Il termine di prescrizione del risarcimento del danno iure hereditatis e iure proprio
18 Agosto 2021
La Suprema Corte interviene, portando chiarezza, su una questione molto interessante per la pratica. Si ripropone la questione dell'interferenza della responsabilità contrattuale (da contatto sociale) con quella extracontrattuale e sull'efficacia protettiva della prima anche verso i terzi, perché vi sono condizioni diverse (relazionalità vs ingiustizia del danno e diversità di natura degli interessi lesi). Una bambina di neanche tre mesi muore a seguito di un intervento chirurgico. I genitori convengono in giudizio l'Azienda Ospedaliera per sentirla condannare al risarcimento del danno sia iure hereditatis della figlia (per perdita della vita), sia iure proprio (danno non patrimoniale da uccisione di stretto congiunto o per la privazione del rapporto parentale).
Sia il Tribunale, sia la Corte di Appello rigettavano la domanda di risarcimento del danno iure proprio per intervenuta prescrizione (quinquennale). Il ricorso per cassazione si articola su due motivi:
Vediamo separatamente le due questioni affrontate dalla Suprema Corte.
Questa è una questione molto importante e la sentenza in esame porta chiarezza, pur ritenendo il motivo di ricorso per cassazione infondato. Non si discute della pretesa risarcitoria instaurata dai genitori per inadempimento del contratto concluso con la struttura sanitaria (in qualità di rappresentanti della figlia minore) per danni fatti valere iure hereditatis, bensì della possibilità di considerare i genitori “terzi protetti dal contratto”, con conseguente applicazione del termine di prescrizione decennale al credito risarcitorio per danni iure proprio, in luogo di quello quinquennale. Richiamando i proprio precedenti, la Cassazione puntualizza che la figura dei c.d. “terzi protetti dal contratto” deve essere limitata, in ambito di responsabilità medica, ai c.d. casi di danni da nascita indesiderata. Al di fuori di queste ipotesi, l'azione per perdita o lesione del rapporto parentale è di natura solo aquiliana. Infatti, trattandosi di responsabilità contrattuale, la relazionalità nella violazione di un rapporto obbligatorio prescinde dall'ingiustizia del danno: la rilevanza dell'interesse leso non è affidata alla natura di interesse meritevole di tutela (ex art. 2043 c.c.), ma alla corrispondenza dell'interesse alla prestazione dedotta in obbligazione. Assumono, quindi, rilievo la relazionalità e la conseguente natura dell'interesse leso: per affermare l'efficacia protettiva del contratto verso terzi, occorre che l'interesse di cui i terzi siano portatori risulti anch'esso strutturalmente connesso a quello dedotto in obbligazione, ovvero, detto diversamente, l'interesse deve essere identico a quello dello stipulante. L'efficacia protettiva si manifesta specialmente nei casi di nascita indesiderata, ove nel rapporto contrattuale tra puerpera e struttura sanitaria si incentra sulla gestazione e/o il parto. La madre assume quasi la qualità di soggetto “esponenziale” degli interessi non solo del nascituro, ma di tutto il nucleo familiare. D'altra parte, un'estensione generalizzata degli effetti contrattuali finirebbe per svuotare di significato il principio di relatività degli effetti del contratto (art. 1372 c.c. che esplicita la nozione di contratto – art. 1321 c.c. – che già contiene questo principio, ove fa riferimento all'accordo per costituire, modificare, estinguere “tra loro”, ossia tra le parti, un rapporto giuridico patrimoniale). Pertanto, si esclude l'estensione generalizzata degli effetti protettivi, anche se non mancano opinioni che cercano di estendere tali effetti nei casi di soggetti particolarmente qualificati per i quali sia configurabile un ragionevole affidamento.
Questo motivo di impugnazione è stato ritenuto fondato. È un aspetto interessante degno di nota perché dimostra l'importanza della collegialità delle decisioni è che il Collegio ha ritenuto di dover disattendere sul punto la proposta formulata dal Consigliere relatore. Essendo la domanda giudiziale prospettata come astrattamente riconducibile al delitto di omicidio colposo (art. 589 c.p.), ai sensi dell'art. 2947, comma 3, c.c. il termine di prescrizione doveva essere ritenuto decennale, in ossequio alla prescrizione del delitto di omicidio colposo nella previsione applicabile ratione temporis dell'art. 157 c.p. (nella versione anteriore alla modifica operata dalla l. n. 251/2005). Accolto questo motivo di ricorso, la decisione viene cassata con rinvio.
(Fonte: Diritto e Giustizia.it) |