Monitoraggio fiscale e riciclaggio: non tutto è sanzionabile

Ranieri Razzante
02 Agosto 2021

Le somme di denaro detenute da un contribuente italiano su un conto corrente di una banca estera non sono considerate, fino a prova contraria e di per sé sole, parte del suo reddito imponibile. Per tale motivo, va provato che l'eventuale, successivo trasferimento ad altra destinazione, sia essa su conto corrente o altri beni, integri il reato di cui all'art. 648-bis c.p...
Massima

Le somme di denaro detenute da un contribuente italiano su un conto corrente di una banca estera non sono considerate, fino a prova contraria e di per sé sole, parte del suo reddito imponibile. Per tale motivo, va provato che l'eventuale, successivo trasferimento ad altra destinazione, sia essa su conto corrente o altri beni, integri il reato di cui all'art. 648-bis c.p.

Il caso

La Corte di Appello di Firenze, decidendo in sede di rinvio dopo una prima sentenza della Corte di Cassazione del 23 ottobre 2018, confermava quanto deciso in una sua precedente pronuncia del 28 ottobre 2015, condannando G.D.S. in relazione all'art. 648-bis c.p., per aver trasferito, senza concorrere nel reato fiscale di cui all'art. 4 del d.lgs. n. 74/2000 (e in altri commessi da suoi parenti), denaro proveniente da quei delitti su conti correnti intestati ad una sua società e ad altre intestate ad altri congiunti.

La questione

Avverso tale pronuncia, il G.D.S. si opponeva in Cassazione, in buona sostanza contestando l'asserita violazione di cui al ripetuto art. 4 d.lgs. n. 74/2000 (il delitto presupposto, nel linguaggio della norma punitiva del reato di riciclaggio), in quanto la (presunta) dichiarazione infedele si riferiva a redditi del 2003 – secondo l'accusa -, mentre a quelli accumulati in oltre 20 anni precedenti, quindi prescrittisi, come da lui affermato. Si faceva altresì presente, da parte della difesa, la circostanza che per l'omessa compilazione del quadro RW della dichiarazione dei redditi esteri (i conti correnti erano presso banche estere, per l'appunto), la sanzione prevista ha (a tutt'oggi) natura amministrativa e non penale. Veniva poi fatto oggetto di contestazione il mancato rispetto del principio dell'onere della prova, per non aver esattamente sostenuto documentalmente – la Corte fiorentina – il possesso della somma de qua su conto svizzero, in accumulazione periodica, peraltro, e non in unica soluzione (il che serve per formulare l'ipotesi di reato fiscale).

Le soluzioni giuridiche

Con la sentenza in esame, la Suprema Corte riteneva il ricorso fondato (per la posizione che rileva in questo commento, ove escludiamo l'altra parte del provvedimento degli Ermellini).

Innanzitutto, a suo avviso, il Tribunale di Firenze non aveva dimostrato in maniera indefettibile che il delitto presupposto sopra emarginato si fosse realizzato nell'anno in contestazione (2003), come “qualsiasi delitto non colposo” previsto dall'originaria formula dell'art. 648-bis c.p. (su tutti, R. Razzante, Manuale di legislazione e prassi dell'antiriciclaggio, Torino, 2020).

La configurabilità di un'ipotesi di reato presupposto è il prius non solo giuridico, ma logico – se ci è consentito – per la stessa esistenza del riciclaggio. E la Corte ha più volte chiarito, anche di recente, come questa prova non debba mai mancare, in misura chiara e inconfutabile (si veda, tra le più recenti, e per tutte, Cass. pen., sez. II, 23 settembre 2020, n. 32112).

Non bastava, infatti, aver ritenuto che la prova de qua fosse costituita da documentazione contabile, che semmai si arrestava dinnanzi ad un (possibile) illecito amministrativo e non penale.

Il dl. n. 167/1990, convertito dalla l. n. 227/1990, sul c.d. “monitoraggio fiscale”, nell'opportuno richiamo della Corte, prevede una serie di obblighi dichiarativi a carico dei contribuenti italiani che trasferiscano da e per l'estero denaro, titoli e valori. Ove disattesi, la sanzione è – giova ripeterlo – di tipo amministrativo, per cui ciò è sufficiente – proprio per lo “stretto” legame tra delitti non colposi e riciclaggio, ad escludere la consecutio sfociante nell'ipotesi di cui all'art. 648-bis c.p.

Ad abundantiam, i Giudici ricordano altresì che il reato di dichiarazione infedele, di cui al citato art. 4 d.lgs. n. 74/2000, non residua in favore del Tribunale di Firenze per porgerne l'applicazione alla fattispecie sottoposta al suo vaglio, poiché la detenzione di somme su un conto di banca estera non può essere, ex se (ed ex lege!), ritenuta di produzione di reddito imponibile del contribuente; se ne prevede infatti, giusto il disposto normativo suddetto, non la tassazione integrale, quand'anche fosse, ma le “rendite” da queste prodotte.

Non negano, i Supremi Giudici, che le somme detenute dall'imputato in Svizzera, poi trasferite a San Marino, fossero proventi da evasione fiscale; ciò vieppiù a motivo del fatto che egli ne fece oggetto di “scudo fiscale” (art. 8 l. n. 284/2002). Ciò non implementa però la riconducibilità delle stesse all'anno di imposta per il quale si è preteso, da parte dell'accusa, il superamento delle soglie di punibilità che maturassero il ripetuto delitto fiscale.

In ogni caso, come si ricorderà, il provvedimento agevolativo di cui trattasi contemplava la sanabilità tout court dei reati fiscali compiuti in un certo periodo di imposta, ma chi ne usufruiva aveva l'onere di dichiarare la somma da “scudare”, non certamente gli anni in cui questa si fosse accumulata nel proprio portafogli.

Osservazioni

La Sentenza interviene su un tema, a dire il vero, assai praticato sia dalle Corti di merito, che dalla stessa Cassazione.

Il rapporto tra reati fiscali e riciclaggio, come presupposto – i primi – del secondo, e anche dell'autoriciclaggio, è sempre più rintracciabile nelle fattispecie giunte a giudizio.

Qui non è riuscita, la giurisprudenza di merito, a “vincere” la presunzione che da una fattispecie violativa di norme fiscal-tributarie si possa pervenire, mercè il reimpiego/reinvestimento delle somme/utilità risparmiate da evasione degli obblighi fiscali, a condanne per 648-bis o 648-ter 1 c.p.

È prevedibile un crescendo di tali evenienze giurisprudenziali, dato il momento congiunturale della nostra economia, e alla luce degli indicatori e schemi di anomalia emanati, soprattutto in questi ultimi due anni, da parte dell'Unità di Informazione Finanziaria, in materia di frodi fiscali.

Guida all'approfondimento

N. Pollari, Manuale di Diritto tributario, Laurus Robuffo, 2020;

R. Razzante (a cura di), “I paradisi fiscali”, Maggioli, 2021;

R. Razzante, “Riservatezza delle segnalazioni di operazioni sospette di riciclaggio: qualche profilo critico”, in Riv. 231, n. 1/2021;

R. Razzante,“Il demon-contante non sempre conduce al riciclaggio”, in Il Penalista, 8 febbraio 2021;

R. Razzante, “Manuale di legislazione e prassi dell'antiriciclaggio”, Giappichelli, 2020;

R. Razzante, Evasione fiscale e riciclaggio, un intreccio pericoloso”, in Gnosis, Rivista Italiana di Intelligence, n. 1/2012;

R. Razzante, L'autoriciclaggio e i rapporti con i reati presupposto”, in Riv. 231, n. 4/2014, pagg. 19-26;

R. Razzante, Il riciclaggio nella giurisprudenza”, Giuffré, Milano, 2011.

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