La S.C. in tema di contratti di lavoro a termine
04 Ottobre 2021
La Corte d'Appello di Bari respingeva la domanda proposta da un dipendente di una compagnia aerea avente ad oggetto l'illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato nel 2001.
Il lavoratore ricorre in Cassazione, lamentandosi del fatto che la Corte d'Appello avesse ritenuto valido ed efficace il contratto a termine stipulato ai sensi dell'art. 23 l. n. 56/1987, non essendo mai stata denunciata dal lavoratore in primo grado l'omessa indicazione, nel contratto, della norma posta a giustificazione del termine ed essendosi la compagnia sempre difesa allegando che l'apposizione del termine trovava giustificazione nell'art. 1 l. n. 203/1962.
Il ricorso è fondato. La Corte di Cassazione, infatti, sottolinea che, mentre con l. n. 230/1962 il legislatore introdusse il sistema della «lista chiusa» dei motivi che permettevano la stipulazione dei contratti temporanei, con la l. n. 56/1987 ha rinunciato alla previsione di fattispecie tassative ed ha per contro affidato alla contrattazione collettiva, nazionale oppure locale, la possibilità di autorizzare il contratto a termine per causali di carattere oggettivo ed anche – alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale - per ragioni di tipo meramente soggettivo, consentendo (in funzione di promozione dell'occupazione o anche di tutela delle fasce deboli di lavoratori) l'assunzione di speciali categorie di lavoratori, operando una sorta di «delegificazione» in favore delle parti sociali. Con il d.lgs. n. 368/2001, poi, il legislatore ha superato «le forme di assunzioni a termine contrattualizzate» ed è tornato a chiedere nell'art. 1 alle parti del contratto individuale la specificazione in forma scritta delle ragioni giustificatrici del contratto a termine.
Tale ricostruzione del sistema legislativo non implica, tuttavia, che nel periodo compreso tra la l. n. 56/1987 ed il d.lgs. n. 368/2001 fosse consentita l'apposizione di un termine senza che ne venisse indicata la ragione giustificativa: le parti, infatti, non erano più libere di individuarla nell'ambito di un'elencazione legislativa, ma potevano limitarsi ad applicare la previsione del contratto collettivo, soltanto richiamandola. Tale espresso richiamo, tuttavia, era necessario al fine di consentire in ogni caso il controllo giudiziario sull'operato delle parti, mentre il loro silenzio in proposito avrebbe permesso il mero arbitrio delle medesime, ed in particolare del datore di lavoro, che avrebbe potuto giovarsi del termine sul piano economico: non può valere a supplire tale mancanza, pertanto, il generico richiamo nel contratto all'art. 23 l. n. 56/1987, «ricorrendone i presupposti sulla base dell'assunto secondo cui il richiamo all'art. 23 conterrebbe già in sé il riferimento all'art. 1 l. n. 203/1962».
Nel caso di specie, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d'Appello, non è priva di rilievo la circostanza che nel contratto considerato non vi fosse alcun riferimento alle ipotesi «legittimanti» di cui all'art. 1 l. n. 203/1962: il regolamento contrattuale infatti avrebbe dovuto contenere il rinvio alla previsione della contrattazione collettiva, o ad una delle ipotesi specificamente indicate nell'art. 1 l. n. 230/1962e, quindi, a tutti i requisiti connessi.
Per questi motivi, la Corte di Cassazione cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'appello di Bari in diversa composizione.
(Fonte: Diritto e Giustizia) |