Notifica a mezzo PEC: la ricevuta di consegna ha valore fino a prova contraria

Redazione scientifica
02 Novembre 2021

«L'esito positivo della ricevuta di avvenuta consegna (Rac), rilasciata dal gestore di posta elettronica certificata della destinataria, costituisce in ogni caso un documento idoneo a dimostrare, fino a prova contraria, che il messaggio informatico è pervenuto nella casella di posta elettronica del destinatario».

Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sul reclamo proposto da una s.r.l. avverso la sentenza di dichiarazione di fallimento della Corte d'Appello di Taranto.

La società lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 15 l. fall., in quanto la Corte territoriale aveva ritenuto che la fase prefallimentare fosse stata correttamente instaurata previa notifica del ricorso per dichiarazione di fallimento e del decreto di fissazione, a cura della cancelleria, all'indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) della società quale risultante dalla visura camerale: nello specifico, la società afferma che l'attestazione telematica della cancelleria non possiede effetto sostitutivo (fidefacente) in merito alla prova di un'effettiva rituale notifica, e assume di non aver potuto investire in tecnologie o strumenti telematici tali da consentire a una simile forma di notificazione il raggiungimento dello scopo.

Il ricorso è infondato. La Corte di Cassazione, infatti, afferma che in tema di notifiche telematiche, quella eseguita all'indirizzo PEC dichiarato da una società si perfeziona in virtù dell'attestazione di avvenuta consegna alla formale intestataria; tale notifica non può esser ritenuta invalida se, pur essendo riconducibile alla destinataria in base alle risultanze del registro delle imprese, l'indirizzo di posta elettronica non sia, di fatto, abilitato all'uso da parte sua (Cass. civ., n. 16365/2018).

Inoltre, l'esito positivo della ricevuta di avvenuta consegna (Rac), rilasciata dal gestore di posta elettronica certificata della destinataria, costituisce in ogni caso un documento idoneo a dimostrare, fino a prova contraria, che il messaggio informatico è pervenuto nella casella di posta elettronica del destinatario, «pur senza assurgere alla certezza pubblica propria degli atti facenti fede fino a querela di falso» (Cass. civ., n. 26705/2019): la destinataria, pertanto, è onerata della prova contraria, e la prova non può essere costituita da contestazioni in ordine alla non attivazione di strumenti telematici idonei a prendere contezza dell'invio di atti a mezzo PEC.

Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

(Fonte: Diritto e Giustizia.it)

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