Il conducente di un veicolo coinvolto in un sinistro stradale può deporre nel giudizio risarcitorio?

Michele Liguori
02 Novembre 2021

La S.C. ha affermato che il conducente di un autocarro che tampona un altro veicolo non ha la capacità di testimoniare nel processo intentato dal proprietario del veicolo tamponato contro il proprietario dell'autocarro tamponante e del suo assicuratore.Come si può sostenere la tesi dell'incapacità con la mancanza del presupposto essenziale costituito dal precedente danneggiamento subito dal testimone, ove tale danneggiamento non ci sia stato?

La Suprema Corte ha affermato che il conducente di un autocarro che tampona un altro veicolo non ha la capacità di testimoniare nel processo intentato dal proprietario del veicolo tamponato contro il proprietario dell'autocarro tamponante e del suo assicuratore (Cass. 26 maggio 2021, n. 14468).

Per giustificare tale conclusione la S.C. ha richiamato il caso del trasportato danneggiato e già risarcito o altre ipotesi che hanno in comune la circostanza che chi viene chiamato a testimoniare abbia subito un danno.

Ma nel caso esaminato dalla S.C. il guidatore dell'autocarro non era affatto danneggiato e, pertanto, non ricorrevano le condizioni richiamate per giustificare l'incapacità a testimoniare.

Insomma, mi chiedo come si può sostenere la tesi dell'incapacità con la mancanza del presupposto essenziale costituito dal precedente danneggiamento subito dal testimone, ove tale danneggiamento non ci sia stato?

L'art. 246 c.p.c. dispone: “Non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio”.

Tale norma - che ha superato varie volte il vaglio di legittimità costituzionale (Corte Cost. 8 maggio 2009, n. 143, Corte Cost. 24 febbraio 1995, n. 62, Corte Cost. 10 luglio 1974, n. 248) - stabilisce il divieto di testimonianza per le persone che abbiano nella causa un interesse tale da legittimarne la loro partecipazione al giudizio ed introduce nel nostro ordinamento processuale civile il principio per cui “nemo testis in causa propria”.

Il divieto di testimonianza per tali soggetti - che pare esista solo in Italia (TARUFFO, Cultura e processo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 63 e segg.) - è fondato:

  • sull'aprioristica presunzione di incapacità a testimoniare delle persone che possano avere un interesse all'esito della lite;
  • sull'assimilazione di tali persone alle parti processuali;
  • sul tradizionale divieto vigente nel nostro ordinamento processuale civile di testimonianza delle parti in causa.

Tale divieto, pertanto, non è fondato su una condizione o modo di essere naturale delle persone in questione.

Questo ha portato gli interpreti a ritenere che più di una vera e propria incapacità (come la definisce la rubrica dell'art. 246 c.p.c.) debba ritenersi una mera incompatibilità con l'ufficio di teste (SATTA, Commentario al codice di procedura civile, II, 1, Milano, 1959/1960, 260) o di insussistente legittimazione a deporre (CARNELUTTI, Istituzioni del nuovo processo civile italiano, IV, I, Roma, 1951, 314; MANDRIOLI, Diritto processuale civile, XIII, II, Torino, 2000, 259).

L'interesse in causa è coincidente con quello di cui all'art. 100 c.p.c. - che rappresenta la norma cardine del sistema processuale civile con riguardo alla valutazione dell'interesse nel processo sia delle parti che dei testimoni - e, cioè, quello per proporre una domanda o contraddire alla stessa.

Tale interesse dei soggetti, pertanto:

  • non può essere di mero fatto e, cioè, nel senso o che la causa in cui è chiamato a deporre sia decisa in un certo modo (Cass. 14 ottobre 2021, n. 28223; Cass. 9 agosto 2021, n. 22498; Cass. 9 novembre 2020, n. 25012; Cass. 30 ottobre 2019, n. 27914; Cass. 17 luglio 2019, n. 19121);
  • deve essere giuridicamente rilevante e cioè, deve essere personale, attuale e concreto tale da legittimare la loro partecipazione al giudizio in qualsiasi veste con riferimento alla materia in discussione (Cass. 14 ottobre 2021, n. 28223; Cass. 9 agosto 2021, n. 22498; Cass. 2 febbraio 2021, n. 2286; Cass. 9 novembre 2020, n. 25012; Cass. 30 ottobre 2019, n. 27914; Cass. 17 luglio 2019, n. 19121; Cass. 5 gennaio 2018, n. 167; Cass. 8 giugno 2012, n. 9353) e, quindi, vuoi come attori, vuoi come convenuti, vuoi come interventori principali o adesivi autonomi o adesivi dipendenti ai sensi dell'art. 105 c.p.c. (Cass. 15 marzo 2004, n. 5232; Cass. 16 giugno 2003, n. 9652).

In caso di potenziale conflitto di interessi tra parti e testimoni, pertanto, è necessario comparare l'interesse della parte che agisce o resiste in giudizio rispetto a quello del teste e misurare quest'ultimo sulla base del suo interesse particolare all'esito della controversia instaurata tra le parti processuali ed alle circostanze per cui è chiamato a rendere la sua deposizione (Cass. 18 gennaio 2019, n. 1279; Cass. 5 gennaio 2018, n. 167; Cass. 8 giugno 2012, n. 9353).

La sussistenza di detta incapacità va valutata indipendentemente dalle vicende che rappresentano un “posterius” rispetto alla configurabilità di quell'interesse a partecipare al giudizio che determina la incapacità stessa, con la conseguenza che la presenza di una fattispecie estintiva del diritto azionabile, quale la prescrizione o la transazione, non fa venir meno il coinvolgimento nel processo e non fa, pertanto, riacquistare la capacità a testimoniare (Cass. 26 maggio 2021, n. 14468; Cass. 30 ottobre 2019, n. 27914; Cass. 17 luglio 2019, n. 19121; Cass. 18 aprile 2019, n. 10836; Cass. 28 luglio 2011 n. 16499; Cass. 1° giugno 1974 n. 1580, che dovrebbe rappresentare il leading case).

La nullità della testimonianza resa da persona incapace, ai sensi dell'art. 246 c.p.c., è posta a tutela dell'interesse delle parti e, pertanto:

  • è configurabile come una nullità relativa;
  • deve, pertanto, essere eccepita dalla parte interessata nella prima difesa utile dopo l'assunzione della prova anche se è stata proposta in precedenza l'eccezione di incapacità del teste;
  • in mancanza rimane sanata ai sensi dell'art 157 c.p.c. (Sez. un. 23 settembre 2013, n. 21670; conf. Cass. 9 novembre 2020, n. 25021; Cass. 10 aprile 2019, n. 10120; Cass. 12 marzo 2019, n. 7095; Cass. 23 novembre 2016, n. 23896; Cass. 11 maggio 2016, n. 9639; Cass. 4 maggio 2016, n. 8891);
  • non può, pertanto, essere rilevata d'ufficio dal giudice.

Il giudizio sulla capacità dei testi spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione sufficiente, logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa vigente in materia (Cass. 14 ottobre 2021, n. 28223; Cass. 18 gennaio 2019, n. 1279; Cass. 24 maggio 2013, n. 12988; Cass. 19 gennaio 2007, n. 1188; Cass. 20 gennaio 2006, n. 1101).

Il giudizio di legittimità sulla capacità dei testi escussi, pertanto, è ristretto alle ipotesi di errata applicazione della norma che regola l'incapacità a testimoniare ed il giudizio deve concentrarsi sull'interesse dei testi che la norma di cui all'art. 246 c.p.c. intende escludere dal processo instaurato da una parte e dunque sulla situazione di conflitto di interessi tra testi e parti che determina la loro incapacità a testimoniare (Cass. 18 gennaio 2019, n. 1279).

Nel caso di conducente di un veicolo coinvolto in un sinistro automobilistico, pertanto, il giudizio sulla sua capacità a deporre nel relativo giudizio risarcitorio, ai sensi dell'art. 246 c.p.c., deve essere concentrato sul suo interesse giuridicamente rilevante e, quindi personale, attuale e concreto che potrebbe legittimare la sua partecipazione al giudizio.

Il conducente che abbia subito un danno nel sinistro (a cose o persona) - alla pari di qualsiasi altra vittima del sinistro - ha sempre un interesse giuridico, e non di mero fatto, all'esito della lite introdotta da altro danneggiato e che potrebbe legittimare la sua partecipazione al giudizio vuoi come soggetto danneggiato, vuoi come soggetto responsabile e, pertanto, è sempre incapace a deporre.

Nel caso, invece, di conducente che non abbia subito alcun danno nel sinistro va fatto un distinguo a seconda se il giudizio è stato instaurato da altro danneggiato per sua responsabilità o per responsabilità dell'altro conducente.

Nel primo caso (di conducente responsabile, che è quello relativo al quesito) il conducente (non citato e non parte in giudizio) ha sempre un interesse giuridico all'esito della lite e che avrebbe potuto legittimare la sua partecipazione al giudizio in veste di conducente responsabile o corresponsabile e, pertanto, è incapace a deporre.

Nel secondo caso (di conducente non responsabile) il conducente (non citato e non parte in giudizio):

  • ha un interesse giuridicamente rilevante solo se il danneggiante (citato in giudizio) abbia proposto domanda riconvenzionale e, pertanto, è incapace a deporre;
  • non ha, invece, un interesse giuridicamente rilevante nel diverso caso in cui il danneggiante (citato in giudizio) non abbia proposto domanda riconvenzionale e, pertanto, non può essere considerato incapace a deporre (Cass. 24 ottobre 2018, n. 26915; Cass. 25 maggio 1993 n. 5858).

La decisione della Suprema Corte, pertanto, seppur la motivazione appaia per certi versi eccentrica rispetto alla problematica sollevata in sede di legittimità, è corretta in quanto il teste escusso e ritenuto dai giudici di merito capace a testimoniare:

  • era il conducente del veicolo tamponante e, pertanto, aveva un interesse personale, attuale e concreto tale da legittimare la sua partecipazione al giudizio - ove erano stati citati il locatario e l'impresa di assicurazione del veicolo da lui condotto - quale soggetto responsabile del sinistro;
  • era, conseguentemente, incapace a deporre.