In caso di condotta illecita della PA, il privato ha sempre diritto al risarcimento
10 Settembre 2021
Il principio, già emesso più volte dalla Corte di Cassazione, è stato ribadito con la sentenza n. 21535 della III Sezione Civile della Suprema Corte, emessa nella camera di consiglio del 16 novembre 2020 e depositata il successivo 27 luglio 2021. La questione era nata con la richiesta, accolta in primo grado, di una commerciante ambulante, di risarcimento del danno nei confronti del Comune in cui esercitava la sua attività. L'originaria attrice, oggi ricorrente, aveva visto concedersi una licenza per commercio ambulante, poi revocata e poi nuovamente concessa (anche se in posizione diversa rispetto a quella originale) in quanto l'ordinanza che l'aveva revocata era stata dichiarata illegittima dal TAR. Di conseguenza, l'odierna ricorrente aveva chiesto il risarcimento del danno, e la sua domanda era stata accolta in primo grado, mentre poi la Corte d'Appello territoriale aveva accolto il gravame e dichiarato non dovuto il risarcimento del danno in suo favore. Di conseguenza, la signora A.A. presentava ricorso per la cassazione della sentenza della Corte territoriale, affidato a cinque motivi. Nel primo, che più ci interessa in quanto accolto dalla Suprema Corte, denunziava la violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 c.c.. in riferimento all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in quanto la Corte d'Appello avrebbe escluso qualsivoglia distinzione tra interessi oppositivi e interessi pretensivi, costruendo una tecnica di accertamento identica, estesa anche agli interessi oppositivi azionati nel caso che ci occupa, nonostante la nota sentenza n. 500/1999, a Sezioni Unite, che ha definitivamente conservato la differenza tra interessi oppositi e pretensivi. Secondo la ricorrente, la Corte di merito avrebbe dovuto accorgersi che nel caso di specie si trattava di interessi oppositivi e che quindi in caso di relativa lesione viene in rilievo il sacrificio dell'interesse alla conservazione del bene o della situazione di vantaggio conseguente all'illegittimo esercizio del potere; di conseguenza, il danno è risarcibile per il solo fatto che il provvedimento emanato presenti un vizio di legittimità, e quindi pretendere la prova di un danno ingiusto che non si consideri già esistente nell'illegittimità dell'atto equivarrebbe ad apporre ingiustificatamente una barriera contenitiva alla risarcibilità dell'interesse legittimo.
Il diritto del privato al risarcimento del danno prodotto dall'illegittimo esercizio della funzione pubblica prescinde dalla qualificazione formale della posizione di cui è titolare il soggetto danneggiato in termini di diritto soggettivo di interesse legittimo, visto che la tutela risarcitoria dipende esclusivamente dall'ingiustizia del danno conseguente alla lesione dell'interesse giuridicamente riconosciuto.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso sul primo punto, descritto in precedenza, rinviando alla Corte d'Appello di Cagliari che dovrà applicare il principio indicato dalla sentenza. Per la Suprema Corte, nel caso in specie si tratta di interessi oppositivi e quindi la tecnica di accertamento della lesione dovrà semplicemente accertare che l'illegittima attività dell'amministrazione pubblica abbia leso l'interesse alla conservazione di un bene o di una situazione di vantaggio. In questo caso, trattandosi di domanda di risarcimento dei danni per l'omesso o tardivo rilascio di un'autorizzazione amministrativa non possono essere considerati sufficienti a escludere la configurabilità dell'elemento soggettivo e quindi della responsabilità colposa, né l'avvenuto annullamento di atti regolamentari generali dello stesso ente nella stessa materia oggetto dell'autorizzazione, visto l'obbligo della pubblica amministrazione di organizzare la propria attività per essere sicure il tempestivo esame delle legittime aspettative dei privati, nella sussistenza di un elemento controverso impeditivo al rilascio dell'autorizzazione, ove il diniego, come nel caso che ci occupa, sia stato giudicato illegittimo da giudice amministrativo. Secondo la sentenza impugnata, la Corte d'Appello ha disatteso questi principi, essendo stato accertato che la ricorrente fu destinataria di un'ordinanza di chiusura dell'attività, adottata sull'erroneo presupposto del difetto di autorizzazione all'esercizio del commercio ambulante. Nel riformare la sentenza di primo grado, la Corte d'Appello ha erroneamente rigettato la domanda nei confronti del Comune originariamente proposta dall'odierna ricorrente, argomentando con la necessità di verificare in termini virtuali se la ricorrente avesse avuto realmente necessità di munirsi delle autorizzazioni richieste, dichiarando nel merito di condividere la tesi del giudice amministrativo secondo cui quanto accaduto non è compatibile con la nozione di ingiustizia del danno qui necessariamente deve aprirsi in base alla cosiddetta logica della spettanza che caratterizza la più recente evoluzione in tema del risarcimento dei danni cagionati dall'amministrazione. Secondo la Suprema Corte invece, è necessario valutare esclusivamente la fondatezza o meno della richiesta di parte al fine di stabilire se la medesima fosse titolare di una mera aspettativa oggi un diritto soggettivo essendo sufficiente per gli interessi come nella specie oppositivi accertare che le legittime attività della pubblica amministrazione abbia leso l'interesse alla conservazione di un bene o di una situazione di vantaggio. Di conseguenza, erroneamente l'autorizzazione amministrativa all'esercizio del commercio ambulante in argomento e stata ritenuta dalla Corte di merito insussistente, mente trattandosi di diritti soggettivi nella loro formulazione di interessi oppositivi sarebbe stato sufficiente valutare il danno. In applicazione di detto principio, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso sul primo punto, dichiarando assorbiti gli altri, e rinviando alla Corte d'Appello in diversa composizione per la decisione, anche sulle spese.
(Fonte: Diritto e Giustizia) |