Il termine «lungo» per l'impugnazione per nullità del lodo arbitrale decorre dall'ultima sottoscrizione
30 Agosto 2021
Massima
La disposizione dettata dal secondo comma dell'art. 828 c.p.c., secondo cui l'impugnazione non è più proponibile decorso un anno dalla data dell'ultima sottoscrizione, deve essere interpretata in conformità al suo significato letterale, trovando conferma l'interpretazione negli ulteriori criteri dettati dall'art. 12 delle preleggi. Il caso
Rimasta parzialmente soccombente in un giudizio arbitrale, un'associazione temporanea di imprese propone impugnazione per nullità del lodo, ai sensi dell'art. 829 c.p.c.. La controparte, una società, nulla eccepisce in ordine alla tempestività dell'impugnazione, ed anzi propone impugnazione incidentale. La Corte d'appello investita delle impugnazioni rileva d'ufficio, senza previamente sottoporla al contraddittorio delle parti, la tardività dell'impugnazione principale, proposta oltre il termine «lungo» di cui all'art. 828 c.p.c., e cioè dopo il decorso di un anno dalla data dell'ultima sottoscrizione; per conseguenza dichiara inammissibile l'impugnazione principale ed inefficace, ai sensi dell'art. 334 c.p.c., quella incidentale, ovviamente tardiva. L'impugnante principale, subita la dichiarazione di inammissibilità, ricorre per cassazione per due mezzi: l'uno volto a sostenere una lettura antiletterale, sedicente costituzionalmente orientata, del secondo comma del citato art. 828 c.p.c., secondo cui: «L'impugnazione non è più proponibile decorso un anno dalla data dell'ultima sottoscrizione»; l'altro volto a sostenere che la questione della tempestività dell'impugnazione per nullità avrebbe dovuto essere sottoposta al contraddittorio delle parti in applicazione della regola stabilita dall'art. 101, secondo comma, c.p.c. La questione
A fronte di un dato letterale chiaro ed inequivoco, quale quello posto dal secondo comma dell'art. 828 c.p.c., in forza del quale l'impugnazione per nullità si deve proporre entro un anno dalla data dell'ultima sottoscrizione, è possibile pervenire ad un'interpretazione correttiva, la quale faccia decorrere il termine non dalla sottoscrizione del lodo, che è evento tale da poter rimanere ignoto all'impugnante, bensì dalla sua comunicazione, ovvero dal suo deposito? Le soluzioni giuridiche
Nessuno spazio all'interpretazione antiletterale sollecitata dall'a.t.i. ricorrente: le Sezioni Unite spiegano che il dato letterale si accorda alla perfezione con gli altri criteri interpretativi che il giudice è tenuto ad osservare nell'interpretare la norma. Varrà subito osservare che la pronuncia è stata resa nell'ambito di una controversia nella quale trovava applicazione il vecchio art. 828 c.p.c., nel testo antecedente alla complessiva riforma dell'arbitrato introdotta dal d.lgs. 40/2006: e, però, la riforma non ha immutato il testo del secondo comma, il quale, come si è ripetuto, stabilisce che: «L'impugnazione non è più proponibile decorso un anno dalla data dell'ultima sottoscrizione». Dunque il principio affermato dalla pronuncia in commento trova applicazione ― è importante constatare ― non soltanto nelle controversie, ormai ampiamente datate, nelle quali si applica la disciplina ante riforma del 2006, ma anche in quelle successive. La lunga ed approfondita sentenza può essere suddivisa in due parti. Nella prima le Sezioni Unite si soffermano sui limiti dell'interpretazione: se, e in che misura, cioè, un dato normativo inequivoco sul piano letterale costituisca un limite invalicabile all'interprete; nella seconda si interrogano sul quesito se la norma, nella sua formulazione letterale, si accordi con la sistematica dell'arbitrato e, più in generale, delle regole che presiedono alla proposizione delle impugnazioni. Vi è poi una terza parte ― scontata, e della quale non parleremo oltre ― in cui le Sezioni Unite liquidano la questione della violazione del contraddittorio: la tardività dell'impugnazione è rilevabile d'ufficio, e, trattandosi di questione meramente processuale, non richiede di essere previamente sottoposta al contraddittorio delle parti. Quanto al primo aspetto, si prende atto dello scontato superamento dell'idea positivistica dell'interpretazione «unica» dei testi normativi, quale mero accertamento della volontà della legge: è difatti lo stesso art. 12 delle preleggi a richiamare, oltre al criterio dell'interpretazione letterale, quello dell'interpretazione storico-teleologica, analogica secondo la legge ed analogica secondo i principi o sistematica. E pertanto l'interprete non può limitarsi, per così dire, a prendere atto dell'elemento letterale, ma deve sempre verificare che il risultato ermeneutico si armonizzi con l'impiego degli altri criteri di interpretazione. Ciò nondimeno, soggiunge la sentenza, citando la Corte costituzionale, resta il limite che risiede nell'univoco tenore della disposizione impugnata, il quale segna il confine oltre il quale l'interpretazione giudiziale non può andare. Insomma, l'attività interpretativa, svolta in esplicazione dei diversi criteri normativamente previsti, trova un limite nel significante testuale, sicché essa ben può orientarsi verso la massima dilatazione del significato racchiuso nel testo, ma non può collocarsi al di là del testo, pur inteso nella sua più ampia espansione. Quanto al secondo aspetto, viene evidenziato come l'impiego degli altri criteri interpretativi previsti dall'art. 12 delle preleggi confermi l'interpretazione fondata sulla lettera della legge. La pronuncia contiene una disamina sintetica, ma completa, dell'evoluzione dell'istituto arbitrale, e del lodo con cui l'arbitrato si conclude, dal codice del 1865 ad oggi. In breve, il percorso si riassume nel passaggio da un sistema in cui il lodo non aveva efficacia alcuna, fintanto che non fosse depositato presso il giudice e non fosse da questi validato, ad un sistema in cui il lodo possiede piena efficacia nel momento stesso in cui gli arbitri lo licenziano, dunque con l'ultima sottoscrizione, mentre il deposito del lodo ed il rilascio dell'exequatur, ai sensi del vigente art. 825 c.p.c., è richiesto soltanto per porre il lodo in esecuzione nel territorio della Repubblica, ovvero per i fini della trascrizione o annotazione in tutti i casi in cui sarebbe soggetta a trascrizione o annotazione la sentenza avente il medesimo contenuto. La disposizione chiave, in tal senso, con riguardo alla disciplina vigente, è contenuta nell'art. 824-bis c.p.c., il quale stabilisce che, fatta salva appunto la previsione dell'art. 825 c.p.c., «il lodo ha dalla data della sua ultima sottoscrizione gli effetti della sentenza pronunciata dall'autorità giudiziaria». Val quanto dire, in definitiva, che l'ultima sottoscrizione assume nel lodo il medesimo rilievo che nella sentenza ha la pubblicazione: sicché, in parallelo, l'art. 327 c.p.c. fa decorrere il termine «lungo» per l'impugnazione «dalla pubblicazione della sentenza», l'art. 828, secondo comma, c.p.c., fa decorrere il termine «lungo» per l'impugnazione «dalla data dell'ultima sottoscrizione». Inoltre, l'ultima sottoscrizione segna il momento di perfezionamento del lodo nel caso un arbitro non possa o non voglia sottoscriverlo; sancisce la immodificabilità del lodo; determina l'imputazione per competenza delle somme da esso portate; comporta l'impugnabilità del lodo, per la quale, ai sensi dell'art. 827, secondo comma, c.p.c., non occorre che esso sia depositato. Ecco perché non merita consenso, per le Sezioni Unite, la pretesa di alterare la lettera dell'art. 828 c.p.c., in quanto essa coerentemente esprime la logica e la struttura dell'intero sistema positivo dell'arbitrato. Ciò non esclude che lodo e sentenza si differenzino tuttora: e la differenza è agevole a comprendersi, una volta che si consideri un dato evidente, e cioè che il giudice ripete il proprio potere dall'autorità della legge, mentre l'arbitro ripete il proprio potere dall'investitura ricevuta dalle parti, ossia dalla convenzione di arbitrato. Il che spiega l'esigenza che il lodo, ai fini dell'esecuzione, venga dotato dell'exequatur, giacché nell'esecuzione si esplica il monopolio della forza pubblica, che compete in esclusiva allo Stato. Dopo di che la sentenza in esame non manca di esaminare esaustivamente l'essenziale argomento svolto nel ricorso per cassazione, ove si sosteneva che, a differenza del momento della pubblicazione, quello delle sottoscrizioni non è conoscibile, posto che gli artt. 823 e 824 c.p.c. non prevedono, appunto, l'adempimento della «pubblicazione», essendo contemplati solo la «deliberazione-redazione» non pubblica e, successivamente, la «comunicazione»: sicché non risulterebbe perciò legittimo il computo, nel termine per l'impugnazione, dell'intervallo temporale tra l'ultima sottoscrizione e la comunicazione, in cui il testo del lodo è ignoto alle parti. Le Sezioni Unite, in proposito, danno conto delle pronunce rese dal giudice delle leggi, perlopiù in materia fallimentare, di dichiarazione dell'illegittimità costituzionale di talune disposizioni che, in tema di decorrenza di termini processuali d'impugnazione, fissavano la stessa - in luogo che dalla comunicazione agli interessati - da altri eventi: valga per tutti rammentare il caso dell'impugnazione contro la sentenza dichiarativa di fallimento, che decorreva dall'affissione della sentenza. Ma la decisione in commento ha facile gioco ad osservare che quelle pronunce della Corte costituzionale avevano ad oggetto termini particolarmente brevi, tali da comportare l'effettivo pericolo che il termine per l'impugnazione potesse decorrere senza che l'interessato ne avesse avuto, senza colpa, conoscenza alcuna. Viceversa, il termine «lungo» applicabile in materia di arbitrato esclude che un simile rischio possa concretizzarsi, tanto più che tale termine è tuttora di un anno (oltre la sospensione feriale), a differenza del termine «lungo» per l'impugnazione delle sentenze, che è dal 2009 semestrale. In altre parole, se potesse essere sospettato di incostituzionalità il termine «lungo» per l'impugnazione del lodo arbitrale, dovrebbe essere giudicato incostituzionale anche ed a maggior ragione il termine «lungo» per l'impugnazione delle sentenze: ma è cosa nota che la Corte costituzionale (Corte cost., 25 luglio 2008, n. 297) ha disatteso la questione di legittimità costituzionale dell'art. 327 c.p.c., laddove fa decorrere il termine per l'impugnazione non dalla successiva comunicazione, ma dalla pubblicazione della sentenza. Ed a chiusura del discorso, viene osservato che, in ipotesi, per quanto difficilmente prospettabile, di non imputabilità del decorso del termine «lungo» per l'impugnazione del lodo arbitrale, ad esempio a cagione della omessa comunicazione dell'emissione del lodo, rimane il rimedio della rimessione in termini, che, secondo una giurisprudenza della S.C. ampiamente consolidata, si applica anche ai termini per impugnare. Osservazioni
Brevi considerazioni, integralmente adesive, dinanzi ad una pronuncia chiara e completa, che non sembra lasciare aspetti inesplorati. La chiave di volta del ragionamento delle Sezioni Unite sta nel progressivo avvicinamento tra il lodo e la sentenza, avvicinamento che ha richiesto non solo interventi legislativi successivi, ma anche uno sviluppo evolutivo della giurisprudenza della Corte di cassazione, culminato nella pronuncia di Cass. civ., sez. un., 25 ottobre 2013, n. 24153, la quale, ribaltando un precedente orientamento, ha sancito la natura giurisdizionale dell'arbitrato, in quel che è stato descritto come il c.d. superamento del principio di statualità della giurisdizione. Approdo, quello menzionato, senz'altro meritevole di condivisione, giacché il riconoscere alle parti la facoltà di rivolgersi agli arbitri, in luogo che al giudice ordinario, sempre che si verta in materia di diritti disponibili, è in fin dei conti un fatto di democrazia. |