La corretta individuazione del custode ai sensi dell'art. 2051 c.c.
09 Novembre 2021
Ho riportato un grave danno a causa della caduta di un segnale verticale sul parabrezza dell'auto su cui viaggiavo. Il Comune proprietario della strada ha nondimeno rigettato la mia richiesta di risarcimento, rappresentandomi di aver affidato la manutenzione della strada (e delle sue pertinenze) ad un'impresa privata, la quale avrebbe assunto la responsabilità “diretta” per i danni patiti dai terzi. Quale dei due soggetti è effettivamente tenuto a rispondere?
Il caso prospettato dal nostro lettore può certamente essere sussunto nella fattispecie disciplinata dall'art. 2051 c.c. (“ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”).
In particolare, la giurisprudenza ha da sempre ritenuto che la responsabilità da custodia trova la sua ratio non in una condotta bensì nella mera relazione intercorrente tra il custode e la cosa (Cass. 20 luglio 2002 n. 10641): trattasi, dunque, di una fattispecie di responsabilità oggettiva che prescinde dall'accertamento della colpa in capo al custode, il quale potrà andare esente da qualsivoglia addebito solo nel caso in cui riesca a provare il caso fortuito (Cass. 1° febbraio 2018 n. 2477).
Fatta tale premessa (e qui veniamo alla più specifica questione posta dal lettore), occorre tuttavia evidenziare che - ai fini dell'applicazione dell'art. 2051 c.c. - il custode non deve necessariamente coincidere con il proprietario, ma dev'essere identificato con colui che dispone materialmente del bene ed esercita su di esso un potere di fatto (Cass. 19 gennaio 2018 n. 1257): pertanto, sebbene l'art. 14 comma 1 del codice della strada ponga espressamente in capo agli enti proprietari l'obbligo di provvedere alla manutenzione delle strade e delle relative pertinenze, non è escluso che di eventuali danni a terzi possa essere chiamato a rispondere anche un soggetto diverso.
In definitiva, nel caso sottoposto al nostro esame, occorre comprendere se ed in che termini l'impresa appaltatrice del servizio di manutenzione possa ritenersi investita di un potere effettivo sulla cosa che ha determinato il danno. Ebbene, almeno in linea di principio, dovremmo ritenere che, in forza del contratto stipulato con l'ente proprietario, l'impresa appaltatrice sia unicamente tenuta ad eseguire gli interventi manutentivi che si rendano di volta in volta necessari vuoi a causa dell'usura della strada e delle relative pertinenze vuoi a causa di eventuali illeciti occasionati dalla circolazione.
In altri termini, guardando all'oggetto “tipico” del contratto di affidamento del servizio di manutenzione delle strade e delle relative pertinenze (per come declinato nei più comuni capitolati di appalto), l'ente proprietario non trasferisce giammai all'impresa appaltatrice un potere di effettiva custodia del bene. Né pare che una simile conclusione possa risultare contraddetta dall'inserzione (anch'essa frequente) all'interno del capitolato di appalto di una specifica previsione contrattuale – quale appunto quella opposta al nostro lettore – secondo cui l'impresa manutentrice assume la responsabilità “diretta” per i danni patiti dai terzi: simili previsioni contrattuali si risolvono, infatti, in mere clausole di stile, volte unicamente a rimarcare, nell'ambito del rapporto contrattuale tra ente proprietario e impresa appaltatrice, che quest'ultima è tenuta a sopportare i costi eventualmente sostenuti dall'amministrazione per risarcire i danni patiti dai terzi a causa di una cattiva manutenzione della strada o delle sue pertinenze.
Ovviamente, per fornire una più puntuale risposta al quesito posto dal nostro lettore occorrerebbe analizzare il testo complessivo del contratto di appalto richiamato dal Comune: d'altro canto, ove solo si considerino le caratteristiche del bene da manutenere, potrebbe ragionevolmente escludersi che un mero titolo contrattuale possa determinare il trasferimento di un potere effettivo sulla cosa (trattasi, di norma, di contratti aventi ad oggetto la manutenzione di reti stradali estese su tutto il territorio di competenza dell'ente proprietario).
Del resto, non è certo un caso che il codice della strada abbia espressamente previsto una specifica ipotesi in cui un soggetto privato viene investito dei medesimi obblighi gravanti sull'ente proprietario della strada: ci riferiamo al concessionario (art. 14 comma 3 codice della strada) e, cioè, al soggetto che in forza di un vero e proprio provvedimento amministrativo (e non di un mero contratto) entra nella piena disponibilità del bene demaniale ed acquisce altresì il diritto allo sfruttamento economico dello stesso, così esponendosi all'eventualità di dover rispondere in proprio dei danni patiti dai terzi e ciò in forza del principio "cuius commoda, eius et incommoda", secondo cui chi utilizza la cosa nel proprio interesse è tenuto anche a sopportarne i rischi (Cass. 12 maggio 2017, n. 11785).
Ci par, dunque, di poter affermare che l'affidamento delle attività di manutenzione non possa giammai determinare un'effettiva investitura dell'appaltatore quale custode della strada, atteso che quest'ultimo si limita a svolgere in favore dell'ente proprietario un servizio che l'amministrazione è tenuta a garantire per legge e che ben potrebbe essere gestito dal medesimo ente proprietario con una propria organizzazione di mezzi e di personale.
Al limite, la clausola contrattuale secondo cui l'impresa appaltatrice ha assunto una responsabilità “diretta” potrebbe essere interpretata alla stregua di una disposizione a favore del terzo, che dunque, oltre ad agire nei confronti dell'ente proprietario ai sensi dell'art. 2051 c.c., potrebbe altresì richiedere il risarcimento direttamente all'impresa appaltatrice e ciò a sensi dell'art. 1372 comma 2 c.c.: “il contratto non produce effetto rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge” (e tra questi, appunto, il contratto a favore di terzo ex art. 1411 c.c.). In altri termini, la pattuizione contrattuale opposta dal Comune al nostro lettore, lungi dal determinare il subentro dell'impresa appaltatrice nella posizione dell'ente proprietario, potrebbe avere addirittura l'effetto di allargare la platea dei legittimati passivi rispetto all'iniziativa del danneggiato (oltretutto, nulla esclude che – prima ancora di adire le vie legali – il nostro lettore possa comunque prendere contatti con l'impresa appaltatrice per definire direttamente con quest'ultima la controversia in via stragiudiziale).
Andando a concludere (e lasciando in disparte tale ultima suggestione interpretativa circa la legittimazione passiva dell'impresa appaltatrice), il nostro lettore ben potrà agire nei confronti dell'ente proprietario, il quale – una volta convenuto in giudizio – potrebbe a sua volta chiamare in causa l'appaltatore per farsi manlevare da un'eventuale condanna.
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