Giudice di pace

Livia Di Cola
06 Agosto 2021

Con la l. 374/1991 è stato istituito il Giudice di pace. Ai sensi dell'art. 1, comma 2 della citata legge, l'Ufficio del Giudice di pace è ricoperto da un magistrato onorario appartenente all'ordine giudiziario, quindi assoggettato alle stesse disposizioni del magistrato togato, seppur con un ruolo temporaneo.
Inquadramento

Con la l. 374/1991 è stato istituito il Giudice di pace.

La rubrica del titolo II suddetto è stata modificata dall'art. 69 d.lgs. 51/1998. Il d.lgs. 51/1998, sopprimendo l'ufficio del pretore, ha nuovamente modificato la struttura (oltre al contenuto) del titolo II del libro II del codice, ora intitolato al solo procedimento davanti al G.p. La riforma indicata ha soppresso la ripartizione interna del titolo II in tre capi e, in particolare, ha eliminato il capo primo (che conteneva tre articoli con le disposizioni comuni ai due procedimenti). Dei tre articoli citati due attualmente si riferiscono al solo procedimento davanti al G.p. (artt. 311 e 313) e il terzo (art. 312) è stato abrogato (perché divenuto superfluo a seguito del rinvio alla disciplina del procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica).

Ai sensi dell'art. 1, comma 2 della l. 374/1991 l'Ufficio del Giudice di pace è ricoperto da un magistrato onorario appartenente all'ordine giudiziario, quindi assoggettato alle stesse disposizioni del magistrato togato, seppur con un ruolo temporaneo. Infatti ai sensi dell'art. 10, l. 374/1991: «il magistrato onorario che esercita le funzioni di Giudice di pace è tenuto all'osservanza dei doveri previsti per i magistrati ordinari... Si applicano le disposizioni in tema di responsabilità disciplinare dei magistrati ordinari, in quanto compatibili».

Giurisdizione e competenza

Nonostante il disposto dell'art. 37 c.p.c., è ormai pacifica l'interpretazione che vuole il difetto di giurisdizione nei confronti della pubblica amministrazione o del giudice speciale non più rilevabile d'ufficio o eccepibile dopo che il giudice di primo grado abbia pronunciato sul merito della domanda; perciò, il giudicato interno sulla giurisdizione si forma tutte le volte in cui il giudice di primo grado abbia pronunciato nel merito, affermando anche implicitamente la propria giurisdizione e le parti abbiano prestato acquiescenza a tale statuizione, non impugnando la sentenza sotto questo profilo (Cass. civ., 22 maggio 2019, n. 13750).

In evidenza

In proposito Cass. civ., sez. un., 19 marzo 2020, n. 7454 ha stabilito: «Il giudicato implicito sulla giurisdizione si forma tutte le volte in cui la causa sia stata decisa nel merito, con esclusione delle sole decisioni che non contengano statuizioni implicanti l'affermazione della giurisdizione, sicché la preclusione da giudicato non può scaturire da una pronuncia che non contenga alcuna statuizione sull'attribuzione o sulla negazione del bene della vita preteso, ma si limiti a risolvere questione giuridiche strumentali all'attribuzione del bene controverso. (Nella specie, relativa ad una domanda di risarcimento danni per accessione invertita e occupazione illegittima, la S.C. ha escluso la presenza di un giudicato implicito sulla giurisdizione del giudice ordinario, rispetto alla domanda risarcitoria, nella sentenza non definitiva di primo grado, che si era limitata a ritenere non perfezionato un accordo di cessione volontaria dell'area occupata, senza esaminare la predetta domanda, neppure al fine di ritenere sussistente l'an della pretesa)».

Per quel che concerne il difetto di giurisdizione nei confronti del giudice straniero, ai sensi dell'art. 4, comma 1, l. 218/1995, se il convenuto non lo eccepisce nel suo primo atto difensivo l'accetta convenzionalmente, perciò non può più farlo valere (art. 11, l. 218/1995).

Ai sensi dell'art. 11, l. 218/1995, tale difetto di giurisdizione è rilevato dal giudice d'ufficio, sempre in qualunque stato e grado del processo, se il convenuto è contumace, se ricorre l'ipotesi di cui all'art. 5 c.p.c., cioè quando si tratti di immobili situati all'estero, ovvero se la giurisdizione italiana è esclusa per effetto di una norma internazionale.

Non vi è alcun ostacolo a che davanti al Giudice di pace si proponga regolamento di giurisdizione ai sensi dell'art. 41 c.p.c.

La competenza del Giudice di pace nel processo civile è disposta dall'art. 7 c.p.c., secondo il quale: «Il Giudice di pace è competente per le cause relative a beni mobili di valore non superiore a euro 5.000,00, quando dalla legge non sono attribuite alla competenza di altro giudice. Il Giudice di pace è altresì competente per le cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e di natanti, purché il valore della controversia non superi euro 20.000,00. È competente qualunque ne sia il valore:

1) per le cause relative ad apposizione di termini ed osservanza delle distanze stabilite dalla legge, dai regolamenti o dagli usi riguardo al piantamento degli alberi e delle siepi;

2) per le cause relative alla misura ed alle modalità d'uso dei servizi di condominio di case;

3) per le cause relative a rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione in materia di immissioni di fumo o di calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e simili propagazioni che superino la normale tollerabilità;

3-bis) per le cause relative agli interessi o accessori da ritardato pagamento di prestazioni previdenziali o assistenziali».

Anche nel procedimento davanti al Giudice di pace la decisione solo sulla competenza ha la forma dell'ordinanza, secondo la Cassazione (Cass. civ., ord., 28 maggio 2014, n. 12010 ritiene che trovi applicazione nel processo innanzi al G.p. l'art. 279, comma 1, c.p.c. [nel testo introdotto dall'art. 46, comma 9, lett. a), l. 69/2009], il quale prescrive di decidere con ordinanza su questioni di competenza). Tale ordinanza non può essere impugnata con regolamento di competenza in virtù dell'art. 46 c.p.c., che esclude l'esperibilità di tale mezzo di impugnazione nel giudizio davanti al giudice laico, perciò, l'unica soluzione possibile è che dovrebbe essere impugnata con appello: infatti, trattandosi di una decisione su un presupposto processuale, si può applicare il principio della prevalenza della sostanza sulla forma, che vuole il provvedimento impugnabile con il mezzo di critica suggerito dalla natura del provvedimento.

Il termine per il rilievo d'ufficio dell'incompetenza per materia, valore o territorio inderogabile, come per altri rilievi officiosi, è quello della prima udienza: questa conclusione si raggiunge grazie all'applicazione del principio desumibile dall'art. 38, comma 3, c.p.c. che fa riferimento alla prima udienza davanti al Tribunale, al procedimento davanti al Giudice di pace.

Il convenuto ha la possibilità di eccepire l'incompetenza fino al momento della sua tempestiva costituzione, ovvero in questo procedimento alla prima udienza (art. 38, comma 1 e 2 c.p.c.)

Si è specificato in dottrina (Luiso, in Consolo-Luiso-Sassani, Commentario alla riforma del processo civile, Padova, 1996, 303 ss.) che l'art. 38 c.p.c. non esclude la possibilità di far valere nell'udienza di trattazione successiva i profili di incompetenza (per materia, valore e territorio, sia funzionale che semplice) eventualmente sorti nell'udienza immediatamente precedente in virtù di modificazioni della domanda originaria, della proposizione di nuove domande, della quantificazione della domanda stessa.

Il Giudice di pace non ha potere in materia cautelare sia prima che dopo l'inizio di una causa di sua competenza: in tal caso si deve adire il Tribunale territorialmente compente (art. 669-ter e 669-quater c.p.c.).

Fanno eccezioni i provvedimenti di istruzione preventiva, per i quali può essere competente anche il giudice di pace (art. 693 c.p.c.). Inoltre, il G.p. è competente per la rimessione in pristino prevista dall'art. 669-nonies, comma 3, c.p.c. nonché per il risarcimento dei danni, ex art. 96 c.p.c., per l'ipotesi in cui sia stata attuata una misura cautelare per un diritto poi accertato come inesistente.

Non hanno natura cautelare le ordinanze anticipatorie di cui agli artt. 186-bis, ter e quater c.p.c., perciò posso essere adottate anche dal G.p.

Rimane di competenza del Tribunale in composizione collegiale il procedimento di querela di falso. Ai sensi dell'art. 313 c.p.c., quando è proposta querela di falso, spetta al GP valutare l'importanza del documento per la decisione: se lo ritiene rilevante per la decisione, sospende il giudizio e rimette le parti davanti al Tribunale per il relativo procedimento. In applicazione dell'art. 225, comma 2, c.p.c. su istanza di parte, può disporre che la trattazione della causa continui davanti a sé relativamente a quelle domande che possono essere decise indipendentemente dal documento impugnato.

Le condizioni di procedibilità

Ai sensi dell'art. 5, comma 1-bis, d.lgs. 28/2010 (aggiornato con le modifiche apportate dal d.l. 132/2014, conv., con modif., dalla l. 162/2014 e dal d.lgs. 130/2015, d.lgs. 68/2018, e dal d.l. 50/2017, convertito, con modificazioni, nella l. 96/2017) condizione di procedibilità prima dell'esercizio giudiziale di un'azione relativa ad una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è il procedimento di mediazione, con l'assistenza di un avvocato. Questa disposizione si applica davanti al giudice di pace per le controversie che rientrano nella sua competenza per materia o per valore. Il quarto comma dell'art. 5, comma 1-bis suddetto prevede una serie di esclusioni, che per quel che riguarda il giudice di pace sono, se rientrano nella sua competenza per valore: i procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione; i procedimenti di opposizione all'esecuzione forzata.

Ai sensi dell'art. 3, comma 1, l. 162/2014 l'esperimento del procedimento di negoziazione assistita, tramite avvocato, è condizione di procedibilità della domanda giudiziale relativa a controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti; nonché, fuori dei casi previsti dal periodo precedente e dall'art. 5, comma 1-bis, d.lgs. 28/2010, della domanda giudiziale di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti cinquantamila euro. Ai sensi del settimo comma del medesimo articolo la detta disposizione non si applica quando la parte può stare in giudizio personalmente, quindi nelle controversie che hanno un valore inferiore ai 1,100 euro.

Infine ai sensi dell'art. 1, comma 249, l. 193/2014 la disciplina in materia di procedimento per negoziazione assistita si applica anche alle controversie relative ai contratti di trasporto e di subtrasporto, che si svolgono davanti al giudice di pace, di valore non superiore a 5,000 euro.

Il mancato esperimento della condizione di procedibilità è eccepibile o rilevabile d'ufficio non oltre la prima udienza; in tal caso il giudice concede un termine per il tentativo di mediazione o negoziazione, non sospendendo il procedimento ma fissando udienza dopo la scadenza dello stesso.

Procedimento davanti al Giudice di pace

Si applicano al procedimento davanti al G.p. le disposizioni del primo libro del codice di procedura civile, che stabiliscono principi generali.

Ai sensi dell'art. 311 c.p.c. le lacune esistenti nella disciplina del procedimento davanti al giudice di pace debbono essere colmate mediante l'applicazione delle disposizioni relative al procedimento davanti al Tribunale in composizione monocratica, purché siano compatibili.

In evidenza

In proposito Corte cost., 19 giugno 1998, n. 230 ha stabilito: «Le (più) rigorose norme relative al procedimento civile dinanzi al tribunale si applicano ai giudizi dinanzi al giudice di pace, in virtù del rinvio di cui all'art. 311 c.p.c., solo in quanto compatibili con la struttura semplificata del rito speciale. Inoltre, la maggiore professionalità tecnica del giudice di pace rispetto al conciliatore dovrebbe consentirgli un'agevole e semplice individuazione delle norme processuali applicabili. Non sussiste pertanto il rischio che il procedimento dinanzi al giudice di pace, a causa del rinvio di cui all'art. 311 c.p.c., sia troppo gravoso e distolga il cittadino dal fare valere le sue fondate pretese, sicché, deve essere dichiarata manifestamente infondata la q.l.c. dell'art. 311 c.p.c., sollevata in riferimento agli art. 3 e 24 Cost.»

Secondo l'art. 81, comma 1 c.p.c. le parti possono stare in giudizio personalmente davanti al giudice di pace per le cause il cui valore non ecceda i 1,100 euro. In tutti gli altri casi la parte deve stare in giudizio con il ministero e l'assistenza del difensore. Ai sensi dell'art. 317 c.p.c. le parti possono farsi rappresentare da persona munita di mandato scritto in calce alla citazione o in atto separato, salvo che il giudice ordini la loro comparizione personale. La norma specifica anche che il mandato a rappresentare comprende sempre quello a transigere e a conciliare. Secondo la dottrina (così Luiso, in Consolo-Luiso-Sassani, Commentario, 323) la rappresentanza volontaria processuale prevista dall'art. 317 c.p.c. costituisce un'eccezione al principio generale di cui all'art. 7, secondo il quale tale rappresentanza può essere conferita solo a chi sia investito del potere di rappresentanza sostanziale relativamente al rapporto oggetto del giudizio. Si tratta di una norma scarsamente utilizzata nella prassi, proprio perché anche davanti al GP è richiesta la difesa tecnica.

Ai sensi dell'art. 316 c.p.c., ci sono due possibili modi di proporre domanda al giudice di pace: mediante citazione a comparire ad udienza fissa ovvero oralmente.

Nel primo caso, l'atto di citazione segue il modello dell'art. 163 c.p.c.: infatti, ai sensi dell'art. 318 c.p.c. essa deve contenere l'indicazione del giudice e delle parti, l'esposizione dei fatti e l'indicazione dell'oggetto, l'indicazione della data della prima udienza, ma non l'avvertimento di cui al numero sette dell'art. 163, perché ad entrambe le parti è data la possibilità di costituirsi fino alla prima udienza di trattazione (art. 319 c.p.c.); nel secondo caso, presentata la domanda oralmente al giudice, quest'ultimo ne fa redigere processo verbale; l'attore deve notificare la domanda redatta, con citazione a comparire ad udienza fissa. Tra il giorno della notificazione e quello dell'udienza di comparizione debbono intercorrere i termini di cui all'art. 163-bis c.p.c. ridotti alla metà (art. 318, comma 2, c.p.c.), ovvero quarantacinque giorni se il luogo di notificazione si trova in Italia, settantacinque giorni se si trova all'estero.

Le cause di competenza del giudice di pace regolate dal rito del lavoro (artt. 6, 7, 8 e 12 del d.lgs. 150/2011) e quelle di opposizione a sanzioni amministrative (art. 22 ss. l. 689/1981), sono introdotte con ricorso. In applicazione dell'art. 316, comma 2, c.p.c., la domanda può essere proposta oralmente e poi redatta per iscritto seguendo le forme tipiche del ricorso.

Alla nullità dell'atto introduttivo si applica, con i dovuti adattamenti, la disciplina di cui all'art. 164 c.p.c.

La costituzione delle parti può avvenire fino all'udienza della prima comparizione ed anche in quella sede, mediante il deposito della citazione o della comparsa di costituzione e risposta, della relazione di notificazione, della procura e dei documenti che si offrono in comunicazione. La parte più dirigente al momento della costituzione produce la nota di iscrizione a ruolo.

Sempre al momento della costituzione è data facoltà alla parti di dichiarare la residenza o eleggere domicilio, se non vi hanno provveduto precedentemente (art. 319 c.p.c.).

Ai sensi dell'art. 320 il primo adempimento al quale il giudice deve provvedere è l'interrogatorio libero delle parti. In prima udienza è prevista, perciò, la comparizione personale delle parti, salva la facoltà di farsi rappresentare da un procuratore generale o speciale, con potere di conciliare e transigere ex art. 185, comma 1 c.p.c.

In evidenza

Secondo Cass. civ., sez. II, 19 agosto 2011, n. 17437 in tema di procedimento dinanzi al giudice di pace, non sussiste violazione dall'art. 320 c.p.c. ove il tentativo di conciliazione, contemplato da tale norma, sia stato precluso dalla ingiustificata assenza di una di una parte all'udienza di comparizione, né è ipotizzabile alcuna lesione del diritto di difesa, ove la parte assente sia stata posta in condizione di presenziare all'udienza, mediante la comunicazione di apposita ordinanza riservata.

Il giudice interroga liberamente le parti, al fine di chiarire i fatti di causa ed eventualmente tentare la conciliazione; può trarre dalle loro risposte, dalla loro mancata comparizione e dal loro contegno processuale argomenti di prova ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.c. Se le parti si conciliano, si forma processo verbale ai sensi dell'art. 185, ultimo comma, c.p.c. che costituisce titolo esecutivo. Se la conciliazione delle parti non riesce, potrà intervenire in ogni altro momento dell'istruzione ai sensi dell'art. 185 o dell'art. 185-bis c.p.c.

Ai sensi dell'art. 320, comma 2, c.p.c.: «Se la conciliazione non riesce, il giudice di pace invita le parti a precisare definitivamente i fatti che ciascuna pone a fondamento delle domande, difese ed eccezioni, a produrre i documenti e a richiedere i mezzi di prova da assumere».

Non vi è da dubitare che anche in questa sede si applichino le preclusioni di cui all'art. 183 c.p.c. Il procedimento, sicuramente più snello ed informale del giudizio davanti al tribunale, ha lo scopo di agevolare la rapida definizione di controversie di minor valore o complessità ed il suo spirito sarebbe tradito se si consentisse alle parti di svolgere nuove domande (la reconventio reconvenionis) o eccezioni oltre la prima udienza.

In evidenza

Cass. civ., sez. II, 21 aprile 2008, n. 10331: «In tema di procedimento davanti al giudice di pace, la maggiore snellezza del rito da osservare non comporta deroghe al sistema delle preclusioni delineato dalla disciplina del giudizio davanti al tribunale in composizione monocratica - cui l'art. 311 c.p.c. rinvia - né in particolare al divieto di proporre domande nuove, né la natura eventualmente equitativa della decisione, ai sensi dell'art. 113, comma 2, c.p.c., esime il giudice dal rispetto delle norme di carattere processuale, concernendo esclusivamente il diritto sostanziale». In questo senso la più recente giurisprudenza: Cass. civ., 3 agosto 2017, n. 19359; Id., 18 gennaio 2019, n. 1419.

Se necessario per evitare la violazione del diritto di difesa davanti ad una domanda riconvenzionale del convenuto o ad una chiamata in causa di un terzo formulata in prima udienza, il giudice può concedere i termini di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c. per il deposito delle memorie ivi indicate.

È d'obbligo il rinvio ad altra udienza in caso di chiamata in causa di un terzo, per consentirne la citazione nel rispetto dei termini a difesa. L'attore può chiamare in causa un terzo solo nel caso in cui sia autorizzato dal giudice ai sensi dell'art. 183, comma 5, c.p.c.

Il terzo si può costituire, come l'attore ed il convenuto, fino alla prima udienza; alle parti già presenti in causa è consentito di svolgere nuove difese in relazione alla posizione assunta dal terzo.

In evidenza

Cass. civ., 19 gennaio 2004, n. 707 : «In materia di procedimento civile avanti al giudice di pace (in forza dell'art. 311 c.p.c. disciplinato, per quanto non espressamente previsto, dalle norme relative al procedimento avanti al Tribunale, in quanto applicabili), ben può tale giudice, ai sensi del combinato disposto degli artt. 311, 281-bis, 270 e 107 c.p.c., ordinare la chiamata in causa del terzo ex art. 107 c.p.c. «in ogni momento» del giudizio di primo grado, senza limiti di tempo, e quindi anche dopo l'esaurimento dell'istruttoria orale, non essendo al riguardo vincolato dalle preclusioni in cui siano eventualmente incorse le parti originarie per effetto dell'art. 320 c.p.c., giacché, attese le finalità pubblicistiche che presiedono alla chiamata del terzo iussu iudicis la deroga al regime delle ordinarie preclusioni nascente dal combinato disposto di cui agli artt. 270 e 184-bis c.p.c. non può non trovare applicazione anche nel procedimento in questione, atteso che l'economia dei giudizi e l'uniformità dei giudicati sono valori che devono prevalere sulle pure apprezzabili esigenze di snellezza e celerità a tale procedimento impresse dalla riforma del 1990, come si desume dalla circostanza che proprio con il mantenere in tale occasione immutata la disciplina dell'istituto in questione il legislatore ha dimostrato di considerare le suindicate finalità pubblicistiche come meritevoli di maggiore tutela».

Ai sensi del quarto comma dell'art. 320 c.p.c. quando sia reso necessario dalle attività svolte dalle parti in prima udienza, il giudice di pace fissa per una sola volta una nuova udienza per ulteriori produzioni e richieste di prova. Valgono le stesse preclusioni per le richieste di prove costituende e la produzione di prove documentali. Perciò, alle parti che non abbiano formulato richieste istruttorie negli atti introduttivi o in prima udienza è definitivamente preclusa tale facoltà.

Per l'assunzione delle prove davanti al giudice di pace, in virtù del rinvio integrativo di cui all'art. 311 c.p.c., si seguono le norme dettate per l'istruzione probatoria nel procedimento innanzi al tribunale.

In evidenza

Cass. civ., 22 maggio 2006, n. 11973: «Nel procedimento dinanzi al giudice di pace, l'art. 320, comma 3, c.p.c., stabilendo la possibilità di fissare un'udienza successiva per ulteriori produzioni e mezzi di prova quando ciò sia reso necessario dalle attività svolte dalle parti in prima udienza, consente al giudice di assumere le prove senza fissazione di una udienza successiva alla prima e di invitare anche le parti all'immediata precisazione delle conclusioni e discussione della causa. Da ciò consegue che, in ragione del regime delle preclusioni (comune a quello del procedimento avanti al tribunale) e in particolare del disposto dell'art. 208 c.p.c., che assoggetta l'assunzione della prova all'impulso della parte, richiedendo l'istanza di almeno una di esse, l'assenza della parte interessata alla prima udienza di trattazione si risolve nella decadenza dalla prova medesima».

Se lo ritiene possibile, il giudice può disporre che si proceda all'istruzione probatoria già in prima udienza e poi decidere nello stesso contesto, dopo aver fatto precisare le conclusioni alle parti e discutere la causa. Ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 321 c.p.c. la sentenza è depositata in cancelleria entro quindici giorni dalla discussione.

Le esigenze di celerità che governano il procedimento ed il disposto dell'art. 311 c.p.c. consentono, in applicazione dell'art. 281-sexies c.p.c., che la pronuncia della sentenza segua al termine della discussione, dando lettura del dispositivo e della coincisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto.

All'opposto, se la causa dovesse essere particolarmente complessa, il giudice potrebbe, in applicazione dell'art. 281-quinquies, comma 1, c.p.c. diradare la conclusione della causa: far precisare le conclusioni a norma dell'art. 189 c.p.c. e disporre lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica a norma dell'art. 190 c.p.c.; quindi, depositare la sentenza in cancelleria entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica.

Altra possibilità è infine quella contemplata dall'ultimo comma dell'art. 281-quinquies, c.p.c. ovvero la trattazione mista, in virtù della quale, su richiesta di parte, il giudice, disposto lo scambio delle sole comparse conclusionali a norma dell'art. 190 c.p.c., fissa l'udienza di discussione orale non oltre trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle comparse medesime. In tal caso la sentenza è depositata entro i trenta giorni successivi all'udienza di discussione.

La decisione della causa che non sia stata preceduta dalla precisazione delle conclusioni definitive, istruttorie e di merito, né dal semplice invito a provvedervi rivolto dal GP alle parti, comporta la nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa (Cass., 23 novembre 2011, n. 28681). Tale nullità deve essere denunciato con appello. Da canto suo il giudice d'appello, dopo essersi pronunciato sulla nullità, deve disporre lo svolgimento delle attività precluse alle parti in primo grado e poi pronunciare nel merito della causa, dato che non siamo in una delle ipotesi previste dall'art. 354 c.p.c. (Cass. civ., 10 marzo 2006, n. 5225).

L'art. 322 c.p.c., infine, disciplina l'attività di conciliazione del Giudice di pace. L'istanza si popone al giudice territorialmente competente, anche verbalmente. Il procedimento è del tutto atipico, perciò, il giudice potrebbe anche svolgere un'attività latamente istruttoria.

Se le parti si conciliano, il processo verbale ha un differente valore a seconda che il giudice di pace sia o meno anche competente per materia. Nel primo caso il processo verbale è titolo esecutivo ai sensi dell'art. 185, ultimo comma, c.p.c.; nel secondo casa ha il valore di una scrittura privata riconosciuta. La conciliazione potrebbe anche essere solo parziale.

Proprio perché si tratta di un procedimento non contenzioso la Cassazione ha specificato che è inammissibile il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di non luogo a provvedere emesso dal giudice di pace all'esito del procedimento (Cass. civ., 25 luglio 2014, n. 17031).

Riferimenti
  • AA.VV., Codice commentato dei processi civili davanti al giudice di pace, a cura di Arieta, Torino, 2010;
  • Acone, Il giudice di pace (dal dibattito culturale alla legge istitutiva), RDPr, 1992, 1096;
  • Auletta, Il giudice di pace, il giudice unico e l'art. 203 c.p.c., GC, 2001, I, 1119;
  • Capponi, Al traguardo il giudice di pace (commento alla l. 21-11-1991, n. 374), in Corr. giur., 1992, 19;
  • Chiarloni, Il giudice di pace, Dig. civ., IX, Torino, 1993, 63 ss.;
  • Consolo, La collocazione nell'istituzione giudiziaria italiana del nuovo giudice di pace: una lettura eterodossa, RTPC, 1992, 1253;
  • Consolo-Luiso-Sassani, Commentario alla riforma del processo civile, Padova, 1996;
  • Di Cola, Commento agli artt. 311-322, in Codice di procedura civile, di N. Picardi, a cura di R. Vaccarella, Milano, 2021, 7a ed., I, 2067 ss.;
  • G. Finocchiaro, L'equità del giudice di pace e degli arbitri, Padova, 2001;
  • Mandrioli - Carratta, Diritto processuale civile, 27a ed., II, Torino 2019;
  • Tedoldi, Giudice di pace, Aggiornamento, in Dig. civ., agg. IV, 2003, 732.
Sommario