Opposizione a decreto ingiuntivo: giudizio ordinario di cognizione o impugnazione?
08 Luglio 2021
Massima
Vanno rimessi gli atti al Primo Presidente, affinché lo stesso valuti l'opportunità di assegnare la trattazione del ricorso alle Sezioni Unite, sulla questione relativa alla qualificazione dell'opposizione a decreto ingiuntivo quale impugnazione o quale giudizio ordinario cognizione. Il caso
Con sentenza n. 7477/2015 il Tribunale di Palermo, previo mutamento del rito da ordinario a locatizio, dichiarava inammissibile l'opposizione proposta dall'Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo avverso il decreto ingiuntivo con il quale le si intimava il pagamento, in favore della Immobiliare Strasburgo S.r.l., della somma di Euro 15.343,74, a titolo di indennità di occupazione e di rimborso quote condominiali inerenti alla locazione di un immobile. Il Tribunale, in particolare, premesso che il giudizio, avendo ad oggetto crediti derivanti da locazione, era soggetto al rito del lavoro ai sensi dell'art. 447-bis c.p.c. e doveva, quindi, essere introdotto con ricorso anziché con citazione come fatto dall'opponente, rilevava che il rispetto del termine di cui all'art. 641 cpc andava verificato con riferimento al deposito della copia notificata della citazione, sicché, nel caso di specie, l'opposizione risultava tardivamente proposta, in quanto il deposito era avvenuto in data 20 ottobre 2014, a fronte di una notifica del decreto ingiuntivo eseguita il 18 luglio 2014. Avverso la sentenza di primo proponeva appello l'A.S.P. di Palermo, denunciando la violazione da parte del Giudice di prime cure dell'art. 4, comma 5, del d.lgs. 150/2011, il quale, nel caso di mutamento di rito, fa salvi gli affetti sostanziali e processuali prodottisi secondo le norme del rito seguito prima del mutamento. La Corte d'appello di Palermo, con sentenza del 20 febbraio 2018, riteneva fondata tale censura, osservato che la norma citata avrebbe dovuto trovare applicazione nel caso di specie, sussistendone tutti i presupposti; ciò, tuttavia, non conduceva alla riforma della sentenza impugnata, in quanto l'appellante si era limitata a dedurre la censura in rito senza prospettare alcuna questione di merito e senza, soprattutto, chiedere l'accoglimento dell'opposizione a decreto ingiuntivo proposta in primo grado, così incorrendo nella decadenza prevista dall'art. 346 c.p.c.. Anche avverso tale decisione la ASP di Palermo interponeva impugnazione proponendo ricorso per Cassazione, a cui resisteva Immobiliare Strasburgo S.r.l., con controricorso contenente pure ricorso incidentale condizionato. La questione
La ricorrente deduceva, innanzitutto, che il giudice di appello aveva errato nel ritenere come rinunciati e non riproposti, ex art. 346 c.p.c., i motivi e le domande formulati originariamente con l'atto di opposizione a decreto ingiuntivo e ribaditi a seguito di conversione del rito, in quanto il principio generale di conservazione degli atti imponeva di considerare il giudice del gravame investito della domanda di riforma della sentenza di primo grado anche in mancanza di riproposizione ex novo delle domande fatte valere in quella sede, essendo sufficiente, allo scopo, la rappresentazione dei fatti di primo grado e i motivi proposti in appello. Tale motivo era giudicato fondato dalla Suprema Corte, la quale osservava - richiamando, peraltro, un orientamento consolidato (cfr. Cass. civ, sez. V, ord., 2 agosto 2017, n. 19216; Cass. civ., sez. V, 9 giugno 2010, n. 13855; Cass. civ., sez. lav., 1 luglio 2004, n. 12092) - che, in tema di appello, la regola per cui le domande e le eccezioni non esaminate perché ritenute assorbite devono comunque essere riproposte ai sensi dell'art. 346 c.p.c. per poter essere esaminate dal giudice del gravame, non poteva trovare applicazione in caso di impugnazione della decisione che aveva giudicato inammissibile l'atto introduttivo di primo grado, posto che, in simile fattispecie, la sola impugnazione costituiva di per sé manifestazione di volontà di proseguire nel giudizio, con implicita riproposizione della domanda principale, non avendo altrimenti alcuna valida e concreta ragione la sola impugnativa della questione preliminare di rito. Veniva, quindi, esaminato il motivo di ricorso incidentale della Immobiliare Strasburgo, avente ad oggetto la ritenuta «violazione o falsa applicazione di norme di diritto e, in particolare del d.lgs. 150/2011, art. 4, comma 5, art. 426 c.p.c. in relazione all'art. 447-bis c.p.c., art. 156 c.p.c. e art. 645 c.p.c. - ai sensi dell'art. 360 c.p.c. n. 3», nella parte in cui la Corte territoriale aveva ritenuto sussistenti i presupposti per l'applicazione, nella vicenda di specie, dell'art. 4, comma 5, d.lgs. 150/2011, che, nel caso di mutamento del rito, fa salvi gli effetti sostanziali e processuali prodottisi secondo le norme di rito seguito prima del mutamento. Osservava, infatti, la ricorrente incidentale, che l'opposizione a decreto ingiuntivo non introduceva un giudizio autonomo, costituendo, piuttosto, una fase del giudizio già pendente a seguito del ricorso del creditore depositato ante causam, destinata a svolgersi secondo le norme del procedimento ordinario (per come affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 7448/1993). Non potendosi, pertanto, considerare l'opposizione a decreto ingiuntivo atto con il quale «viene promossa una controversia», ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 4 d.lgs. 150/2011, non poteva trovare applicazione la norma in questione in caso di introduzione dell'opposizione con rito errato. Il motivo così articolato porta i giudici di legittimità ad interrogarsi sulla natura del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, se cioè esso costituisca un giudizio di cognizione ordinario, avente ad oggetto la domanda sottesa al ricorso per ingiunzione, ovvero un giudizio di impugnazione del provvedimento monitorio opposto. Le soluzioni giuridiche
Viene, quindi, evidenziata la pluralità di orientamenti dottrinali e giurisprudenziali esistenti sulla questione. Osserva, infatti, la Corte che all'orientamento illustrato dalla ricorrente incidentale, teso a configurare l'opposizione a decreto ingiuntivo come atto introduttivo non di un giudizio autonomo e neppure di un grado autonomo ma semplicemente di una fase (eventuale) di un giudizio già pendente, se ne contrappongono altri, anche dottrinali, che ravvisano nell'opposizione un atto introduttivo di un autonomo giudizio o addirittura un'impugnazione di primo grado. Le stesse Sezioni Unite della Corte di cassazione, nell'affermare la competenza funzionale e inderogabile del giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo opposto ai fini della decisione sull'opposizione hanno rimarcato l'assimilabilità dell'opposizione a decreto ingiuntivo al giudizio di appello (viene richiamata, in particolare, Cass. civ., sez. un., 18 luglio 2001, n. 9769, confermativa sul punto di quanto già espresso dalle stesse Sezioni Unite con le sentenze nn. 10984/1992 e 10985/1992). Ancora nel 2019 (Cass. civ., sez. VI-III, ord., 12 marzo 2019, n. 7071) la Corte, su vicenda analoga a quella oggetto della pronuncia in commento, affermava la tesi secondo cui l'opposizione a decreto ingiuntivo in materia di controversie locatizie, erroneamente introdotta con citazione anziché con ricorso ex art. 447-bis c.p.c., doveva ritenersi tempestiva se entro il termine di cui all'art. 641 c.p.c. fosse avvenuta l'iscrizione a ruolo mediante deposito in cancelleria dell'atto di citazione, «non potendo trovare applicazione il d.lgs. 150/2011, art. 4 il quale concerne i giudizi di primo grado erroneamente introdotti in forme diverse da quelle prescritte da tale decreto legislativo e non anche i procedimenti di natura impugnatoria, come l'opposizione a decreto ingiuntivo». La rilevanza della questione e l'esistenza di orientamenti giurisprudenziali difformi portavano la Terza Sezione a rimettere gli atti al Primo Presidente, ai fini della trasmissione alle Sezioni Unite. Osservazioni
Tesi dominante in seno alla giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. I, ord., 16 luglio 2020, n. 15224; Cass. civ., sez. II, 12 marzo 2019, n. 7020; Cass. civ., sez. VI, 28 maggio 2019, n. 14486; Cass. civ., sez. III, 23 luglio 2014, n. 16767; Cass. civ., sez. I, 22 aprile 2003, n. 6421) è quella per cui l'opposizione al decreto ingiuntivo non è un'impugnazione del decreto, volta a farne valere vizi ovvero originarie ragioni di invalidità, ma dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione di merito, teso all'accertamento, in pieno contraddittorio tra le parti, dell'esistenza del diritto di credito azionato dal creditore con il ricorso ex artt. 633 e 638 c.p.c. (e valutato dal giudice del monitorio inaudita altera parte). Conseguenza di tale impostazione è che il giudice deve accogliere la domanda dell'attore in senso sostanziale (il creditore ricorrente in monitorio), rigettando conseguentemente l'opposizione, quante volte abbia a riscontrare che i fatti costitutivi del diritto fatto valere in sede monitoria, pur se non sussistenti al momento della proposizione del ricorso o della emissione del decreto, sussistono, tuttavia, in quello successivo della decisione e che, in generale, il giudice, anche ove accerti la mancanza delle condizioni richieste dagli artt. 633 e ss. c.p.c. per l'emissione delle ingiunzione, deve comunque pronunciare sul merito del diritto fatto valere dal creditore, tenuto conto degli elementi probatori esibiti nel corso del giudizio (potendo la mancanza delle condizioni per l'emissione del provvedimento monitorio opposto rilevare solo in punto di spese). Una conferma della natura non impugnatoria del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo sembra trarsi anche dall'arresto delle Sezioni Unite che ha posto a carico dell'opposto, quale attore in senso sostanziale – e non, quindi, a carico dell'opponente quale impugnante - l'onere di esperire, a fini di procedibilità, il tentativo di mediazione nelle materie rientranti nel campo di applicazione di cui all'art. 5, comma 1-bis, d.lgs. 28/2010, una volta avvenuta la decisione sulle istanze ex artt. 648 e 649 c.p.c. (Cass. civ., sez. un., 18 settembre 2020, n. 19596). La natura non impugnatoria del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, tuttavia, non appare pacifica in seno alla stessa giurisprudenza di legittimità. La medesima sentenza in commento, nel ripercorrere l'evoluzione giurisprudenziale sulla questione, fa rilevare che il principio della competenza funzionale e inderogabile a decidere sull'opposizione a decreto ingiuntivo in capo all'ufficio che ha emesso il provvedimento monitorio opposto è stato affermato dalle Sezioni proprio sul presupposto dell'assimilabilità del giudizio di opposizione a quello di impugnazione (Cass. civ., Sez. Un, Sentenza n. 9769 del 18/07/2001 e Sentenze nn. 10984 e 10985 del 8/10/1992). Di «natura impugnatoria» del giudizio di opposizione parla, inoltre, anche la più recente Cass. civ., Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 7071 del 12/03/2019, proprio al fine di escludere l'applicabilità, a tale giudizio, dell'art. 4 d.lgs. 150/2011 in caso di errore in rito commesso dall'opponente (quale questione concreta su cui la Terza Sezione nella sentenza in commento è chiamata a decidere); natura impugnatoria che sarebbe confermata «dalla persistenza del decreto dopo l'opposizione e dalla previsione di meccanismi di possibile definizione del giudizio tipici delle impugnazioni, quali il consolidamento del provvedimento impugnato in caso di inattività dell'opponente o di estinzione del giudizio». Vi sono, inoltre, ulteriori evidenti affinità con il giudizio di impugnazione, in quanto il procedimento monitorio si conclude con l'emissione del decreto ingiuntivo dalla cui notifica decorre il termine per proporre l'opposizione, mentre se l'opposizione non viene proposta il decreto acquista efficacia di giudicato, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 647 c.p.c. La stessa opposizione è destinata a concludersi con la conferma o la revoca del provvedimento monitorio opposto, al pari di un qualsiasi giudizio di impugnazione. Non sono mancate, peraltro, specie in dottrina, tesi intermedie, dirette a riconoscere l'impossibilità di ricostruire l'opposizione «o tutta in termini di impugnazione o tutta in termini di giudizio di primo grado» e favorevoli, quindi, al riconoscimento di una duplicità di funzioni di tale giudizio, ostativa all'applicazione analogica di norme pensate per istituti (quale l'impugnazione) di cui l'opposizione possiede solo alcuni caratteri (in particolare, Proto Pisani, Opposizione a decreto ingiuntivo, continenza e connessione: una grave occasione mancata dalle sezioni unite, in Foro it., 1992, I, 3286; Sbaraglio, Le competenze assolutamente inderogabili di fronte alla riforma del codice di procedura civile, 1996, I, 2086). L'ordinamento, d'altra parte, conosce figure «ibride» di giudizi impugnatori, caratterizzati dall'applicazione parziale delle norme proprie di simili giudizi: basti pensare all'opposizione allo stato passivo (artt. 98 e ss. r.d. 267/1942), in seno alla quale non opera, nonostante la riconosciuta natura impugnatoria, la preclusione di cui all'art. 345 c.p.c. in materia di «ius novorum» con riguardo alle nuove eccezioni proponibili dal curatore, in quanto il riesame, a cognizione piena, del risultato della cognizione sommaria proprio della verifica, demandato al giudice dell'opposizione, se da un lato esclude l'immutazione del «thema disputandum» e non ammette l'introduzione di domande riconvenzionali della curatela, dall'altro non ne comprime, tuttavia, il diritto di difesa, consentendo, quindi, la formulazione di eccezioni non sottoposte all'esame del giudice delegato (Cass. civ., sez. VI, ord., 4 dicembre 2020, n. 27902; Cass. civ. Sez. 1, Sentenza n. 19003 del 31/07/2017). La stessa giurisprudenza di legittimità, in alcune pronunce più datate, pur escludendo la natura impugnatoria del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ha individuato in tale giudizio una fase successiva ed eventuale di mera «continuazione orizzontale» del procedimento monitorio, di «verifica e di accertamento» del procedimento iniziato inaudita altera parte in base a cognizione anticipata e sommaria e conclusosi con una pronunzia emessa sulla scorta di documenti di particolare attendibilità ed evidenza probatoria (Cass. civ., Sez. 1, Sentenza n. 3316 del 30/03/1998, n. 3316). In tale panorama, dottrinale e giurisprudenziale, corretta appare l'invocazione dell'intervento delle Sezioni Unite, sia per la rilevanza teorica della questione, sia per le ricadute di ordine pratico che essa può avere: ove, infatti, venisse affermata la natura impugnatoria del giudizio di opposizione dovrebbe valutarsi l'applicabilità, in caso di rigetto o inammissibilità/improcedibilità dell'opposizione, dell'art. 13 comma 1-quater d.P.R. 115/2002, con condanna dell'opponente al pagamento di una somma pari a quella del contributo unificato versato e potrebbe ipotizzarsi il formarsi di un giudicato interno in caso di mancata specifica censura avverso taluni capi autonomi dell'ingiunzione o il formarsi del giudicato implicito sulle questioni (in primis, quella sulla giurisdizione o quella sulla competenza) costituenti presupposti logici necessari dell'ingiunzione stessa e non contestati dall'opponente. Riferimenti
|