È sufficiente la comunicazione da parte dell'Inps affinché il termine di decadenza biennale per il recupero dell'indebito pensionistico sia rispettato

Francesco Meiffret
30 Agosto 2021

L'art. 13 comma 2 della l. n. 412/1991 il quale stabilisce che l'lnps deve verificare annualmente le situazioni reddituali dei pensionati incidenti sulla misura o sul diritto alle prestazioni pensionistiche e procedere entro l'anno successivo al suo recupero, non comporta che entro tale termine l'intero importo eventualmente indebitamente percepito debba essere restituito all‘Inps...
Massima

L'art. 13 comma 2 l. n. 412/1991, il quale stabilisce che l'lnps deve verificare annualmente le situazioni reddituali dei pensionati incidenti sulla misura o sul diritto alle prestazioni pensionistiche e procedere entro l'anno successivo al suo recupero, non comporta che entro tale termine l'intero importo eventualmente indebitamente percepito debba essere restituito all‘Inps.

È sufficiente, infatti, che entro tale termine l'istituto avvii il procedimento amministrativo di recupero portandolo a conoscenza del pensionato.

Il caso

L'Inps aveva presentato ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte d'Appello di Torino che aveva accolto le tesi della pensionata secondo la quale in tema di ripetizione d'indebito pensionistico il termine di decadenza biennale, di cui all'art. 13 comma 2 l. n. 412/1991, deve essere interpretato nel senso che l'Inps, entro lo scadere del suddetto termine, deve non solo aver accertato amministrativamente l'indebito, ma anche essersi attivata giudizialmente per il recupero delle somme indebitamente versate.

Secondo l'Inps, affinché il termine decadenziale stabilito dall'art. 13 comma 2 l. n. 412/1991 possa dirsi rispettato, è sufficiente che sia avviata la fase amministrativa portando a conoscenza del pensionato l'indebito percepito e la successiva attività di recupero.

La questione

Affinché il termine biennale di recupero dell'indebito pensionistico di cui all'art. 13 comma 2 l. n. 412/1991 possa ritenersi rispettato è sufficiente il mero accertamento da parte dell'Inps o è necessario che venga anche iniziata l'azione di recupero delle somme erroneamente corrisposte a titolo di pensione?

La soluzione

La Suprema Corte accoglie il ricorso dell'Inps. Ritiene, infatti, corretta l'interpretazione dell'ente pensionistico in base al quale il termine “recupero” presente nell'art. 13 comma 2 l. n. 412/1991 deve essere interpretato nel senso che è sufficiente l'azione di accertamento. Più precisamente l'Inps deve comunicare al pensionato che in base alle verifiche reddituali effettuate dovrà essere restituito l'importo ritenuto indebito.

Non è necessario, invece, che l'Ente si attivi per il recupero entro il suddetto termine decadenziale.

E neppure, come invece sostenuto dalla Corte d''Appello, è necessario che entro suddetto termine debba concludersi il recupero della somma. Tale interpretazione, sempre secondo la Suprema Corte, sarebbe controproducente per i pensionati poiché l'Inps sarebbe impossibilitata dal concedere una rateizzazione delle somme indebitamente versate.

Osservazioni

Occorre effettuare una breve disamina sulla particolare disciplina dell'indebito pensionistico.

Il comma 2 dell'art. 52 della l. n. 88 del 1989 stabilisce “nel caso in cui, in conseguenza del provvedimento modificato, siano state riscosse rate di pensione risultanti non dovute, non si fa luogo a ripetizione delle somme corrisposte, salvo che l'indebita percezione sia dovuta a dolo dell'interessato”.

Sulla suddetta norma è andato a sovrapporsi quanto stabilito dal più volte menzionato art. 13 comma 2 della l. n. 412/1991 secondo il quale l'Inps “deve procedere annualmente alla verifica delle situazioni reddituali dei pensionati incidenti sulla misura o sul diritto alle prestazioni pensionistiche” e provvedere [..] “entro l'anno successivo al recupero di quanto eventualmente pagato in eccedenza”.

Tuttavia tale possibilità di recupero è limitato alla sussistenza delle condizioni previste dal co. 1° dello stesso art. 13 e dal co. 2 dell'art. 52 cit. e, cioè, che la corresponsione di somme indebite sia avvenuta in base a formale provvedimento dell'ente, che tale provvedimento sia viziato da qualsiasi errore imputabile all'ente e che I'indebita percezione sia dipesa dal dolo del pensionato. Senza la presenza contestuale di queste condizioni non è possibile per l'Inps richiedere la ripetizione di quanto versato (si veda ad Cass., sez. lav., 22 ottobre 2020, n. 23031).

Sul concetto di dolo del pensionato l'art. 13 comma 1 ha fornito un'interpretazione autentica ed espansiva del suddetto istituto. Questo viene considerato sussistente anche nel caso di “omessa od incompleta segnalazione da parte del pensionato di fatti incidenti sul diritto o sulla misura della pensione goduta, che non siano già conosciuti dall'ente competente, consente la ripetibilità delle somme indebitamente percepite”.

E' opportuno precisare che la Corte Costituzionale, pronunciatasi con la sentenza n. 39 del 10 febbraio 1993, da una parte ha dichiarato incostituzionale l'applicazione dell'art. 13 a rapporti pensionistici già in essere al momento dell'entrata in vigore della norma, dall'altra ha ritenuto legittimo l'allargamento del concetto di dolo anche a condotte volutamente omissive da parte del pensionato.

In ultimo pare opportuno analizzare il requisito di errore imputabile all'ente pensionistico. Anche in relazione a tale presupposto la Suprema Corte è intervenuta con un'interpretazione volta a restringere il campo di applicazione dell'irripetibilità dell'indebito pensionistico. Secondo l'orientamento prevalente della Suprema Corte l'errore non è imputabile all'ente qualora derivi da informazioni errate non fornite dal pensionato, ma da soggetti terzi quali ad esempio dal datore di lavoro (cfr Cass., sez. lav., 30 agosto 2016, n. 17417, Cass., sez. lav., ord. 9 luglio 2020, n. 14517).

L'imputabilità viene declinata nel fatto che l'Inps abbia a disposizione dati veritieri e completi sulla situazione reddituale del pensionato e nonostante ciò commetta degli errori nella determinazione della pensione. Se l'errore deriva dalla non disponibilità di dati completi o da dati erronei forniti da terzi -datore di lavoro- l'errore non è attribuibile all'ente pensionistico. Secondo suddetto orientamento, volto a restringere il campo di applicazione dell'irripetibilità. l'Inps non sarebbe responsabile nemmeno a fronte di dati palesemente errati.

Occorre in ultimo soffermarsi sull'onere probatorio.

Le Sezioni Unite hanno precisato che, trattandosi la tematica dell'indebito previdenziale un accertamento negativo, spetti al pensionato dimostrare la legittimità di quanto percepito o quantomeno l'assenza dell'obbligo di restituire per i motivi sin qui esposti (cfr. Cass., sez. un., 4 agosto 2010, n. 18046).

Tuttavia tale onere ricade sul pensionato solo nel momento in cui l'ente pensionistico abbia specificato nella richiesta amministrativa di restituzione in maniera sufficientemente chiara e precisa le motivazioni per le quali si è provveduto al ricalcolo pensionistico o a ritenere senza titolo le prestazioni sin qui erogate (Cass., sez. lav., 5 gennaio 2011, n. 198, nel merito cfr. ex plurimis Tribunale Catania, sez. lav., 5 giugno 2020, n. 1698).

Solo in presenza di un provvedimento amministrativo motivato può ritenersi rispettato il principio di buon andamento della pubblica amministrazione e del contraddittorio. Secondo suddetto orientamento una richiesta generica di restituzione da parte dell'ente pensionistico deve essere rigettata a prescindere. Ne deriva che ancor prima dell'onere probatorio a carico dell'accipiens, l'Inps deve motivare in maniera precisa la propria richiesta di restituzione di quanto versato a titolo di pensione.

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