L'inadempimento reciproco

Maria Domenica Marchese
10 Novembre 2021

Le ricadute processuali della risoluzione contrattuale possono presentare numerosi aspetti problematici. In particolare, nell'ipotesi di inadempimento reciproco delle parti vi è una disomogeneità delle soluzioni proposte in sede applicativa ed interpretativa che si spiegano principalmente per l'assenza di un dato normativo.
Introduzione

Le ricadute processuali della risoluzione contrattuale possono presentare numerosi aspetti problematici.

In particolare, nell'ipotesi di inadempimento reciproco delle parti vi è una disomogeneità delle soluzioni proposte in sede applicativa ed interpretativa che si spiegano, principalmente per l'assenza di un dato normativo.

L'attuale impianto normativo è informato alla sola eventualità che vede contrapporsi la parte fedele a quella inadempiente e, ciononostante, le ipotesi di inadempimento reciproco sono numerose dal punto di vista applicativo.

Per inadempimento reciproco si suole riferirsi a quelle fattispecie in cui, nell'ambito di contratti a prestazioni corrispettive, una parte, nei cui confronti sia stata proposta una domanda di risoluzione, sostenga l'inadempimento della parte attrice, ovvero il ritardo nell'adempimento o il fatto che l'adempimento ottenuto non sia conforme alla regola negoziale.

Sul piano processuale, tale contegno difensivo può tradursi nella proposizione di un'eccezione di inadempimento o anche di una domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto per inadempimento della parte attrice o nella scelta di recedere dal contratto ai sensi dell'art. 1385 c.c. atteggiandosi così il recesso ad uno strumento attraverso cui reagire alla domanda della controparte e farne emergere l'inadempimento.

L'ipotesi senz'altro più frequente è quella dell'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. in risposta alla domanda di risoluzione avanzata dal contraente adempiente.

L'eccezione di inadempimento, a differenza dell'azione di risoluzione non è funzionale allo scioglimento del contratto ma mira ad una sospensione della prestazione ed ha lo scopo di stimolare l'altra parte all'adempimento della propria.

Il convenuto mira così a «giustificare» il proprio contegno contrattuale realizzando così una sorta di temporanea quiescienza della propria prestazione (sulla funzione meramente sospensiva dell'eccezione di inadempimento, Cass. civ., n. 8760/2019).

Il parametro di valutazione dell'inadempimento «giustificato» si rinviene nello stesso art. 1460 c.c. perché il secondo comma detta una fondamentale regola esegetica, quella per cui il rifiuto non può paralizzare l'adempimento quando, avuto riguardo alle circostanze, è contrario a buona fede. La buona fede pertanto, nell'ipotesi di eccezione di inadempimento, governa il giudizio di proporzionalità, il bilanciamento tra l'inadempimento e l'eccezione (in giurisprudenza tale principio è declinato nel senso di ritenere che la facoltà del debitore di rifiutare la propria prestazione è subordinata alla gravità dell'inadempimento altrui. Così, ex plurimis, Cass. civ., n. 11783/2017).

Nonostante la diversità della valutazione della gravità dell'inadempimento rispetto al giudizio di proporzionalità che presidia l'eccezione di inadempimento, molto spesso i piani della valutazione della gravità dell'inadempimento e della valutazione ponderale si confondono. Accade quando l'eccezione di inadempimento si atteggia alla stregua di diritto potestativo allo scioglimento del contratto, una sorta di potere di rifiutare l'adempimento che si spinge sino ad un potere scioglimento del contratto, quale diritto potestativo allo scioglimento così esorbitando dalla fisiologia dell'art. 1460 c.c. preordinata invece, come detto, alla conservazione del vincolo negoziale (si parla in tal caso di eccezione di inadempimento cripto risolutoria, eccezione che non ha fondamento normativo e viene ricostruita quale difesa diversa sia dall'eccezione di inadempimento che dalla domanda riconvenzionale di risoluzione, così Benedetti).

La valutazione comparativa dei reciproci inadempimenti e i singoli criteri

La giurisprudenza in tema di inadempimenti reciproci, nella valutazione comparativa dei contegni contrattuali patologici ed al fine di individuare quale inadempimento abbia portata risolutoria, recupera il principio di proporzionalità che presidia anche l'interpretazione dell'art. 1460 c.c. nonché la buona fede oggettiva.

E proprio il canone della buona fede orienta l'utilizzo dei criteri ermeneutici più comunemente usati dagli interpreti per bilanciare i contrapposti inadempimenti: quello cronologico, quello eziologico e quello ponderale «(…) il faro del porto in questo articolato scrutinio è rappresentato da un criterio inespresso, il canone della buona fede contrattuale che in questo scenario assume valore di indice di emergenza degli opposti interessi, fungendo da metro di misura e costante corrispettivo di un giudizio che, per la sua estrema eterogeneità e complessità, espone l'interprete al rischio concreto di ritrovarsi in un vicolo cieco. Le direttrici richiamate, infatti, potrebbero ridursi ad equazioni altisonanti puramente enunciative ove non riflesse nell'ottica del principio generale di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto. L'architrave del giudizio di comparazione in tema di inadempimento reciproco risiede, quindi, nella clausola generale della correttezza cui, tuttavia, non deve assegnarsi la mera funzione di semplice metro di valutazione delle condotte, potendo essa stessa assumere la veste di fonte autonoma di obblighi di prestazione che affiancano, a volte con una portata ancora più travolgente, le stesse condotte negoziate per volontà delle parti» Della Chiesa).

Quanto all'iniziativa in ordine alla valutazione comparativa, la giurisprudenza si è espressa nel senso della necessità di un'iniziativa di parte (l'indagine del giudice deve essere sollecitata dalla domanda riconvenzionale del convenuto o dall'eccezione di inadempimento da questi proposta, non può essere rilevata d'ufficio dal giudice, così Cass. civ., n. 8344/1990).

Prima di una disamina dei singoli criteri che informano la valutazione comparativa tra i reciproci adempimenti, va rilevato come vi sia uniformità di opinione in ordine al fatto che a valutazione comparativa dell'efficienza risolutiva degli inadempimenti reciproci va svolta avendo riguardo alla finalità complessiva del contratto nonché all'effettiva gravità ed efficienza causale di ciascuno degli inadempimenti reciproci, che non vanno quindi esaminati atomisticamente ma unitariamente (sulla necessità di una valutazione globale e non atomistica, Cass. civ., n.22346/2014. Più recentemente, Cass. civ., n. 13827/2019 secondo cui «nei contratti con prestazioni corrispettive, ai fini della pronuncia di risoluzione per inadempimento in caso di inadempienze reciproche deve procedersi ad un esame del comportamento complessivo delle parti, al fine di stabilire quale di esse, in relazione ai rispettivi interessi e all'oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti e causa del comportamento della controparte e della conseguente alterazione del sinallagma contrattuale, con la conseguenza che, qualora l'inadempimento di una delle parti sia valutato come prevalente deve considerarsi legittimo il rifiuto dell'altra di adempiere alla propria obbligazione e alla risoluzione del contratto deve seguire l'esame dell'eventuale richiesta di risarcimento del danno della parte non inadempiente». In termini anche Cass. civ., n. 12549/2019, n. 13627/2017, n. 18320/2015, n. 16637/2013).

Come detto, sono essenzialmente tre i criteri enucleati in sede interpretativa per presidiare la valutazione comparativa degli inadempimenti.

Il criterio temporale, a differenza degli altri due, non ha portata determinante esclusiva ai fini del giudizio di risoluzione con ciò volendo intendere il fatto che va sempre apprezzato in relazione agli altri criteri di valutazione i quali, invece, possono anche prescindere dal criterio temporale.

Ciononostante l'anteriorità dell'inadempimento può assumere un peso decisivo nella determinazione del grado di squilibrio provocato da chi si sia reso inadempiente per primo.

In particolare, il criterio cronologico assume rilevanza nell'ipotesi in cui le prestazioni debbano essere eseguite contemporaneamente.

Ci sono ipotesi però in cui il contraente tenuto ad adempiere per primo può sollevare l'eccezione di inadempimento, come quando è probabile o sia venuta meno la possibilità di adempimento da parte del contraente che deve adempiere per secondo, o l'ipotesi in cui al contraente tenuto ad adempiere la propria prestazione per secondo venga notificata la decadenza del beneficio del termine ai sensi dell'art.1186 c.c.

Le varie eventualità che possono perciò scardinare la regola della successione cronologica delle prestazioni hanno condotto a ritenere il criterio cronologico non applicabile in via esclusiva dovendo essere sempre parametrato anche al criterio eziologico ed a quello ponderale che invece, come detto, possono avere rilevanza esclusiva nell'indagine volta ad identificare l'inadempimento determinante la risoluzione.

In base al criterio eziologico assume rilevanza risolutoria l'inadempimento che abbia provocato l'inadempimento della controparte. Tale criterio induce a riguardare i reciproci inadempimenti nel loro rapporto di connessione eziologica al fine di individuare quale degli inadempimenti che le parti reciprocamente si denunciano abbia causato, provocato l'altro.

Il criterio ponderale tende, infine, a misurare la gravità dell'inadempimento avendo riguardo alla funzione economico sociale del contratto. Si tratta di un criterio relazionale in quanto pone in relazione i reciproci inadempimenti con i reciproci interessi perseguiti dalle parti attraverso il contratto della cui risoluzione si controverte. Attesa la concatenazione causale tra gli inadempimenti, il criterio ponderale consente di verificare se vi sia un rapporto di proporzionalità tra di essi, se l'inadempimento successivo sia proporzionato rispetto all'inadempimento che si denuncia abbia efficacia risolutoria.

Ad ogni modo, la proporzionalità dell'inadempimento va valutata non avendo riguardo all'entità dei danni conseguenti all'inadempimento ma, piuttosto, «alla rilevanza delle rispettive violazioni del contratto, con riferimento alla volontà manifestata dei contraenti, alla natura ed alla finalità del rapporto, nonché, da ultimo, al concreto interesse dell'altra parte all'esatta esecuzione della prestazione» (Della Chiesa, cit. In giurisprudenza, il criterio della proporzionalità è costantemente ribadito, cfr. Cass. civ., n. 16198/2019 secondo cui «in tema di locazione di immobili, il conduttore può sollevare l'eccezione di inadempimento ai sensi dell'art. 1460 c.c. non solo quando venga completamente a mancare la prestazione della controparte, ma anche nel caso in cui dall'inesatto adempimento del locatore derivi una riduzione del godimento del bene locato, purché la sospensione, totale o parziale, del pagamento del canone risulti giustificata dall'oggettiva proporzione dei rispettivi inadempimenti, riguardata con riferimento al complessivo equilibrio sinallagmatico del contratto e all'obbligo di comportarsi secondo buona fede»).

Talvolta lo stesso regolamento contrattuale consegna indici interpretativi ai fini della valutazione in oggetto (si pensi alla previsione di una clausola risolutiva espressa di cui non si siano avvalsi, che abbia così tipizzato la gravità di una determinata condotta).

Le ricadute della valutazione comparativa: la fondatezza delle reciproche domande di risoluzione

La predetta valutazione ponderale dei reciproci inadempimenti può consegnare esiti molto diversi tra loro come la fondatezza di entrambe le domande di risoluzione o, piuttosto, la loro reciproca infondatezza. Le ricadute processuali sono lungi dall'aver trovato un approdo interpretativo unitario ed omogeneo.

Quanto all'ipotesi in cui entrambi gli inadempimenti risultino gravi la giurisprudenza di merito propende per la risoluzione del contratto senza il risarcimento del danno attesa l'equivalenza degli inadempimenti.

La Corte di legittimità tende invece a rifuggire tale soluzione attesa la necessità di imputare la risoluzione ad una delle parti dovendosi, in mancanza, rigettare entrambe le domande di risoluzione (sul punto, Cass. civ., n. 18327/2019 e Cass. civ., n. 13840/2010 «nei contratti con prestazioni corrispettive, ai fini della pronuncia di risoluzione per inadempimento in caso di inadempienze reciproche, il giudice di merito è tenuto a formulare un giudizio - incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato - di comparazione in merito al comportamento complessivo delle parti, al fine di stabilire quale di esse, in relazione ai rispettivi interessi ed all'oggettiva entità degli inadempimenti (tenuto conto non solo dell'elemento cronologico, ma anche e soprattutto degli apporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute e della incidenza di queste sulla funzione economico-sociale del contratto), si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti e causa del comportamento della controparte e della conseguente alterazione del sinallagma contrattuale. In difetto di prova sulla causa effettiva e determinante della risoluzione, il giudice non potrà dichiarare risolto il vincolo contrattuale per inadempienze equivalenti delle parti, ma dovrà limitarsi al rigetto di entrambe le domande per l'insussistenza dei fatti giustificativi posti a sostegno di esse. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva dichiarato risolto per inadempienze reciproche, reputate equivalenti, il contratto di locazione di un bar, con annesso laboratorio di pasticceria, rispetto al quale, nello svolgimento del relativo rapporto, il conduttore lamentava l'inidoneità dei locali e delle macchine all'uso pattuito ed il locatore la morosità nel pagamento dei canoni, chiedendo entrambe le parti la risoluzione del contratto medesimo)» e, più recentemente, Cass. civ., n. 18320/2015).

Come sottolineato dalla dottrina, tale opzione, partendo dal presupposto secondo cui la risoluzione postula l'identificazione del contraente che abbia dato causa allo scioglimento del contratto, assegna alla risoluzione una funzione sanzionatoria propria della teoria soggettivistica dell'inadempimento imputabile (Cass. civ., n. 16291/2002) (così Della Casa).

L'infondatezza delle reciproche domande di risoluzione: la tesi dello scioglimento del contratto per mutuo consenso o mutuo dissenso

La prospettiva speculare a quella fin qui esaminata, è l'ipotesi di domande di risoluzione entrambe infondate (si pensi al caso di domande di risoluzione proposte prematuramente o a fronte di un inadempimento non grave).

Tale eventualità impone di chiedersi quale sia il potere di indagine del giudice, se debba limitarsi ad un mero rigetto o se possa spingersi sino allo scioglimento del contratto, e su quale presupposto.

Il panorama interpretativo, ancora una volta, è tutt'altro che omogeneo.

Secondo una prima soluzione esegetica, il contratto, a fronte di domande di risoluzione infondate, dovrebbe comunque ritenersi sciolto per mutuo consenso delle parti, la risoluzione del contratto discenderebbe perciò da un accordo risolutorio essendo le reciproche domande di risoluzione sintomatiche della volontà dei contraenti di sciogliere il vincolo negoziale.

A sostegno di tale soluzione si rintraccia un argomento nella previsione di cui all'art. 1453, comma 2, c.c. che sancisce un effetto preclusivo della domanda di risoluzione rispetto all'adempimento. Ne discende, secondo l'opzione in commento, che la proposizione di reciproche domande di risoluzione, precludendo la domanda dell'adempimento, è, ancora una volta, sintomatica della volontà negoziale di scioglimento del contratto.

A fronte di opposte domande di risoluzione, il giudice potrebbe trarre da esse la comune intenzione delle parti di scioglimento del contratto per mutuo consenso ai sensi dell'art. 1372, comma 1, c.c.

La tesi ha subito un'evoluzione negli ultimi anni in quanto è sempre crescente e costante ormai il riferimento non già ad uno scioglimento per mutuo consenso ma, piuttosto, per mutuo dissenso (cfr. Cass. civ., n. 26907/2014. Sull'esplicita esclusione di un accordo risolutorio per mutuo consenso, da ultimo Cass. civ., n. 19706/2020).

In particolare, si argomenta, pur non potendosi configurare un mutuo consenso in mancanza di un accordo tra le parti volto allo scioglimento del precedente contratto, il giudice non potrebbe che prendere atto dello scioglimento del contratto per mutuo dissenso in quanto «dagli atti e dal comportamento processuale delle parti emerge la volontà di ciascuna di esse che ne attesta la contrarietà (ciascuna per i suoi motivi e le sue valutazioni) a mantenere in vita il rapporto contrattuale (….) pur non essendo d'accordo su nulla ed anche su questo punto, ed anzi proprio in ragione della loro incapacità di trovarsi in accordo, avendo assunto delle posizioni incompatibili con la prosecuzione del rapporto contrattuale» (così Cass. civ., n. 26907/2014).

La soluzione in commento, ad ogni modo, al di là dell'evoluzione riferita, presta il fianco a numerose obiezioni.

Un delle principali obiezioni alla tesi in commento è quella per cui si pone in contrasto con il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato di cui all'art.112 c.p.c. in quanto la pronuncia di scioglimento del contratto per mutuo dissenso si traduce in una regolazione del rapporto contrattuale difforme da quella perseguita dalle parti (ex plurimis, Cass. civ., n. 4493/2014 «in tema di risoluzione del contratto, incorre in ultrapetizione il giudice che, a fronte di una domanda di risoluzione per inadempimento, pronunci la risoluzione consensuale», Cass. civ., n. 2984/2016 «il giudice adito con contrapposte domande di risoluzione per inadempimento del medesimo contratto, può accogliere l'una e rigettare l'altra, ma non anche respingere entrambe e dichiarare l'intervenuta risoluzione consensuale del rapporto, implicando ciò una violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, mediante una regolamentazione del rapporto stesso difforme da quella perseguita dalle parti», ed anche Cass. civ., n. 14314/2018).

In risposta a tale critica si è tuttavia sottolineato che la violazione dell'art. 112 c.p.c. sarebbe invece esclusa intravedendosi nelle domande reciproche di risoluzione la volontà di rinunciare all'adempimento e tenuto conto del fatto che, pertanto, lo scioglimento del contratto non sarebbe altro che l'accoglimento di una domanda implicita nelle domande di risoluzione (in giurisprudenza, in termini Cass. civ., n. 6675/2018 secondo cui «non sussiste violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato allorché il giudice, qualificando giuridicamente in modo diverso rispetto alla prospettazione della parte i fatti da questa posti a fondamento della domanda, le attribuisca un bene della vita omogeneo, ma ridimensionato, rispetto a quello richiesto, sicché, proposte reciproche domande di risoluzione per inadempimento contrattuale, non pronunzia "ultra petita" il giudice che dichiari risolto il contratto per impossibilità sopravvenuta di esecuzione derivante dalle scelte risolutorie di entrambe le parti ex art. 1453, comma 2, c.c., ancorché le due contrapposte manifestazioni di volontà non configurino un mutuo consenso negoziale risolutorio»).

La dottrina propende invece per il rigetto di entrambe le domande di risoluzione (così Cerri). Il mutuo dissenso infatti non è un elemento oggettivamente estintivo, necessita di un'espressa eccezione di parte e non è pertanto rilevabile d'ufficio (in termini anche Cristiano).

Ancora, si è detto ed è noto che, proposta la domanda di risoluzione è preclusa quella di adempimento, art. 1453, comma 2, c.c. Tale preclusione, tuttavia, non è assoluta in quanto la richiesta di adempimento della prestazione può essere formulata quando la domanda di risoluzione venga rigettata o dichiarata inammissibile. D'altra parte, la giurisprudenza ha costantemente ammesso la possibilità di proporre la domanda di adempimento dopo il rigetto della domanda di risoluzione quando le due domande siano proposte nello stesso giudizio in via subordinata e quando non vi sia un interesse attuale dell'istante alla risoluzione, interesse che viene meno nell'ipotesi, appunto, di rigetto della domanda di risoluzione (sul punto Cass. civ., n. 20899/2013 «il divieto, sancito dall'art. 1453, comma 2, c.c., di richiedere l'adempimento del contratto quando sia stata domandata la risoluzione dello stesso non preclude anche la possibilità di formulare la richiesta in questione in via meramente subordinata rispetto all'altra»).

La tesi dell'impossibilità dell'esecuzione della prestazione

Un'altra impostazione prende le mosse invece dell'art. 1453, comma 2, c.c. per statuire che, non integrato per alcune delle domande di risoluzione il presupposto del grave inadempimento, il giudice dovrebbe dare atto dell'impossibilità dell'esecuzione del contratto conseguente alla manifestazione della volontà da parte dei contraenti di non eseguire le rispettive obbligazioni trovando così applicazione l'art. 1458 c.c. (in termini Cass. civ., n. 10389/2015 secondo cui «il giudice che, in presenza di reciproche domande di risoluzione fondate da ciascuna parte sugli inadempimenti dell'altra, accerti l'inesistenza di singoli specifici addebiti, non potendo pronunciare la risoluzione per colpa di taluna di esse, deve dare atto dell'impossibilità dell'esecuzione del contratto per effetto della scelta, ex art. 1453, comma 2, c.c., di entrambi i contraenti e decidere di conseguenza quanto agli effetti risolutori di cui all'art. 1458 dello stesso codice» ed anche Cass. civ., n. 6675/2018).

La tesi sostanzialmente mutua il concetto dell'impossibilità dell'esecuzione della prestazione per sottolineare la definitività della scelta delle parti per il rimedio risolutorio.

Ma anche tale tesi si rivela non esente da critiche non convincendo il richiamo all'art. 1458 c.c. in quanto, il mutuo dissenso produce effetti ex nunc mentre l'art. 1458 c.c. determina la risoluzione con efficacia retroattiva del contratto.

Il rigetto di entrambe le domande di risoluzione

Per i limiti fin qui evidenziati quanto alle altre ricostruzioni, l'approccio che appare più condivisibile è quello per cui, laddove entrambe le domande di risoluzione non raggiungono la soglia dell'art. 1455 c.c., difetta il presupposto della risoluzione per inadempimento.

In questi termini si è pronunciata la Cassazione a Sezioni Unite nel 1983 (n. 429) cui si sono uniformate anche pronunce recenti secondo cui «il giudice adito con contrapposte domande di risoluzione per inadempimento del medesimo contratto, può accogliere l'una e rigettare l'altra, ma non anche respingere entrambe e dichiarare l'intervenuta risoluzione consensuale del rapporto, implicando ciò una violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, mediante una regolamentazione del rapporto stesso difforme da quella perse», n. 14314/2018. Così anche Cass. civ., n. 13840/2010).

Nelle argomentazioni dell'orientamento in commento infatti si pone l'accento sull'insufficienza dell'inadempimento reciproco ai fini della risoluzione essendo invece, sempre necessario, un inadempimento grave (in dottrina, Gallo).

Riferimenti
  • Benedetti, La deriva dell'eccezione di inadempimento: da rimedio sospensivo a rimedio cripto risolutorio?, in Danno e resp., 2003, 66;
  • Cerri, Reciproche domande di risoluzione per inadempimento e mutuo dissenso: electa una via non datur recursus ad alteram, in Corriere giur. 2018, 11, 1378;
  • Cristiano, Mutuo dissenso e domande reciproche di risoluzione per inadempimento, in Contratti, 2010, 790;
  • Della Casa, Quando l'inadempimento è reciproco: il piano dei rimedi e la proiezione dell'interesse positivo, Europa e diritto privato, fasc. 2, giugno 2020, 333;
  • Gabrielli, Risoluzione del contratto per inadempimento, domanda di risoluzione per inadempimento e sfida processuale all'ultimo sangue, in Giur. It., 2018, 1,47;
  • Gallo, Inadempimento reciproco e caparra confirmatoria – inadempimento reciproco e caparra confirmatoria nel prisma della giurisprudenza, in Giur. It., 2017, 315;
  • Iorio, La sorte del contratto di fronte contrapposti domanda di risoluzione per inadempimento, in Contratti, 2015, 6,569.

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