omettendo qualsiasi giudizio di comparazione con procedimenti analoghi per oggetto, causa ed elementi fondamentali di tali ricorsi - criteri indicati dalla Corte di Giustizia dell'UE (Agrokonsulting-04, C-93/12, punto 39). Tali caratteri di omogeneità devono esser rinvenuti, a parere della terza Sezione, in tutti i procedimenti interni attributivi di uno status. In particolare l'ordinanza de qua soffermando l'analisi sui procedimenti di apolidia (per cui è competente la sezione specializzata del Tribunale con rito sommario di cognizione) e di protezione umanitaria (per cui è competente la sezione specializzata del Tribunale in composizione monocratica con rito ordinario o con sommario di cognizione) - omogenei per soggetti, oggetto, causa, elementi essenziali e diritti fondamentali tutelati - giunge a verificare che le relative norme procedurali non prevedono alcuna specialità della certificazione della data a pena di inammissibilità.

Pertanto, la terza Sezione ha concluso ritenendo che la norma de qua ponga seri dubbi di costituzionalità con riferimento ai principi precedentemente citati in quanto introduce, per una determinata categoria di stranieri, un regime processuale peggiorativo sia rispetto ai cittadini, sia rispetto ad altri stranieri che agiscono nelle modalità di cui all'art. 83 c.p.c., sia all'interno delle medesime categorie di soggetti - gli apolidi e i richiedenti protezione umanitaria.

Osservazioni

Mettendo a confronto i punti salienti dell'ordinanza interlocutoria in commento e la pronuncia n. 15177/2021, è interessante notare come, da un lato, le SS.UU. hanno escluso il contrasto con il principio di eguaglianza ex art. 3 Cost. in quanto era non la condizione di straniero ma la specificità del ricorso per cassazione rispetto alle materie di cui al d.lgs. 25/2008 a giustificare le forme restrittive dell'accesso alla giustizia della norma in esame, e, dall'altro lato, tale soluzione non sia stata condivisa dalla terza Sezione. Osservando che il principio di eguaglianza è violato quando situazioni sostanzialmente identiche sono disciplinate in modo ingiustificatamente diverso (Corte cost., sent. n. 340/2004) e quando a una categoria di persone definita con caratteristiche omogenee non sia imputato un trattamento giuridico omogeneo, l'ordinanza interlocutoria ha ritenuto sussistente il contrasto dell'art. 35, comma 13, d.lgs. 25/2008 con l'art. 3 Cost., poiché prevede un regime processuale peggiorativo per i richiedenti protezione internazionale e asilo politico sia rispetto ai cittadini, sia rispetto ad altri stranieri che agiscono nelle modalità di cui all'art. 83 c.p.c., ma soprattutto rispetto alle medesime categorie di soggetti ovvero gli apolidi e i richiedenti protezione umanitaria. In particolare, nell'ordinanza in esame, degna di nota è l'assimilazione della materia di protezione internazionale, ad abundantiam, con i reati violenti transfrontalieri per soggetto (cittadino estero) e oggetto della tutela (diritti fondamentali) ove la Corte di Giustizia ha sancito l'equiparazione tra la cittadina italiana ed i cittadini transfrontalieri (C-129-19).

Sia consentita ancora un'ultima considerazione: se le SS.UU. hanno escluso il contrasto con il diritto di difesa ex art. 24 Cost. - principio da bilanciare con quello della ragionevole durata dei processi e la sostenibilità socio-economica delle attività correlate al patrocinio a spese dello Stato - la terza Sezione ha invece ritenuto che: a) la sanzione dell'inammissibilità per la mancanza della certificazione della data leda il diritto di difesa, essendo sufficiente la sanzione della mera irregolarità per le ragioni suesposte; e b) che la rinuncia al ricorso giurisdizionale per allontanamento del ricorrente dal territorio – requisito non necessario dalle normative nazionali e sovranazionali prese in considerazione – richieda un'espressa disposizione nazionale, non essendo sufficiente una mera applicazione analogica della previsione prevista per la fase amministrativa.

Riferimenti
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