La sindacabilità in Cassazione dell'interpretazione del titolo esecutivo giudiziale: la questione alle Sezioni Unite

12 Luglio 2021

Va rimessa al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la soluzione del contrasto giurisprudenziale sorto circa la possibilità per la Corte di cassazione di procedere all'interpretazione del titolo esecutivo di formazione giudiziale.
Massima

Va rimessa al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la soluzione del contrasto giurisprudenziale sorto circa la possibilità per la Corte di cassazione di procedere all'interpretazione del titolo esecutivo di formazione giudiziale.

Il caso

La vicenda giudiziaria sfociata nel provvedimento in commento trae origine dalla domanda proposta da un lavoratore agricolo nei confronti dell'INPS, al fine di veder accertata l'illegittimità del provvedimento di cancellazione dagli elenchi dei lavoratori agricoli emesso a suo carico, con conseguente dichiarazione del suo diritto alla reiscrizione per il tempo e gli anni indicati nel ricorso introduttivo.

Il ricorso veniva accolto dal Tribunale di Foggia con sentenza che veniva posta a base di un'esecuzione forzata per obblighi di fare ex art. 612 c.p.c.; poiché nelle more di detta esecuzione l'INPS provvedeva a effettuare l'iscrizione richiesta, il lavoratore chiedeva dichiararsi l'estinzione della procedura esecutiva.

L'ordinanza di cessazione della materia del contendere sull'esecuzione promossa veniva poi opposta ex art. 617 c.p.c., con relativa riforma in punto di spese.

La sentenza emessa dal Tribunale di Foggia, infine, era fatta oggetto di ricorso per cassazione col quale, ai sensi dell'art. 360, n. 5), c.p.c., si denunciava omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, per avere il Tribunale erroneamente ricostruito la portata precettiva del titolo posto a base dell'esecuzione (ossia, la sentenza del Tribunale di Foggia). In particolare - come emerge dalla ricostruzione effettuata nel provvedimento in epigrafe -, dagli atti di causa risultava incontroverso come l'unico oggetto della domanda giudiziale avanzata dal lavoratore fosse costituito nell'iscrizione negli elenchi dei lavoratori agricoli, non avendo lo stesso spiegato alcuna domanda di condanna per prestazioni previdenziali; di talché, il lavoratore aveva preteso di fondare la propria azione esecutiva ex art. 612 c.p.c. sulla sentenza del Tribunale di Foggia, la cui unica statuizione coincideva con l'accertamento del suo diritto all'iscrizione negli elenchi degli operai agricoli.

Le questione

Premessa tale ricostruzione fattuale, la Suprema Corte rileva che, laddove le fosse consentito procedere direttamente all'interpretazione del titolo esecutivo giudiziale, ne deriverebbe senz'altro l'accoglimento del motivo di ricorso presentato, non potendosi dubitare della portata meramente dichiarativa della statuizione contenuta nella sentenza del Tribunale di Foggia e, di conseguenza, della sua inidoneità a fondare l'azione esecutiva promossa.

Tuttavia, alla possibilità di compiere tale operazione ermeneutica si opporrebbe quel consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità che esclude, per l'appunto, la possibilità di interpretazione diretta del titolo esecutivo giudiziale, giusta il principio secondo cui l'interpretazione del titolo esecutivo compiuta dal giudice dell'esecuzione o da quello chiamato a sindacarne l'operato nell'ambito delle opposizioni esecutive si risolve in un apprezzamento di fatto, in quanto tale incensurabile in Cassazione se non nei limiti dell'art. 360, n. 5), c.p.c. (Cass. civ., 13 giugno 2018, n. 15338; Cass. civ., 12 dicembre 2018, n. 32196) – veicolo, infatti, nel caso di specie utilizzato dall'INPS ricorrente.

Tuttavia, circoscrivendo la censura dell'INPS nei limiti propri dell'art. 360, n. 5), c.p.c., ne sarebbe emersa l'infondatezza, in quanto la sentenza impugnata - emessa all'esito dell'opposizione ex art. 617 c.p.c. - ha senz'altro esaminato il fatto del cui omesso esame ci si duole, ossia la sentenza del Tribunale di Foggia, pervenendo tuttavia a un'errata interpretazione della stessa, nella misura in cui è stata ritenuta idonea a fondare l'esecuzione ex art. 612 c.p.c.

Tutto ciò esposto, la questione posta nel provvedimento in epigrafe concerne la possibilità di assoggettare a revisione l'orientamento richiamato, che esclude la possibilità che la Suprema Corte possa procedere direttamente all'interpretazione del titolo esecutivo giudiziale.

Le soluzioni giuridiche

Il provvedimento in commento sfocia così nella rimessione al Primo Presidente della Corte, per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, della questione circa la possibilità, per il giudice di legittimità, di procedere direttamente all'interpretazione del titolo esecutivo giudiziale.

Allo scopo di prospettare una possibilità di revisione del consolidato orientamento richiamato - che, come visto, esclude una facoltà di interpretazione diretta -, la Suprema Corte evidenzia un potenziale contrasto tra plurimi principi affermati dalla Cassazione medesima, denunciando l'esigenza di un suo componimento.

Anzitutto, la Corte muove dalla natura che deve essere riconosciuta alla sentenza che, nell'ambito di una procedura esecutiva, sia invocata quale titolo esecutivo giudiziale: quella, cioè, di giudicato esterno invocato in un differente processo.

È sulla base di siffatta qualificazione, infatti, che è stato tradizionalmente affermato il principio che esclude un sindacato di legittimità sull'interpretazione del titolo esecutivo giudiziale, e ciò sulla base del rilievo per cui l'interpretazione del giudicato esterno costituisce apprezzamento di fatto, per l'appunto, non sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato (in tal senso, già Cass. civ., sez. un. 28 maggio 1998, n. 5295; tra le più recenti, Cass. civ., 16 gennaio 2001, n. 552).

Come si evince dai precedenti richiamati, tale orientamento è piuttosto risalente, ancorché sia stato mantenuto anche successivamente alla revisione che le Sezioni Unite hanno compiuto circa la natura giuridica del giudicato esterno (il riferimento è a Cass. civ., sez. un., 25 maggio 2001, n. 226, che ha riconosciuto al giudice di legittimità la possibilità di accertarne l'esistenza e la portata anche ex officio), essendosi al riguardo osservato che, in sede di esecuzione, la sentenza passata in giudicato, pur ponendosi come giudicato esterno, non opera come decisione della lite, bensì come titolo esecutivo, con la conseguenza per cui la stessa andrebbe intesa come presupposto fattuale dell'esecuzione (senza che vi possa essere contrasto di giudicati o violazione di ne bis in idem: così, Cass. civ., 21 novembre 2001, n. 14727; tra le più recenti, la già cit. Cass. civ., n. 15538/2018).

Tuttavia, secondo il provvedimento in commento, la rilevanza della sentenza, nell'ambito del processo esecutivo, quale mero presupposto di fatto, dovrebbe essere superata alla luce della pronuncia di Cass. civ., sez. un., 9 maggio 2008, n. 11501, la quale - nell'enunciare il principio di diritto secondo cui, ai fini dell'interpretazione di provvedimenti giurisdizionali, si deve fare applicazione analogica dei canoni ermeneutici prescritti dagli artt. 12 ss. preleggi, invece di quelli propri degli atti negoziali, in ragione dell'assimilabilità dei provvedimenti giudiziali alle norme giuridiche quanto a vis imperativa e indisponibilità per le parti -, ha direttamente proceduto all'interpretazione del titolo esecutivo posto a base dell'esecuzione nel caso di specie intrapresa: ciò, in quanto l'interpretazione del giudicato esterno e del titolo esecutivo operate dal giudice di merito non possono essere riguardate come un apprezzamento di fatto, ma costituiscono quaestiones iuris da sindacare nella più ampia ottica della violazione di legge.

Sarebbe proprio quest'ultimo principio di diritto, secondo il provvedimento in commento, a porsi in insanabile contrasto con l'ordinamento dianzi ricordato: una volta affermata la qualificazione del giudicato esterno nei termini di quaestio iuris, infatti, non si può limitare il sindacato esercitabile sul medesimo nelle maglie del vizio ex art. 360, n. 5), c.p.c.

L'evidenziato contrasto, unitamente alla qualificazione della questione nei termini di questione di massima di particolare importanza, ha condotto alla rimessione della causa al massimo organo di nomofilachia.

Osservazioni

Con il provvedimento in commento la Cassazione torna a esprimersi sul delicato tema dell'interpretazione dei titoli esecutivi giudiziali.

In relazione all'attività ermeneutica esercitabile dal giudice del merito, si ricorda come la stessa debba basarsi essenzialmente sugli elementi testuali dello stesso, tenendo conto del dispositivo e della motivazione del provvedimento; peraltro, ove il contenuto del titolo sia obiettivamente ambiguo o incerto, il giudice può ricorrere anche a elementi extra-testuali, purché ritualmente acquisiti al processo (in tal senso, la recente Cass. civ., 5 giugno 2020, n. 10806).

Viceversa, per quanto riguarda i poteri esercitabili dalla Suprema Corte circa l'interpretazione del titolo esecutivo giudiziale, è oggi assolutamente consolidato l'orientamento, richiamato dal provvedimento in epigrafe, secondo cui l'interpretazione del titolo esecutivo sia incensurabile in sede di legittimità, ove non risultino violati i criteri giuridici che regolano l'estensione e i limiti dell'atto esaminato e se il procedimento interpretativo sia esente da vizi logici per omesso esame di fatti controversi e decisivi ex art. 360, n. 5), c.p.c.

Più nello specifico, laddove il titolo esecutivo sia costituito da un provvedimento giudiziale passato in giudicato, nell'attività ermeneutica del titolo domandata al giudice tradizionalmente si ritiene che non assumano rilevanza i poteri di rilievo ex officio e di diretta interpretazione del giudicato esterno riconosciuti alla Cassazione quale giudice di legittimità: in sede esecutiva, infatti, la sentenza, pur ponendosi come giudicato esterno, non rileverebbe quale decisione dotata di forza imperativa, bensì quale mero presupposto dell'esecuzione forzata, la cui interpretazione spetta al giudice dell'esecuzione. Nell'ambito del giudizio di legittimità, all'opposto, la Corte non avrebbe il potere di valutarne direttamente il contenuto, bensì solamente quello di stabilire se l'interpretazione della sentenza sia o meno conforme ai principi giuridici che regolano l'attività ermeneutica.

Il provvedimento in commento, come illustrato poco sopra, suggerisce una diversa considerazione del titolo esecutivo giudiziale all'interno della procedura esecutiva, che rileverebbe sì come giudicato esterno, ma non quale mero presupposto “fattuale” dell'esecuzione forzata, bensì come norma giuridica applicabile al caso concreto, e dunque come quaestio iuris sindacabile, in sede di legittimità, nei termini di violazione di legge: ciò da cui deriverebbe la possibilità per la Cassazione di procedere direttamente all'interpretazione del titolo esecutivo giudiziale, sì da ritrarne essa stessa l'esatta portata precettiva.

Riferimenti

Sulle specifiche questioni si rinvia, oltre alla giurisprudenza citata nel testo, a Bellè, Titolo giudiziale e tutela esecutiva, in REF, 2005;

  • D'Alessandro, Titolo esecutivo e precetto, in REF, 2000, 49; Grasso, Titolo esecutivo, in EdD, Milano, 1992;
  • Merlin, Questioni in tema di oggetto del giudizio di opposizione all'esecuzione, di eccezione di compensazione in sede esecutiva e di interpretazione del titolo esecutivo giudiziale, in REF, 2005, 165;
  • Tedoldi, Esecuzione forzata, Pisa, 2021.

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