La coassicurazione indiretta o assicurazione plurima: il criterio di riparto tra assicuratori c'è ma non si vede

Angelo Iannaccone
08 Novembre 2021

Il criterio di riparto tra assicuratori nella coassicurazione indiretta o assicurazione plurima sembra non essere considerato (in particolare dalla dottrina), sebbene l'art. 1910 c.c. lo indichi invece chiaramente. In conseguenza di ciò frequentemente si ricorre ad un diverso criterio, frutto di considerazioni e di parametri estranei però alla norma, che viene così disattesa. Attraverso l'esame del testo normativo, della dottrina e della giurisprudenza è possibile individuare il criterio di riparto stabilito dal legislatore.
Premessa

L'art. 1910 c.c. consente, a differenza del Codice di commercio del 1882 art. 427, che l'assicurato possa stipulare contratti distinti presso diversi assicuratori a copertura del medesimo rischio, chiedendo poi a ciascuno l'indennizzo dallo stesso dovuto in forza della rispettiva polizza, ma la norma precisa che “le somme complessivamente riscosse” non possono mai superare l'ammontare del danno effettivamente patito.

Nel suddetto limite quindi l'assicurato “può chiedere a ciascun assicuratore l'indennità dovuta secondo il rispettivo contratto” e “l'assicuratore che ha pagato ha diritto di regresso contro gli altri per la ripartizione proporzionale in ragione delle indennità dovute secondo i rispettivi contratti”.

Per un approfondimento delle varie problematiche dell'assicurazione plurima si rimanda ad altre trattazioni, limitandosi qui a svolgere alcune considerazioni sul criterio di riparto tra assicuratori.

Qual è in concreto tale criterio? Ed in particolare il riparto va effettuato in proporzione ai capitali assicurati/massimali o piuttosto in proporzione agli indennizzi dovuti da ciascun assicuratore in base al proprio contratto separatamente considerato?

La dottrina

Sulla base di un presunto vuoto normativo, che si vedrà in realtà non sussistere, la dottrina, nella dichiarata ricerca di un parametro di equità, si è spesa per individuare il criterio di calcolo da adottare per il riparto tra assicuratori, prospettando soluzioni, sia consentito, opinabili, quando invece tale criterio era stato già indicato dal legislatore, come si avrà modo di precisare in seguito.

La dottrina prevalente propende per il riparto in proporzione del capitale assicurato/massimale.

Autori come Antigono Donati, Aldo Durante, Gianguido Scalfi, Vittorio Angeloni, Marco Rossetti, sul presupposto (non condivisibile) che la norma non indichi il criterio del riparto, affermano che questo debba farsi in proporzione del capitale assicurato/massimale.

Molti Autori a ben guardare si limitano a riportare il testo della norma ed a fare esempi di riparto solo apparentemente in proporzione del capitale assicurato/massimale; osservando attentamente, ci si avvede infatti che quest'ultimo risulta sempre inferiore al danno subito e di conseguenza vi è perfetta corrispondenza tra capitale assicurato/massimale ed indennizzo concretamente dovuto secondo il rispettivo contratto. Il riparto quindi in realtà in tali esempi viene calcolato in proporzione dell'indennizzo concretamente dovuto (A. Donati–G. Volpe Potzolu, Antonio La Torre, Giulio Santi). Ciò oltre a determinare l'equivoco non consente di cogliere i problemi che comporta il riparto in proporzione del massimale.

Si veda fra tutti il Donati, il quale, mentre nel suo Trattato del Diritto delle Assicurazioni Private del 1954 fa riferimento al capitale assicurato, nel successivo Manuale di Diritto delle Assicurazioni (A. Donati–G. Volpe Potzolu 2019) afferma semplicemente che il riparto va effettuato in modo “che la riduzione risulti proporzionalmente applicata a tutti i contratti”, senza però spiegare concettualmente – e forse non è un caso - come vada svolta l'operazione, ma provvedendovi direttamente con un esempio, che molti Autori, che lo ripropongono nei loro testi, sembrano ritenere effettuato sulla base dei capitali assicurati/massimali.

Sennonché:

a) l'Autore nel suo Manuale non usa mai il termine capitale assicurato/massimale con riferimento al riparto;

b) ed anche nell'esempio fatto dall'Autore, essendo tutti i capitali assicurati/massimali inferiori al danno indennizzabile, vi è perfetta coincidenza tra capitale assicurato/massimale e indennizzo concretamente dovuto secondo i rispettivi contratti.

Per lo più la dottrina favorevole al riparto in proporzione del capitale assicurato/massimale afferma che la norma non preciserebbe in proporzione di che cosa debba effettuarsi l'operazione e, rifacendosi alla dottrina storica precedente, conclude per il riparto in proporzione del massimale, perché ciò corrisponderebbe ad un criterio di equità, che terrebbe conto dei diversi premi percepiti a fronte dei differenti massimali.

In realtà, tranne qualche Autore (in particolare Aldo Durante) che si sforza di argomentare, gli altri si limitano a richiamare genericamente “la dottrina prevalente” o “la miglior dottrina”, non affrontando però la questione e non spiegando il perché di una tale soluzione.

Altra parte della dottrina (Giuseppe Fanelli, Vittorio Colasso) invece propende per il riparto in proporzione dell'indennizzo concretamente dovuto dai vari assicuratori sulla base del proprio contratto singolarmente considerato, richiamandosi al tenore letterale dell'art. 1910 c.c..

La giurisprudenza

Sulla questione si rinviene poca giurisprudenza di merito e tutt'altro che univoca, che:

a) a volte si richiama alla dottrina “maggioritaria” e applica il criterio del massimale; così Trib. Roma sez. XIII 2 marzo 2005 n. 7023 (secondo cui “come rilevato da risalente ma autorevolissima dottrina, la ripartizione deve essere ‘proporzionale', ma la legge non dice a cosa. Di conseguenza, si è ritenuto che l'indennizzo dovuto da ciascun assicuratore sia pari al rapporto fra il massimale da lui assicurato e la somma dei massimali di tutti gli altri assicuratori”);

b) a volte, non affrontando il problema perché le parti non sollevano contestazioni in merito, applica il criterio invocato dall'attore, sia che si tratti di riparto in proporzione del massimale sia che si tratti di riparto in proporzione dell'indennizzo concretamente dovuto; così: Trib. Milano sez. XII 15 aprile 2014 n. 5006 (massimale), Trib. Ragusa 11 luglio 2011 n. 616 (massimale), Trib. Milano sez. V 24 luglio 2008 n. 9791 (indennizzo), Trib. Massa 28 febbraio 2017 n. 176 (indennizzo);

c) altre volte invece applica il criterio dell'indennizzo concretamente dovuto da ciascun assicuratore, richiamandosi alla norma codicistica, così: Corte d'App. Milano 10 maggio 2018 n. 2338, Trib. Milano 14 novembre 2019 n. 10437, Trib. Milano 23 aprile 2021 n. 3424;

d) infine a volte addirittura si limita ad una condanna a ripartire l'indennizzo tra coassicuratori indiretti in conformità del disposto dell'art. 1910 c.c., senza precisare in concreto il criterio di riparto e senza liquidare l'importo che l'assicuratore convenuto in regresso debba corrispondere all'assicuratore che ha pagato l'indennizzo all'assicurato, così: Trib. Arezzo 16 febbraio 2009, Trib. Arezzo 3 dicembre 2011 n. 1161, Trib. Lucca 12 aprile 2017 n. 805.

La scarsa giurisprudenza si deve al ricorso a procedimenti conciliativi/arbitrali, in ambito ANIA, per la soluzione delle controversie in forza di “norme” dalla stessa emanate o di accordi tra compagnie volti a prevenire il contenzioso tra le medesime.

Lo scarso approfondimento della questione da parte della dottrina sembra avere la stessa spiegazione.

La concentrazione temporale delle pronunce si spiega con periodi di “vacazione” di tali “procedure alternative”.

La norma

La norma indica chiaramente che il riparto tra assicuratori va fatto “in ragione delle indennità dovute secondo i rispettivi contratti”, laddove “in ragione” significa appunto “in proporzione” e “indennità” è sinonimo di “indennizzo” concretamente dovuto da ciascun assicuratore in forza del proprio contratto.

Nei contratti assicurativi frequentemente si trovano definizioni del seguente tenore: “Alle seguenti denominazioni le Parti attribuiscono il significato in seguito precisato: (…) INDENNIZZO: la somma dovuta dalla Compagnia in caso di sinistro”.

Nulla c'entra quindi il capitale assicurato ed il massimale e tantomeno il premio.

Alcuni autori hanno affermato che per “indennità dovute secondo i rispettivi contratti”, di cui al comma 4 dell'art. 1910 c.c. si debba intendere non l'indennizzo concretamente dovuto, ma l'indennità “potenzialmente” dovuta, che sarebbe il massimale.

La tesi non appare però condivisibile in quanto:

a) così facendo si attribuirebbe alla norma un significato in palese contrasto “con quello proprio delle parole secondo la connessione di esse” (art. 12 delle Preleggi);

b) il c. 3 dell'art. 1910 c.c. usa esattamente le medesime parole, riportate poi dal c. 4° per indicare il criterio di riparto tra assicuratori, quando afferma che l'assicurato “può chiedere a ciascun assicuratore l'indennità dovuta secondo il rispettivo contratto, e non c'è ombra di dubbio che qui si tratti dell'indennità concretamente dovuta in base al singolo contratto; appare francamente insostenibile che le stesse identiche parole abbiamo un significato al c. 3° e poi una diversa accezione quando sono ripetute al c. 4° del medesimo articolo.

Gli accordi ANIA

Il criterio del riparto in proporzione dell'indennizzo dovuto secondo i rispettivi contratti, singolarmente considerati, è quello prescritto negli accordi ANIA (da sempre – ormai da oltre 40 anni - e sino all'attuale del 2018), finalizzati alla prevenzione del contenzioso ed alla gestione dei sinistri in coassicurazione indiretta in conformità al disposto dell'art. 1910, c. 4, c.c., allargandone l'applicazione anche ad un ambito più ampio di quello previsto dalla norma.

Nell'ultimo accordo ANIA, richiamando la disciplina dello storico art. 13 delle norme ANIA per la liquidazione dei sinistri in coassicurazione indiretta, è precisato: “Qualora si verifichi coesistenza di una pluralità di polizze con garanzie dirette relative alle medesime cose assicurate e contro lo stesso rischio, da chiunque stipulate, anche in nome e/o per conto altrui e/o nell'interesse di chi spetta, gli indennizzi da ciascuno dovuti in caso di sinistro verranno così determinati:

  • ciascun assicuratore determinerà l'importo liquidabile secondo il rispettivo contratto, come se non vi fossero altre garanzie assicurative, entro i limiti di indennizzo ed al netto di eventuali franchigie e/o scoperti (salvo quanto eventualmente diversamente disposto dalle condizioni contrattuali di polizza);
  • se la somma degli indennizzi così calcolati supera l'ammontare totale del danno, l'indennizzo in concreto dovuto da ciascun assicuratore sarà determinato moltiplicando l'indennizzo che lo stesso avrebbe dovuto pagare secondo il proprio contratto per il rapporto tra l'ammontare del danno computato a termini contrattuali e l'ammontare complessivo degli indennizzi che gli assicuratori avrebbero dovuto pagare sulla base dei rispettivi contratti”.
Il riparto

La funzione per procedere al riparto tra gli assicuratori è la seguente:

X : D = I : SI

laddove:

- X è l'incognita e cioè l'indennizzo dovuto dall'assicuratore considerato in base al riparto

- D è il danno indennizzabile

- I è l'indennizzo dovuto secondo il contratto considerato

- SI è la somma degli indennizzi secondo i contratti interessati

per cui X = D x I

SI

a) Il riparto in proporzione dei massimali non funziona nelle situazioni più complesse.

Basti considerare l'ipotesi, tutt'altro che rara, che una tra le polizze preveda uno scoperto o una franchigia per avere evidenza che il riparto in proporzione dei massimali non funziona nelle situazioni più complesse.

Ovviamente la funzione è la stessa sopra indicata, sostituendo semplicemente il capitale assicurato/massimale all'indennizzo concretamente dovuto in forza del singolo contratto.

Ipotizzando un danno di 100 e due contratti con massimali rispettivamente di 100 (assicuratore A) e di 900 (assicuratore B), senza franchigia, si avrebbe:

1) Secondo i rispettivi contratti ogni assicuratore dovrebbe pagare un indennizzo di 100;

2) con il riparto in proporzione dei massimali si avrebbe:

- Assicuratore A

X : 100 = 100 : 1000

Per cui X = 100 x 100 = 10

1.000

- Assicuratore B

X : 100 = 900 : 1000

Per cui X = 100 x 900 = 90

1.000

Quindi con il riparto in proporzione dei massimali: - l'assicuratore A dovrebbe pagare 10 (invece di 100, che avrebbe dovuto pagare secondo il proprio contratto); - l'assicuratore B dovrebbe pagare 90 (invece di 100, che avrebbe dovuto pagare secondo il proprio contratto).

Ipotizzando invece sempre un danno di 100 e due contratti con massimali rispettivamente di 100 senza franchigia (assicuratore A) e di 900 con una franchigia di 50 (assicuratore B), si avrebbe:

1) Secondo i rispettivi contratti l'assicuratore A dovrebbe pagare un indennizzo di 100 mentre l'assicuratore B dovrebbe pagare un indennizzo di 50 (danno di 100 – franchigia di 50);

2) con il riparto in proporzione dei massimali però si avrebbe:

- Assicuratore A

X : 100 = 100 : 1000

Per cui X = 100 x 100 = 10

1.000

- Assicuratore B

X : 100 = 900 : 1000

Per cui X = 100 x 900 = 90

1.000

Quindi con il riparto in proporzione dei massimali: - l'assicuratore A dovrebbe pagare 10 (invece di 100, che avrebbe dovuto pagare secondo il proprio contratto); - l'assicuratore B dovrebbe pagare 90 (invece di 50, che avrebbe dovuto pagare secondo il proprio contratto in forza della franchigia).

E la franchigia del contratto dell'assicuratore B?

Il risultato sarebbe letteralmente assurdo: l'assicuratore B dovrebbe pagare addirittura molto di più (quasi il doppio) di quanto sarebbe tenuto a fare in base al proprio contratto (90 invece di 50, che invece avrebbe dovuto corrispondere secondo il proprio contratto in forza della franchigia).

Certo non basterebbe a porre rimedio applicare la franchigia dopo il riparto (detraendo cioè la franchigia di 50 dall'indennizzo di 90, dovuto dall'assicuratore B in seguito al riparto: 90 – 50 = 40). C'è da chiedersi infatti su chi graverebbero i 50 della franchigia, se sull'assicuratore A, che oltre ai 10 risultanti dal riparto si dovrebbe sostanzialmente accollare anche la franchigia prevista dal contratto dell'assicuratore B (smentendo così il riparto) o sull'assicurato stesso, qualora i contratti prevedano che l'assicurato possa chiedere a ciascun assicuratore solo l'importo su di questo gravante a seguito del riparto in deroga all'art. 1910 c.c. (che è norma derogabile).

In tal modo si realizzerebbe l'assurdo che un soggetto, pur essendo sovrassicurato, a seguito del riparto verrebbe a percepire meno di quello che avrebbe conseguito se avesse stipulato una sola assicurazione e quindi fosse “meno” assicurato. Egli in tal modo, infatti, a fronte di un danno di 100, verrebbe a percepire 10 dall'assicuratore A e 40 dall'assicuratore B e così in totale 50 (10+40), mentre se fosse stato assicurato solo con l'assicuratore A avrebbe percepito 100.

Per sua natura il riparto tra 2 o più assicuratori dell'indennizzo dovuto comporta inevitabilmente che ciascuno di essi venga a corrispondere un indennizzo minore. Quindi che riparto sarebbe quello in forza del quale un assicuratore si trovasse a dover corrispondere un indennizzo superiore a quello che avrebbe dovuto pagare senza il riparto?

In definitiva il criterio del riparto in proporzione dei massimali non appare in grado di gestire l'ipotesi molto frequente che uno dei contratti preveda uno scoperto o una franchigia, senza dover poi ricorrere a delle correzioni del risultato del riparto.

b) Il riparto in proporzione degli indennizzi funziona anche nelle situazioni più complesse.

Invece nessun problema vi sarebbe utilizzando il criterio del riparto in proporzione alle indennità dovute come previsto da ciascun contratto. Ipotizzando sempre un danno di 100 e due contratti con massimali rispettivamente di 100 senza franchigia (assicuratore A) e di 900 con una franchigia di 50 (assicuratore B):

1) in base al proprio contratto l'assicuratore A dovrebbe pagare un indennizzo di 100 mentre l'assicuratore B dovrebbe pagare un indennizzo di 50 (danno di 100 – franchigia di 50);

2) con il riparto in proporzione alle indennità dovute secondo i rispettivi contratti, si avrebbe:

- Assicuratore A

X : 100 = 100 : 150

Per cui X = 100 x 100 = 66,66666…

150

- Assicuratore B

X : 100 = 50 : 150

Per cui X = 100 x 50 = 33,33333…

150

Quindi con il riparto in proporzione alle indennità dovute secondo i rispettivi contratti: - l'assicuratore A dovrebbe pagare 66,66666… (invece di 100, che avrebbe dovuto pagare secondo il proprio contratto); - l'assicuratore B dovrebbe pagare 33,33333… (invece di 50, che avrebbe dovuto pagare secondo il proprio contratto in forza della franchigia).

La dottrina che invoca il criterio del massimale

La dottrina, che invoca tale criterio, si pone nel solco della precedete dottrina (Cesare Vivante) formatasi in vigenza del Codice di Commercio del 1882, che però, dopo aver stabilito che “le cose assicurate per l'intero valore” non potessero essere nuovamente validamente assicurate presso altro assicuratore (art. 422), ammetteva la validità delle assicurazioni contemporanee (stipulate nello stesso giorno) fino all'ammontare del valore effettivo dei beni, “in proporzione della somma assicurata da ciascuna di esse”.

La norma precedente quindi faceva riferimento al capitale assicurato/massimale e la dottrina storica si era formata alla luce di questa.

La dottrina più recente invece non sembra tenere nell'adeguata considerazione il diverso tenore dell'art. 1910 c.c. rispetto alla vecchia norma del Codice di Commercio del 1882 ed utilizza argomenti che appaiono estranei al dettato normativo.
La dottrina che invoca il criterio del massimale infatti si sostiene su un presupposto infondato e cioè che l'art. 1910, c. 4, c.c. non indicherebbe il criterio del riparto, cosa questa che invece non è.

Inoltre è estraneo al dettato normativo il parametro del premio, a cui la norma non fa infatti cenno. Peraltro in un mercato di libera concorrenza il premio non può certo essere un termine di paragone idoneo, essendo esso frutto non solo dell'entità del rischio ma anche del gioco della concorrenza.

Inoltre il criterio che si richiama al premio, per una serie di ragioni, non realizza affatto una soluzione di “equità”, come sostiene Aldo Durante ne “L'assicurazione della Responsabilità Civile” (1964).

L'argomentazione dell'Autore può essere illustrata con il seguente esempio: l'assicuratore A, a fronte di un massimale di 1.000=, ha percepito un premio di 10 e l'assicuratore B, a fronte di un massimale di 2.000=, ha percepito un premio di 12 (l'aumento del premio non è direttamente proporzionale all'aumento del massimale) e il sinistro ha comportato un danno di 100. Per Durante, avendo l'assicuratore A percepito un premio maggiore, sarebbe equo che lo stesso corrisponda una quota maggiore di indennizzo. L'Autore non sembra però tener conto che fino al massimale minore entrambi gli assicuratori hanno percepito lo stesso premio (10) e per il rischio della maggior esposizione (nell'esempio da 1.001 a 2.000) l'assicuratore B, che solo ha assunto tale maggior rischio, ha percepito un maggior premio di 2. Ora, a fronte di tale maggior premio, l'assicuratore B è da solo tenuto a rispondere della parte di danno che dovesse superare il massimale più basso (nell'esempio da 1.001 a 2.000) e tale maggior rischio è appunto il corrispettivo della differenza di premio.

Di conseguenza quale equità si realizzerebbe nell'accollare a tale assicuratore anche una maggior quota di indennizzo per i sinistri che producano danni contenuti nel limite del massimale minore, per cui entrambi gli assicuratori hanno percepito lo stesso premio?

Come detto comunque la norma non prende in considerazione il premio, che quindi è un parametro del tutto estraneo alla ripartizione proporzionale tra coassicuratori indiretti.

Conclusioni

L'art. 1910, c. 4, c.c. indica chiaramente quale sia il criterio in forza del quale debba eseguirsi il riparto tra coassicuratori indiretti.

Il criterio del riparto in proporzione alle indennità dovute secondo i rispettivi contratti:

a) è quello previsto dal disposto normativo del quarto comma dell'art. 1910 c.c.;

b) funziona in tutte le situazioni, senza necessità di dover ricorrere a meccanismi correttivi;

c) garantisce all'assicurato l'indennizzo dell'intero danno, senza necessità di dover ricorrere ad artifici;

d) comporta per tutti gli assicuratori una riduzione dell'indennizzo, rispetto a quello che avrebbero dovuto pagare secondo il singolo contratto, nella medesima proporzione;

e) è il criterio usato nelle convenzioni ANIA.

Riferimenti

DOTTRINA

  • Vittorio Angeloni, Assicurazione della responsabilità civile (voce), in Enciclopedia del diritto, Vol. III, Giuffrè, Milano, 1958, pagg. 568-569
  • Vittorio Colasso, Coesistenza di più assicurazioni di responsabilità civile per lo stesso rischio, in Assicurazioni, settembre-ottobre 1952, anno XIX – fasc. 5, pagg. 328-334
  • Antigono Donati – Giovanna Volpe Potzolu, Manuale di diritto delle assicurazioni, Giuffrè, Milano, 2019, pagg. 157-159
  • Antigono Donati, Trattato del diritto delle assicurazioni private, Giuffrè, Milano, Vol. II, pagg. 264 e ss.
  • Aldo Durante, L'assicurazione di responsabilità civile, Giuffrè, Milano, 1959 (I ed.: 1955), pagg. 239-243
  • Giuseppe Fanelli, Le assicurazioni, Giuffrè, Milano, 1973, pagg. 206-207 (vds. nota 191); pagg. 341-343
  • Antonio La Torre, Le assicurazioni, III ed., Giuffrè, Milano, 2014, pag. 215 (che riporta l'esempio di Donati-Potzolu)
  • Italo Partenza, Curare, guarire, risarcire. Profili liquidativi e assicurativi del danno alla persona da responsabilità sanitaria, 2013, pagg. 155-157
  • Marco Rossetti, Il diritto delle assicurazioni, Vol. II – Le assicurazioni contro i danni, Giuffrè, Milano, 2012, pagg. 57-59
  • Giulio Santi, Il contratto di assicurazione, Roma, 1965, pag. 359
  • Gianguido Scalfi, I contratti di assicurazione – L'assicurazione danni, Torino, 1991, pagg. 208-212

GIURISPRUDENZA

  • Tribunale di Milano, 23 aprile 2021, n. 3424
  • Tribunale di Milano, 14 novembre 2019, n. 10437
  • Corte d'Appello di Milano, 10 maggio 2018, n. 2338
  • Tribunale di Lucca, 12 aprile 2017, n. 805
  • Tribunale di Massa, 28 febbraio 2017, n. 176
  • Tribunale di Milano, 15 aprile 2014, n. 5006
  • Tribunale di Arezzo, 3 dicembre 2011, n. 1161
  • Tribunale di Ragusa, 11 luglio 2011, n. 616
  • Tribunale di Arezzo, 16 febbraio 2009
  • Tribunale di Milano, 24 luglio 2008, n. 9791
  • Tribunale di Roma, 2 marzo 2005, n. 7023, in Redazione Giuffrè 2005 e Resp. civ. e prev. 2006, 5, 935 (citata con data 2 giugno 2005 in Assicurazioni 2005, II, 175)

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