Credito R&S: quali le conseguenze sanzionatorie in caso di inesistenza del credito?

31 Agosto 2021

Sono sempre più numerosi gli Atti di Recupero notificati dall'Amministrazione finanziaria con i quali la stessa procede al disconoscimento del credito di cui il contribuente ha fruito in compensazione asserendo la carenza del requisito della “novità” del progetto di R&S irrogando, altresì, la sanzione per “credito inesistente” nella misura del 100%.

Credito R&S: quali le conseguenze sanzionatorie in caso di inesistenza del credito?

Sono sempre più numerosi gli Atti di Recupero notificati dall'Amministrazione finanziaria con i quali la stessa procede al disconoscimento del credito di cui il contribuente ha fruito in compensazione asserendo la carenza del requisito della “novità” del progetto di R&S irrogando, altresì, la sanzione per “credito inesistente” nella misura del 100%.

Occorre esaminare se vi siano argomentazioni valide da opporre a tale risposta sanzionatoria.

Ai sensi del comma 5 dell'art. 13 d.lgs. n. 471/1997 “si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e all'art. 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633”.

L'Amministrazione finanziaria con Risoluzione n. 36/E dell'8 maggio 2018 (pag. 4) ha precisato che “Dal quadro normativo delineato emerge chiaramente la volontà legislativa di dettare, prima nel decreto legge n. 185/2008 e ora nel decreto legislativo n. 471/1997, una disciplina speciale per sanzionare e recuperare il credito che, artatamente creato, è stato utilizzato in compensazione nei modelli F24”.

In altre parole ed in linea alle stesse indicazioni fornite dall'Agenzia delle Entrate nei propri documenti di prassi, la sanzione prevista per l'indebita compensazione di crediti inesistenti è diretta a contrastare quei comportamenti connotati da aspetti fraudolenti, in cui l'artificiosa rappresentazione contabile dei crediti in sede di autoliquidazione del debito sia funzionale ad ostacolare o, comunque, rendere infruttuosa l'azione di controllo ai danni dell'Erario.

Pertanto, un credito può considerarsi “inesistente” al ricorrere di due circostanze:

  1. quando manca il presupposto costitutivo (requisito “soggettivo”);
  2. quando il credito non possa essere facilmente “intercettato” mediante controlli automatici (requisito “dichiarativo”).

Ciò posto, con riferimento ad entrambi i requisiti di cui innanzi (quello “soggettivo” e quello “dichiarativo”), è intervenuto a fornire chiarimenti lo stesso Assonime con Circolare n. 23 del 14 novembre 2019.

Vediamoli in dettaglio.

Requisito soggettivo: sussistenza del presupposto costitutivo

Assonime, in linea con i chiarimenti di prassi resi dalla stessa Amministrazione finanziaria, secondo cui la condotta illecita alla base del credito “inesistente” deve realizzarsi mediante artifici o raggiri che non consentano, ictu oculi, di rilevare l'inesistenza del credito sulla base delle dichiarazioni presentate o procedendo al raffronto con i relativi modelli di versamento, ha affermato che “già queste considerazioni dovrebbero far riflettere sull'opportunità di applicare, tout court, il regime sanzionatorio previsto in caso di crediti inesistenti a fattispecie nelle quali non si riscontra quella condotta fraudolenta che questa sanzione intende colpire”.

Prosegue Assonime nell'osservare come vi sono situazioni in cui la mancanza di tale artificiosa rappresentazione contabile del credito non consente di irrogare la sanzione per credito “inesistente” (la quale stigmatizza proprio le condotte artatamente create).

In specie, ci si riferisce alla condotta delle imprese che hanno commesso errori nell'individuazione delle c.d. attività agevolate, la quale, afferma Assonime, “non può tout court considerarsi fraudolenta (rectius: insidiosa) nei casi in cui tali soggetti abbiano adempiuto ai vari oneri documentali previsti in materia e abbiano svolto in concreto attività che, in ogni caso, si innestano in più ampi processi di innovazione (di prodotto e servizio)” (pagg. 13 e 14 della Circolare).

Secondo Assonime, dovendo la sanzione per credito “inesistente” trovare applicazione nelle sole ipotesi in cui l'impresa abbia fruito dell'agevolazione a fronte di attività che palesemente risultano prive dei requisiti necessari per essere considerate agevolate (cfr. pagg. 14 e 15), ne consegue che nel caso di fattispecie le quali involgono aspetti valutativi particolarmente complessi concernenti la tipologia di attività concretamente svolta (ad esempio nel caso in cui venga contestato dall'Ufficio il carattere “innovativo” del progetto), non può certo ricorrere l'ipotesi del credito “inesistente”.

In definitiva, la sanzione per credito “inesistente” deve essere irrogata nelle sole ipotesi, ben delimitate, nelle quali l'impresa abbia svolto un'attività che nemmeno in astratto possa qualificarsi quale attività di ricerca e sviluppo, oppure nelle quali l'impresa abbia effettuato meri investimenti in beni materiali ed immateriali (pag. 15 Circolare Assonime), il che richiede ed esige un'attenta valutazione da parte dell'Amministrazione finanziaria, al fine di scongiurare l'applicazione indiscriminata della sanzione de qua anche nei casi in cui si riscontri l'insussistenza di un'effettiva condotta fraudolenta.

Requisito oggettivo: impossibilità di “intercettare” il credito mediante controlli automatizzati.

Il riferimento, operato dal comma 5 dell'art. 13 d.lgs. n. 471/1997, al riscontro dell'esistenza del credito da utilizzare in compensazione mediante procedure automatizzate rappresenta, peraltro, una condizione ulteriore rispetto a quella dell'esistenza sostanziale del credito ed è volta a evitare che venga irrogata la predetta sanzione quando il credito, fruito in compensazione indebitamente, possa comunque essere “intercettato” mediante controlli automatizzati circostanza, questa, che priva la condotta del contribuente di quella lesività idonea a giustificare la più grave misura sanzionatoria (cfr. pag. 4 della Risoluzione n. 36/E dell'8 maggio 2018).

Dal quadro normativo emerge chiara la volontà legislativa di evitare che il contribuente possa essere sanzionato ai sensi del comma 5 dell'art. 13 del d.lgs. n. 471/1997 nel caso in cui sussistano i requisiti sostanziali previsti dalla norma istitutiva del credito, ma non siano stati posti in essere esclusivamente gli adempimenti di natura formale (in tal senso Agenzia delle Entrate, Circolare n. 5/E del 16 marzo 2016, pag. 4).

In proposito la stessa Amministrazione finanziaria ha avuto modo di evidenziare che l'omessa indicazione del credito in esame nel quadro RU del modello di dichiarazione “costituisce una violazione di natura meramente formale alla quale si rende applicabile la sanzione prevista per le violazioni relative al contenuto e alla documentazione delle dichiarazioni di cui all'articolo 8, comma 1, del decreto legislativo 19 dicembre 1997, n. 471 (da euro 250 euro a 2.000 euro), con possibilità di avvalersi, ai fini sanzionatori, del ravvedimento operoso di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472” (Circolare n. 13/E del 27 aprile 2017, pag. 76, a cui fa riferimento la Circolare Assonime n. 23 del 2019 alla pag. 13).

Pertanto, è la stessa Amministrazione finanziaria che ritiene che vi siano violazioni le quali non possono essere colpite dalla sanzione per credito “inesistente” in quanto denotano una condotta priva di quell'insidiosità che la sanzione per credito inesistente intende colpire.

Siffatta conclusione viene ribadita dallo stesso Assonime (pagg. 13 e 14 della Circolare n. 23 del 2019), il quale afferma che “la condotta delle imprese che hanno commesso errori nell'individuazione delle c.d. attività agevolate, non possa tout court considerarsi fraudolenta (rectius: insidiosa) nei casi in cui tali soggetti abbiano adempiuto ai vari oneri documentali previsti in materia ed abbiano svolto in concreto attività che, in ogni caso, si innestano in più ampi processi di innovazione (di prodotto e servizio).

Intendiamo riferirci ai soggetti che sono in possesso della certificazione della documentazione contabile attestante ʺl'effettivo sostenimento delle spese ammissibili e la corrispondenza delle stesse alla documentazione contabile predisposta dall'impresa, della ʺrelazione tecnica che illustri le finalità, i contenuti e i risultati delle attività di ricerca e sviluppo svolteˮ e che abbiano adempiuto agli oneri documentali previsti dal D.M. 27 maggio 2015.

In questi casi il credito d'imposta utilizzato in compensazione non solo è stato indicato nel modello di dichiarazione e nel modello di versamento, ma trova altresì riscontro in evidenze contabili oggetto di apposita certificazione rilasciata da soggetti terzi, nonché nella documentazione prevista in materia”.

Sulla base dei chiarimenti di prassi, la sanzione prevista per l'indebita compensazione di crediti “inesistenti” deve riguardare, quindi, le sole ipotesi in cui il credito di imposta venga “artatamente” creato ed utilizzato in compensazione.

È indubbio infatti che, laddove il credito d'imposta, compensato tramite Modelli F24, sia stato correttamente inserito nelle dichiarazioni dei redditi presentate e l'attività di ricerca e sviluppo sia stata comprovata dalla relazione illustrativa dei progetti, vale a dire da documentazione attestante l'effettività dei costi sostenuti, non possa essere addebitato al contribuente alcun comportamento fraudolento, avendo lo stesso adempiuto tutti gli oneri documentali richiesti dalla legge ai fini della dimostrazione del presupposto costitutivo dell'agevolazione in esame.

Il punto dirimente attiene, pertanto, alla corretta comprensione delle cause che hanno condotto alla mancanza dei presupposti costitutivi della fattispecie agevolata: laddove tali presupposti manchino per effetto di una costruzione artificiosa del contribuente, il credito andrebbe ritenuto “inesistente”; non può, invece, addivenirsi alla medesima soluzione nel caso in cui i presupposti costitutivi manchino per effetto di una diversa interpretazione della norma, sorretta da buona fede (in tal senso, interessante è la sentenza della Commissione Tributaria Regionale Emilia – Romagna, sez. VII, sent. n. 2342 del 28 novembre 2019).

Stante quanto innanzi ed in linea con i chiarimenti resi dall'Amministrazione finanziaria e dallo stesso Assonime, si può affermare che i presupposti, “soggettivo” e “dichiarativo” richiesti dal dato normativo (art. 13, comma 5, d.lgs. n. 471/1997) e dai documenti di prassi ai fini della irrogazione della sanzione per credito “inesistente”, non sussistano quando l'Amministrazione nè contesti l'esecuzione dell'attività di ricerca, né il presupposto costitutivo dell'agevolazione (quindi, non si è in presenza di una condotta connotata da aspetti fraudolenti), essendo l'elemento del contendere rappresentato al profilo della “novità” della stessa, sicchè se ne deve concludere che in tal caso non si è di fronte ad un'ipotesi di credito “inesistente” ai sensi del comma 5 dell'art. 13 del d.lgs. n. 471/1997, ma di credito “non spettante” ai sensi del comma 4 dell'art. 13 del d.lgs. n. 471/1997.

Oltretutto, si potrebbe altresì invocare la disapplicazione in toto delle sanzioni per obiettiva condizione di incertezza normativa.

Avuta considerazione del fatto che le contestazioni dell'Amministrazione vertono sul profilo della “novità” del progetto facendo leva sul Manuale di Frascati, occorre evidenziare che è solo con la Circolare Ministeriale n. 59990 del 9 febbraio 2018 che il MiSE menziona esplicitamente il Manuale di Frascati (edizione 2015), come fonte interpretativa per la determinazione dell'ambito delle attività agevolabili.

Il mutamento di rotta segnato dalla Circolare MiSE risiede nel decisivo rilievo attribuito al requisito della “novità”, intesa in senso assoluto rispetto allo stato generale della tecnica ed all'insieme di conoscenze esistenti, ossia con riferimento alle “nuove conoscenze che non siano già in uso nel settore”.

Si innesta nel medesimo solco interpretativo la Risoluzione dell'Agenzia delle Entrate n. 46/E del 22 giugno 2018 con cui, nello specifico, l'Agenzia delle Entrate disconosce alle attività descritte dall'istante la qualificazione di attività agevolabili, in considerazione dell'utilizzo, da parte dell'impresa, di tecnologie e immobilizzazioni tecniche, pur di avanguardia, ma già ampiamente diffuse nel settore di riferimento. A tale disconoscimento l'Agenzia è giunta proprio facendo menzione al Manuale di Frascati, assunto quale canone interpretativo.

In un più recente documento di prassi (Risoluzione n. 40/E del 2 aprile 2019), l'Agenzia delle Entrate ricorda che “le attività qualificabili come ricerca e sviluppo sono quelle relative ai progetti intrapresi […] per il superamento di una o più incertezze scientifiche o tecnologiche - la cui soluzione non sarebbe possibile sulla base dello stato dell'arte del settore di riferimento e cioè applicando le tecniche o le conoscenze già note e disponibili in un determinato comparto scientifico o tecnologico - con la finalità di pervenire alla realizzazione di nuovi prodotti (beni o servizi) o processi o al miglioramento sostanziale di prodotti o processi già esistenti. Si tratta, quindi, di attività (lavori) che necessariamente si caratterizzano per la presenza di elementi di novità e creatività e per il grado di incertezza o rischio d'insuccesso scientifico o tecnologico che implicano”.

Tale lettura del sistema non avrebbe potuto affatto ritenersi scontata sulla base della norma originaria del 2013, di quanto precisato nel DM 27 maggio 2015 e delle prime indicazioni rese dall'Agenzia delle Entrate nel 2016 (Circolare n. 5/E del 16 marzo 2016).

Tutto ciò impone di salvaguardare i comportamenti tenuti prima della compiuta definizione dello scenario interpretativo descritto, riconoscendo la piena buona fede a quei contribuenti (come la Cavallari) che hanno fatto riferimento al concetto di “novità” sulla base delle fonti disponibili nel momento in cui hanno svolto le attività di R&S. Per questo motivo, per i periodi di imposta 2015-2017, è doveroso, da parte dell'Amministrazione finanziaria applicare, ai fini sanzionatori, l'esimente delle obiettive condizioni di incertezza interpretativa (cfr. artt. 10, comma 3, della Legge 27 luglio 2000, n. 212 – c.d. Statuto del contribuente e 6, comma 2, del d.lgs. n. 472/1997).

Lo Statuto dei diritti del contribuente, laddove sancisce che “i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede”, detta un vincolo comportamentale a cui discende che “non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell'amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate dall'amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell'amministrazione stessa”.

Inoltre, le sanzioni, come dispone il comma 3 dell'art. 10, cit., “non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione della norma tributaria o quando si traduce in una mera violazione formale senza alcun debito di imposta; in ogni caso non determina obiettiva condizione di incertezza la pendenza di un giudizio in ordine alla legittimità della norma tributaria” (in senso conforme, art. 6, comma 3, d.lgs. n. 472/1997).

Appare incontestabile, infatti, che prima del 2018, momento in cui l'Amministrazione finanziaria ha iniziato a dare indicazioni con le Risoluzioni n. 46/E del 22 giugno 2018 e n. 40/E del 2 aprile 2019 circa la portata applicativa della disciplina, il contribuente abbia dovuto fronteggiare oggettive difficoltà in termini di individuazione delle disposizioni normative di riferimento e del loro significato, tanto più in presenza di previsioni di carattere tecnico non agevolmente comprensibili.

Sul punto si riporta quanto rilevato da Assonime con Circolare n. 23 del 14 novembre 2019 (nota n. 11 pag. 10): “in particolare la disapplicazione delle sanzioni potrebbe essere invocata valorizzando la circostanza che solo nel 2018 l'Amministrazione finanziaria ha cominciato a dare indicazioni circa la portata applicativa di tale documento. Insomma, quel che preme rilevare è che anche le imprese che ab origine hanno effettuato le proprie valutazioni sulla base del Manuale di Frascati, si sono comunque trovate in una situazione di incertezza quanto meno nei periodi di imposta 2015-2017 in quanto non conoscevano la posizione dell'Amministrazione finanziaria su questo aspetto (rectius: sulla concreta portata applicativa di questa “fonte”)”.

Rebus sic stantibus il contribuente può sia chiedere la disapplicazione della sanzione per “credito inesistente” invocando l'obiettiva condizione di incertezza normativa (per i progetti di R&S posti in essere ante 2018) sia, in via subordinata, chiedere la derubricazione della sanzione da sanzione per “credito inesistente” a sanzione per “credito non spettante” (nella misura del 30%) ai sensi del comma 4 dell'art. 13 d.lgs. n. 471/97.

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