Il pro-rata IVA va valutato sulla base dell'attività esercitata

07 Luglio 2021

Per verificare se una determinata operazione attiva rientri, o meno, nell'attività propria di una società, ai fini dell'inclusione nel calcolo della percentuale detraibile in relazione al compimento di operazioni esenti (c.d. pro rata), quali sono i criteri da seguire?

Per verificare se una determinata operazione attiva rientri, o meno, nell'attività propria di una società, ai fini dell'inclusione nel calcolo della percentuale detraibile in relazione al compimento di operazioni esenti (c.d. pro rata), quali sono i criteri da seguire?

La disciplina nazionale del pro-rata matematico è contenuta nell'art. 19, commi 1° e 5°, e nell'art. 19-bis del d.P.R. n. 633/1972.

In termini generali, nell'art. 19, comma 5° del d.P.R. citato, è prevista la disposizione generale per l'applicazione del pro rata, mentre nell'art. 19-bis del predetto d.P.R. sono disciplinate le modalità applicative per la determinazione dello stesso.

Nella prima disposizione (quella generale) è previsto che per i contribuenti i quali esercitino sia attività le quali danno luogo ad operazioni che conferiscono il diritto alla detrazione, sia attività che danno luogo ad operazioni esenti, il diritto alla detrazione spetta in misura proporzionale alla prima categoria di operazioni ed il relativo ammontare è determinato applicando la percentuale di detrazione di cui all'art. 19-bis del d.P.R. n. 633/1972.

Alla norma di principio di cui al predetto comma 5° dell'art. 19 citato, si affianca la norma di “attuazione” dell'art. 19-bis del d.P.R. n. 633/1972, ove si prevede che la percentuale di detrazione di cui all'art. 19 è determinata in base al rapporto tra l'ammontare delle operazioni che danno diritto a detrazione, effettuate nell'anno, e lo stesso ammontare aumentato delle operazioni esenti effettuate nell'anno medesimo.

Completa il quadro il comma 2° dell'art. 19-bis del d.P.R. n. 633/1972, il quale stabilisce che ai fini del calcolo della percentuale di detrazione non si deve tener conto di una serie di operazioni (ivi elencate) “quando non formano oggetto dell'attività propria del soggetto passivo e siano accessorie alle operazioni imponibili”.

È opportuno sottolineare – per un'esatta comprensione della questione – che l'espressione “operazioni (…) che non formano oggetto dell'attività propria del soggetto passivo”, utilizzata dalla normativa nazionale, riflette quella di “incidental transactions” impiegata dalla corrispondente normativa europea (art. 174 della Direttiva 2006/112/CE), secondo la quale tali operazioni assumono “importanza soltanto secondaria o accidentale rispetto alla cifra globale dell'impresa”; si tratta, quindi, di operazioni che hanno un ruolo “marginale” nell'economia dell'attività svolta dal soggetto passivo, a prescindere dal fatto che esse abbiano o meno carattere abituale.

Secondo gli insegnamenti della Corte di Giustizia UE (causa C-77/01 del 29 aprile 2004), al fine di determinare se le operazioni esenti abbiano carattere marginale o debbano essere computate ai fini del pro rata, occorre verificare se le stese implichino, o meno, “solamente un uso strettamente limitato di beni e servizi per i quali l'Iva è dovuta”; ciò in quanto, come osservato dai Giudici Europei, “se tutti i risultati delle operazioni del soggetto passivo (…) dovessero essere inclusi [nel calcolo del pro rata] anche qualora l'ottenimento di tali risultati non implichi l'impiego di beni o servizi soggetti all'Iva o, almeno, ne implichi solo un impiego limitatissimo, il calcolo della detrazione sarebbe falsato”.

Nella sentenza sopra richiamata, la Corte di Giustizia ha chiarito anche che:

(i) l'entità del volume di affari generato dalle operazioni esenti può costituire solo un “indizio” della non accessorietà di tali operazioni, ma non può, di per sé, escludere la qualificazione di queste ultime come operazioni “accessorie” e che

(ii) l'esclusione delle operazioni accessorie dal calcolo della percentuale di detrazione può, addirittura, verificarsi anche nell'ipotesi in cui “redditi superiori a quelli prodotti dall'attività indicata come principale dell'impresa interessata provengano da tali operazioni”: e ciò in quanto l'inclusione delle operazioni esenti nel calcolo del pro rata di detrazione “esclusivamente in ragione della rilevanza dei redditi che esse producono avrebbe come conseguenza quella di falsare il calcolo della detrazione”.

In definitiva, i profili da valutare al fine di saggiare il carattere “marginale/accessorio” di un'operazione sono due (come riscontrabile anche nella pronuncia della Corte di Giustizia UE del 14 dicembre 2016, causa C-378/15):

  • la relazione tra dette operazioni accessorie esenti e le attività imponibili principali del soggetto passivo;
  • l'impiego che esse implicano dei beni o servizi per i quali l'imposta sul valore aggiunto è dovuta.

Indicazioni conformi all'orientamento della Corte di Giustizia UE si ritrovano sia nei documenti di prassi della stessa Amministrazione finanziaria, sia nella giurisprudenza nazionale.

L'Agenzia delle Entrate, rifacendosi alle decisioni comunitarie, ha ribadito che le operazioni finanziarie esenti non soffrono della limitazione della detrazione con il metodo del pro rata generale se comportano un limitato impiego di lavoro tale da non costituire una vera e propria organizzazione specifica per la gestione dell'attività finanziaria (Risoluzione n. 41/E del 5 aprile 2011).

Pertanto, stando alle indicazioni offerte dalla stessa Agenzia delle Entrate, con l'espressione operazioni che “non formano oggetto dell'attività propria del soggetto passivo” (art. 19 bis, comma 2°, d.P.R. n. 633 del 1972), il Legislatore avrebbe inteso far riferimento non solo alle operazioni “occasionali”, ma anche alle operazioni che, pur se poste in essere in via sistematica, non sono quelle ordinariamente dirette a realizzare lo scopo dell'impresa, ma sono strumentali al conseguimento di detto scopo e di importanza marginale, stante l'assenza di un'apposita struttura per svolgerle e stante l' impiego limitato di lavoro, beni e servizi (Risoluzione n. 305/E del 21 luglio 2008).

Tale conclusione ha la propria valenza anche laddove le operazioni esenti siano indicate nello Statuto Sociale.

Sul punto l'Amministrazione finanziaria con Circolare 26 novembre 1987, n. 71 (la quale, seppur riferita alle operazioni esenti di natura finanziaria, ha reso chiarimenti spendibili anche per le operazioni esenti di natura immobiliare) ha affermato che “specie per le operazioni normalmente intese di natura finanziaria … deve ritenersi che tali operazioni, se poste in essere da società industriali o commerciali in conformità degli statuti (che ne prevedano l'effettuazione non come oggetto proprio delle società ma solo in quanto finalizzate al raggiungimento dagli scopi sociali) non possono essere considerate come attività propria delle stesse, ma debbono piuttosto essere qualificate come strumentali al miglior svolgimento dell'ordinaria attività esercitata in quanto a supporto di detta attività e tendenti alla più proficua realizzazione economica della medesima; e sotto tale profilo non può darsi rilievo alla loro frequenza o alla loro entità”.

Pertanto, le operazioni esenti (sia finanziarie che immobiliari), non possono essere ricondotte, ai fini del calcolo del pro rata di detrazione Iva, nell'attività propria dell'impresa qualora non costituiscano il core business della stessa, ma si qualifichino appunto come “strumentali” al miglior svolgimento di detto core business e ciò a prescindere dall'attività indicata come oggetto sociale nell'atto costitutivo (Cassazione, sez. trib., sent. n. 9670 del 19 aprile 2018).

Quanto alla giurisprudenza nazionale la stessa, richiamando i principi fissati dalla Corte di Giustizia UE, ha statuito che per l'individuazione delle operazioni qualificabili in termini di “accessorietà”, occorre riferirsi sempre alla composizione della cifra di affari del soggetto passivo, “a condizione che la valutazione condotta a tal fine tenga conto altresì del rapporto tra dette operazioni e le attività imponibili di tale soggetto passivo nonchè, eventualmente, dell'impiego che esse implicano dei beni e dei servizi per i quali l'IVA è dovuta” (Corte di Cassazione, sez. trib., sent. n. 23811 dell'11 ottobre 2017).

Sul punto si veda anche quanto affermato dalla Corte di Cassazione, sent. n. 8813/2019, la quale ha affermato che“per verificare se una determinata operazione attiva rientri, o meno, nel calcolo del cosiddetto "pro rata", occorre avere riguardo a quella prevalente concretamente svolta dall'impresa”.

Rebus sic stantibus, per verificare se una data operazione esente debba essere computata ai fini del calcolo del pro rata, occorre riscontrare, secondo l'insegnamento della Corte di Giustizia UE, della stessa Amministrazione finanziaria e della giurisprudenza nazionale, il “peso”, cioè la rilevanza di essa; ove per l'effettuazione di tale operazione sia previsto un uso limitato o trascurabile di beni e servizi soggetti ad Iva, l'operazione di cui trattasi va esclusa dal calcolo del pro rata, appunto perché marginale, indipendentemente dalla sua incidenza nel volume di affari complessivo del soggetto passivo.

Il carattere “accessorio” dell'operazione effettuata dal soggetto passivo deve, quindi, essere valutato andando a verificare, nei fatti, se vi è l'esistenza o meno di una effettiva struttura organizzata al fine di effettuare dette operazioni e se la stessa comporti un utilizzo rilevante di lavoro, beni e servizi e ciò indipendentemente dall'attività indicata come oggetto sociale nell'atto costitutivo.

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