Lease-back: è lecita la clausola che consente al cedente, in caso di risoluzione, di trattenere i canoni dovuti per il tempo dell'occupazione
29 Ottobre 2021
È valido ed efficace il patto contenuto in un contratto di leasing traslativo il quale attribuisca al concedente, in caso di risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore, la facoltà di determinare unilateralmente il valore del bene oggetto del contratto, e sottrarlo dal credito residuo vantato nei confronti dell'utilizzatore. Tuttavia, tale patto ha per corollario l'obbligo del concedente di stimare il bene secondo correttezza e buona fede; in caso di contestazione della stima da parte dell'utilizzatore, è onere del concedente palesare il criterio adottato, e del concedente dimostrarne l'erroneità. Il c.d. 'patto di deduzione' in virtù del quale nei contratti di leasing traslativo si stabilisce che il concedente, nel caso di risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore, ha diritto a titolo di penale al pagamento dei canoni scaduti e di quelli futuri, attualizzati al momento della risoluzione, previo diffalco di quanto ricavato dalla vendita del bene, deve essere interpretato ed applicato secondo correttezza e buona fede, con la conseguenza che: a) se al momento in cui il concedente esige il proprio credito (restitutorio e/o risarcitorio) nei confronti dell'utilizzatore il bene è stato già rivenduto, il concedente dovrà portare in diffalco il ricavato, salva la responsabilità del concedente ex art. 1227, comma secondo, c.c., nel caso di vendita ad un prezzo vile per propria negligenza; b) se al momento in cui esige il proprio credito nei confronti dell'utilizzatore il bene non è stato ancora rivenduto, il concedente dovrà portare in diffalco il valore commerciale del bene, stimato col criterio del valore equo di mercato. Il sale and lease-back, è un contratto attraverso il quale il proprietario di un bene cede la proprietà ad un istituto finanziario da cui lo acquisisce in locazione finanziaria (leasing finanziario). Come in tutti i contratti di leasing, anche nel contratto di lease-back, l'utilizzatore ha la possibilità di riscattare il bene al termine del contratto di locazione (diritto d'opzione d'acquisto). Il patto commissorio, è il patto (autonomo o aggiunto ad un'altra garanzia tipica) con il quale creditore e debitore convengano che, in caso di mancato pagamento, la cosa data in pegno o in ipoteca passi in proprietà del creditore. L'ordinamento italiano sanziona con la nullità il patto commissorio. Sul punto: Il divieto del patto commissorio e la conseguente sanzione di nullità radicale sono stati estesi a qualsiasi negozio, tipico o atipico, quale che ne sia il contenuto, che sia in concreto impiegato per conseguire il fine, riprovato dall'ordinamento, dell'illecita coercizione del debitore. Pertanto, in ogni ipotesi in cui quest'ultimo sia costretto ad accettare il trasferimento di un bene immobile a scopo di garanzia, nell'ipotesi di mancato adempimento di una obbligazione assunta per causa indipendente dalla predetta cessione, è ravvisabile un aggiramento del divieto di cui agli artt. 1963 e 2744 c.c. – Cass. civ. n. 27362/2021. Il caso. Una s.r.l. ed un istituto finanziario realizzavano una operazione di “sale and lease-back” avente ad oggetto un bene immobile. Nel corso della esecuzione del contratto, l'istituto finanziario, rilevato l'inadempimento della società utilizzatrice, attivava due iniziative giudiziarie. Con la prima, chiedeva ed otteneva decreto ingiuntivo per il recupero dei canoni scaduti e non pagati. Con la seconda, conveniva in giudizio la società affinchè, accertato l'inadempimento, fosse condannata al rilascio dell'immobile. Parte convenuta, si attivava per ottenere la revoca del decreto ingiuntivo, la dichiarazione di nullità del contratto di lease-back (sostenendo che lo stesso dissimulava un patto commissorio) quindi accertarsi e dichiararsi l'applicazione di interessi usurai. Tribunale e corte d'appello, accoglievano le domande di parte attrice e respingevano le difese di parte convenuta. Nel contratto di leasing, è possibile per il cedente, a seguito di risoluzione e rilascio dell'immobile, chiedere ed ottenere il pagamento dei canoni dovuti per il periodo di occupazione. La SS.UU., sul punto, hanno chiarito i seguenti aspetti: -) non è inibito alle parti del contratto di leasing prevedere che i canoni scaduti restino acquisiti al concedente, ai sensi dell'articolo 1526, comma 2, c.c.; -) non è inibito alle parti del contratto di leasing prevedere che i canoni ancora da scadere siano dovuti al concedente a titolo di penale, ex articolo 1382 c.c.; -) unica cautela necessaria è che, in questi casi, è onere del concedente, nell'esigere il proprio credito verso l'utilizzatore, indicare la somma ricavata dalla diversa allocazione del bene oggetto del contratto ovvero, in mancanza, allegare una stima attendibile del relativo valore di mercato onde consentire al giudice di apprezzare l'eventuale manifesta eccessività della penale, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1526, comma 2, c.c.; -) simili patti costituiscono espressione di una razionalità propria della realtà socio-economica, sono sorti nella pratica commerciale, e il legislatore li ha anche recepiti nella legge n. 124/2017. L'equilibrio negoziale. La S.C. ha osservato che il punto di diritto non è se il concedente, rientrando in possesso del bene, possa o non possa venderlo, riutilizzarlo o goderne direttamente secondo le sue insindacabili determinazioni. La società concedente resta proprietaria di quel bene, e ci mancherebbe che al proprietario non fosse consentito fare dei propri beni quel che vuole. Il punto di diritto che viene in rilievo nel presente giudizio è ben diverso: come debba essere quantificato il "sottraendo" nel calcolo del credito residuo del concedente, ovvero individuare la tutela riconosciuta all'utilizzatore. La cassazione ha chiarito che i contratti si interpretano in buona fede (art. 1366 c.c.), e in buona fede si eseguono (art. 1375 c.c.), quindi, alla luce del criterio di buona fede il valore del bene da portare in detrazione dal credito del concedente non potrà che essere il valore equo di mercato, nel luogo e al tempo della risoluzione. Se il concedente riuscirà a reimpiegare quel bene ad un valore maggiore, ovviamente l'intero ricavato andrà portato in detrazione, in virtù del principio della compensatio lucri cum damno; se il concedente non dovesse riuscire a realizzare il valore di mercato per propria trascuranza o maltalento, dovrà comunque detrarre dal proprio credito il valore di mercato, e non la minor somma ricavata, in virtù del principio di cui all'art. 1227, comma secondo, c.c. Ordine pubblico economico. Parte convenuta ha sostenuto la contrarietà all'ordine pubblico economico del contratto di sale and lease-back. L'espressione "ordine pubblico economico" (sconosciuta all'ordinamento positivo ma spesso utilizzata da questa Corte) è convenzionalmente impiegata per designare il complesso delle norme, dei principi e degli istituti intesi a garantire il corretto svolgimento dei rapporti tra privati in materia economica (Cass. n. 1184/2020). Sono stati ritenuti da questa Corte contrari "all'ordine pubblico economico", ad esempio, i patti stipulati al fine di aggirare la normativa antimafia o la libera concorrenza (Cass. n. 6068/2021); i contratti stipulati (con lo Stato) concepiti per recar danno all'erario (Cass. n. 2157/2021); i contratti stipulati simulatamente, al fine di dissimulare lo stato di decozione d'una impresa commerciale (Cass. n. 16706/2020); od ancora gli accordi e le condotte violative delle norme che prescrivono l'indipendenza dell'attestatore di un concordato preventivo, ex art. 161 comma 30 l. fall. (Cass. n. 12171/2020). Il patto di sale and lease-back rispetta l'ordine pubblico economico, tanto da trovare espressa disciplina, tra l'altro, nella convenzione di Ottawa sul leasing ratificata dall'Italia con l. n. 259/1993.
Fonte: dirittoegiustizia.it |