Licenziamento collettivo di dirigenti e blocco Covid: orientamenti alternativi del Tribunale di Milano

Francesco Pedroni
04 Agosto 2021

Il divieto di licenziamento in questione non pare giustificato dal fatto di accedere al licenziamento collettivo o individuale, ma dalla possibilità, per il datore di lavoro, che nonostante la situazione economica deve assicurare la continuità occupazionale dei suoi lavoratori, di accedere agli ammortizzatori sociali...

Licenziamento collettivo di dirigenti e blocco Covid: Quot capita tot sententiae.

Per il Tribunale di Milano (2 luglio 2021, n. 17628), la revoca di quattro dei sei originari licenziamenti intervenuta successivamente all'intimazione degli stessi è del tutto irrilevante ed è inidonea a impedire l'integrazione della fattispecie di licenziamento collettivo ai sensi dell'art. 24 della l. n. 223/1991, individuandosi, a tal fine, l'evento qualificabile come licenziamento nella volontà del datore di lavoro di porre fine ai rapporti di lavoro.

L'accertata sussistenza di un licenziamento collettivo si pone in netto contrasto con la disciplina del blocco dei licenziamenti collettivi di cui all'art. 46 del d.l. n. 18/2020, primo periodo del primo comma, il cui carattere imperativo e di ordine pubblico non può mettersi in dubbio.

Dal carattere imperativo e di ordine pubblico della disciplina del blocco dei licenziamenti collettivi, consegue che la violazione di tale divieto comporta la nullità dei licenziamenti adottati in contrasto con la regola e, quindi, l'applicazione della sanzione ripristinatoria di cui all'art. 18, 1° comma, l. n. 300/1970, (nullità del licenziamento “perché riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge”), derivando la nullità espressamente dall'art. 1418 c.c. applicabile anche ai licenziamenti in forza del richiamo di cui all'art. 1324 c.c..

Ancora, il Tribunale di Milano, 17 luglio 2021, ha affermato come la verifica circa la necessità o meno di procedere con le forme del licenziamento collettivo va condotta nel momento in cui nasce la decisione di licenziare, non già successivamente al momento in cui il rapporto è ormai cessato.

In tale momento, laddove l'intenzione riguardi più lavoratori (più di cinque), in un arco temporale stabilito (120 giorni) e per identiche motivazioni, il recesso del datore di lavoro non può che avvenire con le forme di cui alla l. n. 223/91. Del tutto irrilevanti sono le vicende successive e i possibili diversi epiloghi del singolo rapporto.

Irragionevole risulta, a parere di chi scrive, una lettura dell'intero art. 46, comma 1 e 1-bis del d.l. n. 18/2020 che porti alla conclusione per la quale il licenziamento del dirigente è vietato solo se collettivo, mentre consentito se individuale.

Il divieto di licenziamento in questione non pare giustificato dal fatto di accedere al licenziamento collettivo o individuale, ma dalla possibilità, per il datore di lavoro, che nonostante la situazione economica deve assicurare la continuità occupazionale dei suoi lavoratori, di accedere agli ammortizzatori sociali.

In tale contesto, posto che pacificamente la società non ha seguito la procedura, il licenziamento non può dirsi legittimo e il vizio del quale risulta affetto non è tale da determinare la nullità del recesso, ma la sua illegittimità per violazione della procedura con conseguente condanna della società al pagamento in favore del dirigente dell'indennità massima pari a 24 mensilità della retribuzione globale di fatto, essendo nella fattispecie la procedura stata del tutto omessa.

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