La rilevanza della condotta tenuta in un precedente rapporto di lavoro ai fini del recesso datoriale per giusta causa
06 Settembre 2021
Massima
La condotta del prestatore di lavoro, consistita in un grave inadempimento contrattuale posto in essere nell'ambito di un precedente ed omogeneo rapporto di lavoro, può legittimare il datore presso cui è attualmente in forza il lavoratore a recedere per giusta causa, ove tale condotta sia idonea ad incidere irrimediabilmente sul vincolo fiduciario. Il caso
Con la pronuncia in esame il Giudice del Lavoro di Pistoia, aderendo ad un costante orientamento giurisprudenziale di legittimità, ha respinto l'impugnativa di licenziamento proposta giudizialmente da un dipendente bancario. Il Tribunale, infatti, ha ritenuto insussistenti ed infondati tutti i profili di illegittimità del recesso datoriale addotti dal ricorrente, tra i quali la tardività della contestazione disciplinare, l'insussistenza del fatto e la mancanza di proporzionalità nell'applicazione della sanzione espulsiva.
La vicenda si colloca nell'ambito di un rapporto di lavoro bancario. Il licenziamento impugnato è stato comminato dal datore di lavoro per giusta causa, in relazione a fatti avvenuti precedentemente all'instaurazione del rapporto di lavoro in questione.
Trattasi, segnatamente, di grave inadempimento contrattuale di cui il ricorrente si è reso responsabile alle dipendenze di altro istituto bancario, ponendo in essere condotte a rilevanza penale. Tant'è che i fatti posti a fondamento del licenziamento vengono ricostruiti dal Giudice del Lavoro mediante gli atti dell'istruttoria dibattimentale del parallelo procedimento penale, che, all'esito del primo grado di giudizio, ha ritenuto provati gli addebiti contestati (dall'apertura di conti correnti con affidamenti e scoperti di conto a soggetti non solvibili ed in assenza di idonee garanzie al rilascio di un elevato numero di assegni senza copertura e post-datati con conto corrente a saldo negativo, oltre al concorso in usura).
Il Tribunale di Pistoia supera in primo luogo la censura di tardività della contestazione disciplinare, individuando, quale dies a quo per la valutazione di tempestività, la ricezione da parte della Banca della documentazione relativa al processo penale trasmessa dallo stesso dipendente. Infatti, solo in tale momento il datore di lavoro ha avuto piena contezza dei fatti ed, effettuate le opportune valutazioni, ha provveduto celermente alla contestazione e successiva irrogazione del licenziamento.
Il Giudice del Lavoro passa quindi alla disamina dell'eccezione di insussistenza del fatto contestato, che fonda la richiesta della tutela reintegratoria attenuata di cui all'art. 18, IV comma, L. 300/70.
Tale disamina viene eseguita in coerente applicazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in relazione all'art. 116 c.p.c., con particolare riferimento alla problematica concernente l'utilizzabilità degli atti raccolti nel procedimento penale, pacificamente consentita a condizione che il procedimento di formazione del libero convincimento del giudice sia esplicitato nella motivazione della sentenza, attraverso l'indicazione degli elementi di prova e delle circostanze sui quali esso si fonda (ex plurimis, Cass., III sez., n. 10055/2010).
All´esito della suddetta indagine il Tribunale giunge alla conclusione, da un lato della sussistenza materiale degli episodi contestati al lavoratore, e, dall´altro, alla loro rilevanza giuridica e disciplinare. Ed infatti, sotto quest´ultimo profilo, il Tribunale di Pistoia li qualifica come violazione dei più “elementari” doveri di diligenza bancaria, a nulla rilevando che gli stessi siano stati posti in essere presso altro istituto bancario, in considerazione della natura sostanzialmente “omogenea” dei due rapporti di lavoro.
Infine, il Giudice di prime cure ritiene la proporzionalità della sanzione espulsiva irrogata proprio sulla scorta della violazione del contenuto minimo dello specifico dovere di diligenza professionale, che denota l'eccezionale gravità della condotta.
In conclusione, il Giudice del Lavoro pistoiese rigetta integralmente le domande del ricorrente (tutela di cui all'art. 18, IV comma, S.L. in via principale, tutela di cui all'art. 18, V comma, S.L. in via subordinata), ritenendo perfettamente legittimo il recesso datoriale per giusta causa. La questione
La pronuncia in esame, pur senza innovare rispetto alla più consolidata giurisprudenza di legittimità, offre l'occasione per riflettere sull'estensione della nozione di giusta causa di recesso.
È noto infatti che il legislatore del Codice Civile, ben consapevole della vasta gamma di ipotesi potenzialmente configurabili, anche in ragione dell'evoluzione storica delle dinamiche lavorative, ha evitato di “ingessare” la nozione di giusta causa, preferendo la definizione aperta di “causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto” (art. 2119 c.c.).
Le ipotesi di giusta causa di recesso datoriale, pertanto, sono state enucleate di volta in volta dalla giurisprudenza di merito, che, in considerazione dell'interruzione subitanea del rapporto di lavoro, ha valorizzato condotte caratterizzate da una gravità quantitativamente maggiore rispetto a quelle poste a fondamento di un licenziamento per giustificato motivo soggettivo.
Inoltre, considerato il fine ultimo del licenziamento per giusta causa, ovverosia consentire l'estinzione immediata del rapporto laddove l'affidamento del datore di lavoro sia irrimediabilmente compromesso (pur con le garanzie procedurali di cui all'art. 7, L. 300/70), la nozione di giusta causa si differenzia da quella di giustificato motivo soggettivo anche dal punto di vista qualitativo, arrivando a comprendere non solo inadempimenti contrattuali particolarmente gravi, ma anche atti o fatti attinenti la sfera privata del prestatore di lavoro idonei a minare il rapporto di fiducia tra le parti.
In tal senso i giudici di legittimità evidenziano che “anche una condotta illecita estranea all'esercizio delle mansioni del lavoratore subordinato può avere rilievo disciplinare poiché egli è assoggettato non solo all'obbligo di rendere la prestazione bensì anche gli obblighi accessori di comportamento extralavorativo tale da non ledere né gli interessi morali o patrimoniali del datore né la fiducia che, in diversa misura e in diversi modi, lega le parti di un rapporto di durata” (Cass., sez. lav., n. 3136/2015).
Peraltro, la costruzione della giusta causa come clausola generale preclude qualsivoglia valutazione in astratto; la gravità della specifica condotta e la sua idoneità a fondare un licenziamento devono essere determinate in concreto, avendo riguardo al complesso delle circostanze fattuali verificatesi (e.g. natura del rapporto e mansioni espletate) e alle condizioni soggettive del datore di lavoro.
L'operazione valutativa dell'interprete (rectius, del giudice) risulta da ultimo agevolata dalle previsioni di taluni contratti collettivi nazionali o individuali certificati nelle sedi competenti, in cui le parti hanno provveduto a tipizzare, seppur in modo non vincolante (cfr. art. 30, III comma, L. 183/2010, che prescrive un generico “tiene conto”), alcune ipotesi integranti giusta causa di recesso datoriale. Trattasi di un ulteriore ed utile elemento orientativo per il giudice, che, tuttavia, nel valutare la legittimità del recesso datoriale non potrà farsi guidare da alcun automatismo (come ricordato recentemente da Cass., sez. lav., n. 7567/2020 e n. 13411/2020).
Ai fini della presente contributo, occorre indagare la posizione assunta dalla giurisprudenza in relazione all'idoneità a fondare un recesso datoriale per giusta causa di condotte poste in essere dal dipendente nell'ambito di un diverso e precedente rapporto di lavoro. Le soluzioni giuridiche
Le aperture giurisprudenziali tese a ricomprendere fatti della vita privata del prestatore di lavoro nella nozione di giusta causa di licenziamento (laddove gli stessi incidano sulla figura morale del lavoratore e quindi sulla possibilità di prosecuzione del rapporto di lavoro) consentono l'estensione anche a fatti inerenti a precedenti rapporti di lavoro, ovviamente a determinate condizioni ed entro certi limiti.
Tale estensione non è stata del tutto pacifica.
Ed infatti, taluni giudici di merito, confondendo l'addebito di natura disciplinare con la giusta causa di recesso, hanno ritenuto l'illegittimità del licenziamento sulla scorta della semplice anteriorità e riferibilità ad altro rapporto di lavoro della condotta inadempiente del dipendente. In tal senso la Corte d'Appello di Milano (sentenza n. 289/2014) ha escluso la giusta causa di licenziamento per la semplice ragione che “i detti fatti delittuosi erano stati commessi prima che il Comune datore di lavoro cedesse il ramo d'azienda, a cui era addetto il lavoratore, alla società commerciale attuale ricorrente principale, che aveva assegnato il medesimo a diverse mansioni e poi l'aveva licenziato” (cfr. Cass. n. 20319/2015 che ha cassato la sentenza della Corte milanese).
I giudici di legittimità, invece, invitano a superare la distinzione meramente temporale delle condotte.
In tal senso, un fatto riconducibile al dipendente ben potrebbe collocarsi in data anteriore all'assunzione ed essere riferito ad altro rapporto di lavoro; ciononostante esso potrebbe integrare giusta causa di recesso datoriale dal rapporto di lavoro in essere laddove venga ad incidere sulla figura morale del lavoratore o sull'affidamento nella capacità professionale attualmente richiesta.
La Suprema Corte ha infatti chiarito che “In tema di licenziamento per giusta causa, il vincolo fiduciario può essere leso anche da una condotta estranea al rapporto lavorativo in atto, benché non attinente alla vita privata del lavoratore e non necessariamente successiva all'instaurazione del rapporto, a condizione che, in tale secondo caso, si tratti di comportamenti appresi dal datore di lavoro dopo la conclusione del contratto e non compatibili con il grado di affidamento richiesto dalle mansioni assegnate e dal ruolo rivestito dal dipendente nell'organizzazione aziendale” (Cass., sez. lav., n. 428/2019).
Sebbene più risalente nel tempo, la pronuncia di Cassazione n. 15373/2004 declina il suddetto principio in un'ipotesi del tutto analoga a quella esaminata dal Tribunale di Pistoia, ritenendo legittimo il licenziamento intimato ad un dipendente di un istituto bancario e ravvisando la giusta causa nei comportamenti inadempienti tenuti dal lavoratore nell'ambito di un precedente rapporto di lavoro intrattenuto con altro istituto di credito. I giudici di legittimità, riconoscendo che la giusta causa di recesso datoriale ben può essere integrata da un fatto della vita privata del lavoratore, a maggior ragione ammettono la rilevanza della “condotta tenuta dal lavoratore in un precedente rapporto di lavoro, tanto più se omogeneo a quello in cui il fatto viene in considerazione, rilevando in tale caso non come addebito di natura disciplinare, ma quale giusta causa di licenziamento” (cfr. Cass., sez. lav., n. 15373/2004). Osservazioni
La pronuncia del Tribunale di Pistoia merita una prima osservazione di natura processuale.
Invero, la denominazione della pronuncia come “sentenza” fa sorgere dei dubbi rispetto alla ricostruzione processuale della vicenda.
Infatti, la tutela richiesta dal ricorrente (ovverosia quella del quarto comma dell'art. 18 S.L. in via principale e quella del quinto comma del medesimo articolo in via subordinata), nonché la mancanza di contestazioni e/o eccezioni sul punto, lascia intendere che il rapporto di lavoro in questione sia sorto prima del 7 marzo 2015, dovendosi pertanto applicare il c.d. rito Fornero alla relativa impugnativa di licenziamento.
Tuttavia, la pronuncia del Giudice pistoiese, pur denominata “sentenza”, non sembra definire la fase di opposizione, mancando qualsivoglia riferimento alla precedente fase sommaria ed agli esiti della stessa. Anche le date della vicenda sembrano confermare tale circostanza: la comminatoria di licenziamento, infatti, risale all'8 settembre 2017, mentre il deposito del ricorso giudiziale è indicato al 26 marzo 2018, dovendosi ragionevolmente escludere che tra le due date sia intervenuta la definizione della fase sommaria.
Anche il fatto che la causa sia stata istruita esclusivamente in via documentale (come tipicamente accade nella c.d. fase urgente del rito Fornero) permette di riferire la decisione in esame alla fase sommaria, che a norma dell'art. 1, comma 49, L. 92/2012 dovrebbe essere definita con ordinanza immediatamente esecutiva.
Non disponendo, tuttavia, di ulteriori elementi per discutere della vicenda dal punto di vista strettamente processuale, il presente commento si rivolge piuttosto ai profili sostanziali della pronuncia, i cui passaggi logico-giuridici risultano ben delineati.
In primo luogo, il Giudice si preoccupa di trattare la censura di tardività della contestazione disciplinare, respingendola recisamente. Sul punto, il Tribunale valorizza la circostanziata conoscenza dei fatti da parte dell'istituto bancario solo all'esito della ricezione della relativa documentazione penale. Così facendo “mette al riparo” il datore di lavoro dalla contestazione logicamente opposta: è infatti probabile che ogni provvedimento adottato prima della ricezione della documentazione sarebbe stato tacciato, al contrario, di contestazione prematura.
Proseguendo nella disamina dei motivi di censura ed essendo invocata dal ricorrente la tutela di cui al quarto comma dell'art. 18 L. 300/70 per “insussistenza del fatto contestato”, il Giudice del Lavoro di Pistoia dapprima indaga l'esistenza dell'addebito da un punto di vista ontologico e successivamente passa a valutare la sua rilevanza sul piano giuridico e disciplinare. Così facendo il Tribunale applica coerentemente l´insegnamento della giurisprudenza di legittimità formulato a chiusura della querelle insorta attorno la nozione di “insussistenza del fatto”, a mente del quale non è plausibile che il legislatore abbia voluto negare la tutela reintegratoria attenuata “nel caso di fatto sussistente, ma privo del carattere di illiceità, ossia non suscettibile di alcuna sanzione” (ex plurimis, Cass., sez. lav., n. 20540/2015 e più recentemente Cass., sez. lav., 3655/2019).
Con riferimento alla proporzionalità della sanzione irrogata e, pertanto, all'idoneità dei fatti contestati a fondare il recesso datoriale per giusta causa, il Giudice di prime cure non si lascia influenzare dalla mera anteriorità delle condotte e dalla loro riferibilità ad altro rapporto di lavoro, valorizzando piuttosto la sostanziale omogeneità dei compiti attualmente svolti dal ricorrente e quelli per cui lo stesso si era reso palesemente inadempiente presso altro datore di lavoro.
Tali circostanze, pertanto, vengono ad incidere non solo sulla figura morale del lavoratore, ma anche sulle competenze professionali richieste dall'attuale datore di lavoro, risultandone irrimediabilmente scalfito il rapporto di fiducia.
In altre parole, per comprendere se il fatto addebitato sia tale da incidere e recidere la fiducia caratteristica del rapporto di lavoro, occorre chiedersi se il datore di lavoro avrebbe comunque concluso il contratto pur conoscendo la condotta anteriore tenuta dal prestatore. A fronte di una circostanza per certi versi analoga a quella del dolo determinante di cui all'art. 1439 c.c., risulta allora proporzionale garantire al datore di lavoro la tutela del recesso per giusta causa.
Guida all'approfondimento - Del Prete R., Ricchezza V., Compendio di diritto del lavoro, sindacale e previdenza sociale, X edizione 2021, Neldiritto Editore, pp. 339-341; - Roccella M., a cura di Gottardi D. e Guarriello F., Manuale di diritto del lavoro, Sesta edizione 2015, G. Giappichelli Editore Torino, pp. 468 – 472; - Di Paola L., Fedele I., Speciale: Licenziamento individuale – Parte III – Omessa contestazione disciplinare. Integrazione della motivazione. Contestazione o licenziamento tardivi, in Ilgiuslavorista.it, 29 aprile 2020; - Di Paola L., Difetto di immediatezza della contestazione disciplinare: le Sezioni Unite fanno il punto sui regimi di tutela, in Ilgiuslavorista.it, 2 marzo 2018. |