La condanna al rilascio di un immobile (conseguente alla nullità del suo trasferimento) è provvisoriamente esecutiva
02 Dicembre 2021
Massima
L'anticipazione in via provvisoria, ai fini esecutivi, degli effetti discendenti da statuizioni condannatorie contenute in sentenze costitutive, non è consentita, essendo necessario il passaggio in giudicato, nei casi in cui la statuizione condannatoria è legata all'effetto costitutivo da un vero e proprio nesso sinallagmatico (come nel caso di condanna al pagamento del prezzo della compravendita nella sentenza costitutiva del contratto definitivo non concluso) e nei casi in cui essa sia legata da un nesso di corrispettività rispetto alla statuizione costitutiva, potendo la sua immediata esecutività andare ad alterare la parità dei contendenti; è invece consentita quando la statuizione condannatoria è meramente dipendente dall'effetto costitutivo, essendo detta anticipazione compatibile con la produzione dell'effetto costitutivo nel momento temporale successivo del passaggio in giudicato. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito che non aveva ritenuto valido titolo per l'esecuzione provvisoria del "dictum" giudiziale la condanna alla restituzione di un immobile pronunciata contestualmente alla declaratoria di nullità del relativo contratto traslativo). Il caso
La Suprema Corte affronta, con la decisione in commento, una questione di forte rilevanza pratica, rappresentata dal tema della provvisoria esecutività di sentenze di condanna o accertamento, nella parte in cui le stesse contengono anche capi di condanna. Se il tema non è nuovo, essendo da tempo l'attenzione degli interpreti incentrata su una corretta interpretazione dell'art. 282 c.p.c., il cui laconico dispositivo letterale afferma che «la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva tra le parti», nuova è la fattispecie qui esaminata, relativa al valore di titolo esecutivo del capo condannatorio al rilascio di un immobile di cui la statuizione principale abbia accertato la nullità del titolo contrattuale che ne aveva disposto la compravendita. Questa la fattispecie decisa. Il Tribunale di Latina con una prima sentenza aveva dichiarato la nullità del contratto con cui era stata trasferita la proprietà di alcuni immobili da una prima società ad una diversa società immobiliare. Con altra decisione successiva lo stesso Tribunale aveva poi sancito la nullità anche del successivo atto di compravendita con cui la prima acquirente aveva ritrasferito la proprietà degli stessi immobili in favore di un terzo soggetto. Entrambe tali sentenze erano state impugnate, ma la Corte d'appello aveva rigettato la richiesta di inibitoria della provvisoria esecuzione, ex art. 283 c.p.c. Nel frattempo, la prima alienante era fallita e la curatela della società dante causa procedeva all'esecuzione per rilascio degli immobili. La terza acquirente proponeva allora opposizione all'esecuzione, chiedendo altresì che i canoni di locazione di un terreno oggetto della citata compravendita dichiarata nulla – medio tempore percepiti dal curatore nonostante la relativa sentenza dichiarativa non fosse definitiva – venissero invece attribuiti in proprio favore. L'opposizione all'esecuzione per rilascio veniva respinta in primo grado, in quanto il Tribunale riteneva che la sentenza dichiarativa della nullità fosse immediatamente esecutiva nella parte in cui imponeva all'avente causa la restituzione dei beni; rigettava altresì la richiesta della terza acquirente di vedersi rimborsati i canoni di locazione nel frattempo maturati, in quanto anche il suo acquisto era stato ritenuto nullo. In secondo grado, invece, la Corte d'appello di Roma, con sentenza n. 666/2018, ribaltava le sorti del giudizio di opposizione, affermando che non si possono anticipare gli effetti esecutivi della sentenza che dispone il rilascio dei beni prima che passi in giudicato la pronuncia che ha deliberato la nullità dell'atto traslativo delle proprietà oggetto di contesa. La Corte d'appello riteneva infatti che la pronuncia di restituzione degli immobili fosse strettamente legata, da un vincolo sinallagmatico, alla dichiarazione di nullità dell'atto di compravendita degli stessi beni, per cui la prima non poteva avere esecuzione anteriormente al passaggio in giudicato della seconda, essendo la retrocessione degli immobili al Fallimento subordinata al passaggio in giudicato della sentenza che dichiara la nullità della compravendita. Aggiungeva la statuizione di secondo grado che anche i canoni dell'immobile nel frattempo concesso in locazione a terzi dovevano essere pagati all'acquirente, salvo riversarne l'importo alla prima dante causa, ma al passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa della nullità. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per Cassazione il Fallimento soccombente, sulla scorta di due concorrenti motivi. La questione
I due motivi di ricorso, avanzati nei confronti della decisione resa in appello nel giudizio di opposizione all'esecuzione per rilascio, possono essere così sintetizzati: 1. Con il primo motivo veniva dedotta la falsa applicazione dell'art. 282 c.p.c.; secondo la ricorrente, infatti, l'evoluzione giurisprudenziale smentiva gli assunti dei giudici del gravame: partendo da un più antico orientamento restrittivo che non riconosceva alcuna efficacia esecutiva alle statuizioni condannatorie accessorie o consequenziali rispetto ad una pronuncia costitutiva fino al passaggio in giudicato di quella principale, infatti, si era ritenuto – con diverse sfumature - che anche le statuizioni di condanna accessorie rispetto ad una pronuncia principale di accertamento e/o costitutiva potessero avere efficacia immediata; sul punto si citava l'intervento di Cass. civ., sez. un., n. 4059/2010, che in un caso di azione costitutiva ex art. 2932 c.c. aveva ritenuto che «sono immediatamente esecutive soltanto le statuizioni condannatorie meramente dipendenti da una pronuncia costitutiva principale, e non anche quelle legate alla sentenza costitutiva da un vincolo sinallagmatico, non potendo queste essere esecutive prima del passaggio in giudicato della sentenza costitutiva stessa»; 2. Con il secondo motivo di ricorso, invece, si lamentava la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 615 c.p.c., laddove si era statuito il diritto della terza acquirente di continuare a percepire i canoni ritratti da un immobile locato fino al passaggio in giudicato della sentenza che, parimenti, aveva accertato la nullità dell'atto di trasferimento in suo favore, incorrendo oltretutto in un vizio di ultrapetizione. Le soluzioni giuridiche
I giudici di legittimità hanno ritenuto fondato il primo motivo di ricorso e dichiarato l'assorbimento del secondo sulla scorta della seguente motivazione. Secondo il S.C. va infatti data continuità alle statuizioni contenute nella citata Cass. civ., sez. un., n. 4059/2010, in Cass. civ.,n. 2537/2019, nonché nella più recente Cass. civ., n. 12872/2021, dovendosi perciò trarre le seguenti regole, che vale la pena sintetizzare schematicamente al fine di offrirne una lettura più agevole: a) la prima regola è che l'art. 282 c.p.c., laddove afferma che «la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva tra le parti», in realtà plus dixit quam voluít non applicandosi – a ben vedere – alle sentenze dichiarative o costitutive (vds. anche SCARPA, Commento sub art. 282 c.p.c., in Codice di procedura civile commentato, Dejure, ove la precisazione che il testo della norma citata è stato modificato dall'art. 33, l. 353/1990, ed è applicabile alle sentenze rese nei giudizi instaurati dopo il 1° gennaio 1993 o pubblicate dopo il 19 aprile 1995); b) la seconda regola è che quando in una stessa sentenza coesistono una statuizione dichiarativa o costitutiva ed una statuizione di condanna, la conclusione in termini di immediata esecutività di quest'ultima non è assoluta, ma deve essere valutata rispetto al tipo di legame/connessione che sussiste fra i due diversi capi della decisione. Più in particolare, il legame che sussiste fra il capo di condanna e la statuizione di accertamento/costitutiva può a sua volta essere distinto secondo quattro diverse situazioni: - sinallagmaticità: si ha quando il capo condannatorio costituisce un elemento costitutivo delle altre statuizioni, per cui la produzione dei relativi effetti giuridici richiede e si pone come contropartita della esecutività/definitività del capo dichiarativo o costitutivo; è il caso della condanna al pagamento del prezzo pronunciata a carico del promissario acquirente e contenuta in una sentenza di condanna all'esecuzione specifica dell'obbligo di contrattare, ex art. 2932 c.c. (Cass. civ., sez. un., 22 febbraio 2010, n. 4059); - corrispettività: si può parlare di corrispettività quando il capo condannatorio, una volta messo provvisoriamente in esecuzione separatamente dalle altre statuizioni contenute nella sentenza, costringerebbe una delle parti a patire gli effetti sfavorevoli della decisione, senza poter godere dei benefici che da essa derivano; si può fare l'esempio della condanna al pagamento di un conguaglio in denaro pronunciata a carico di uno dei condividenti e contenuta nella sentenza dichiarativa dello scioglimento della comunione (cfr. Cass. 30/01/2019, n. 2537); - dipendenza: si può parlare in questi termini quando il capo condannatorio è la conseguenza necessaria del capo dichiarativo o costitutivo, così come è stato ad esempio ritenuto nei casi di condanna conseguente all'accoglimento di un'azione revocatoria (cfr. Cass. 08/11/2018, n. 28508 nell'ipotesi di condanna al rilascio di un immobile richiesta dall'assuntore di un concordato fallimentare nel quale il curatore aveva esercitato l'azione revocatoria di una vendita immobiliare, nonché Cass. 29/07/2011, n. 16737 rispetto alla condanna della banca alla restituzione di un pagamento dichiarato inefficacie a seguito dell'azione revocatoria fallimentare ex art. 67 co. 2 l.f.); - accessorietà: si può parlare di accessorietà secondo i giudici di legittimità quando il capo condannatorio non incide in alcun modo sul presupposto sul quale si innesta la pronuncia dichiarativa o costitutiva, così come nel caso del capo di condanna alle spese del giudizio (cfr. Cass. 10/11/2004, n. 21367). Posta tale quadripartizione e rilevato che di provvisoria esecuzione del capo condannatorio prima del passaggio in giudicato della sentenza può parlarsi soltanto laddove lo stesso sia collegato alla statuizione dichiarativa o costitutiva da un rapporto di semplice dipendenza o accessorietà, la Corte affronta la questione in decisione affermando che la statuizione di rilascio dell'immobile in favore dell'originario venditore, nel caso in cui sia dichiarata la nullità della vendita, deve ritenersi legata alla statuizione di nullità dell'atto traslativo a monte da un mero nesso di dipendenza, dovendosene pertanto ammettere una esecutività immediata, anche prima del passaggio in giudicato della sentenza integrale. Secondo la S.C., in modo del tutto condivisibile, si può ritenere che essendo venuto meno il titolo che ha trasferito la proprietà del bene, l'obbligo di restituire l'immobile al soggetto che, in ragione della nullità del contratto traslativo non ne ha mai perso la proprietà, sia immediatamente operativo. Né in contrario può ritenersi che tale conclusione sia destinata a mutare solo perché una eventuale diversa e definitiva pronuncia dichiarativa o costitutiva, travolgendo anche il capo condannatorio, farebbe sorgere un diritto ad esercitare un'azione recuperatoria del bene medio tempore restituito, posto che anche in tal caso può parlarsi di semplice dipendenza, non concorrendo la statuizione di condanna a determinare un nuovo assetto di interessi consequenziale alla definitività della statuizione costitutiva che, correlativamente, non potrebbe prodursi prima della stabilità di questa. Una volta riformata la decisione impugnata in accoglimento del primo motivo di ricorso, il S.C. conclude affermando l'assorbimento del secondo motivo di doglianza – evidentemente ritenendo che simile immediata esecutività produca riflessi diretti anche sul diritto alla percezione dei canoni dell'immobile da restituire – posto che «essendo stato l'immobile oggetto della vendita dichiarata nulla locato a terzi dall'acquirente, l'obbligo del conduttore di pagare i canoni rimane intatto, dovendo essere nuovamente individuato il legittimo destinatario del pagamento». Alla cassazione della sentenza impugnata segue, pertanto, il rinvio della decisione alla Corte d'appello in diversa composizione, per la definitiva statuizione di merito nel rispetto del principio di diritto enunciato, nonché per la regolazione delle spese di lite. Osservazioni
La soluzione accolta dal provvedimento annotato risulta pienamente condivisibile, ad avviso dello scrivente, ponendosi in continuità e sviluppando ulteriormente un orientamento del S.C. ormai consolidato. Da tempo, infatti, pur a fronte di azioni di natura costitutiva o di puro accertamento, la prevalente giurisprudenza è giunta a rivedere il dogma iniziale in forza del quale la relativa sentenza avrebbe assunto il valore di titolo esecutivo unicamente a seguito del passaggio in giudicato, tutte le volte in cui sia possibile scindere la decisione in capi diversi, taluno dei quali avente il contenuto di condanna. Più specificamente tale indirizzo distingue fra statuizioni di condanna che si pongono in rapporto di corrispettività con la modifica costitutiva del rapporto giuridico, da quelle meramente dipendenti rispetto all'accertamento o alla modifica costitutiva dei diritti in contesa. Soltanto nel primo caso, quindi, il passaggio in giudicato finisce per condizionare l'immediata esecutività del capo condannatorio, mentre nel secondo la relazione di semplice dipendenza consente l'immediata applicazione dell'art. 282 c.p.c., secondo cui «la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva fra le parti». E'evidente, inoltre, che tale indirizzo persegue meritoriamente una finalità complessivamente deflattiva ed ispirata alla regola della ragionevole durata del processo, mirando a scongiurare possibili impugnazioni che, seppur infondate, abbiano l'unico fine di impedire il passaggio in giudicato della sentenza gravata. Il tema si è posto storicamente, con notevole importanza, nel caso dell'azione revocatoria, in particolare fallimentare, relativa a pagamenti contrari al rispetto della par condicio, laddove la statuizione di revoca è pressochè sempre accompagnata da un capo di condanna relativo alla restituzione alla curatela della somma percepita dall'accipiens. A tal riguardo, Cass. civ., sez. I, 29 luglio 2011, n. 16737, ha affermato che «non vi è una preclusione normativa afferente alla provvisoria esecutività di ogni sentenza costitutiva ma occorre verificare caso per caso, a seconda del tipo di rapporto tra l'effetto condannatorio da anticipare e l'effetto costitutivo producibile solo con il giudicato. Qualora la anticipazione degli effetti esecutivi si mostri compatibile con la produzione dell'effetto costitutivo in un momento temporale successivo - come nel caso di condanna alla restituzione di rimesse oggetto di azione revocatoria fallimentare - non sussistendo tra i due effetti un rapporto sinallagmatico inscindibile, non sussiste alcuna preclusione alla formazione del titolo esecutivo indipendentemente dalla cosa giudicata sull'esistenza del diritto». In motivazione la stessa decisione, rifacendosi a livello teorico al precedente S.U. n. 4059/2010 (di cui infra), ha ulteriormente precisato che tale anticipazione, ai fini esecutivi, degli effetti della sentenza di accoglimento dell'azione revocatoria «non appare inconciliabile con la disciplina del fallimento, che al contrario consente un efficace contemperamento, pur nei limiti della concorsualità, delle rispettive esigenze di tutela sia del credito restitutorio della massa verso l'accipiens, sia del credito di quest'ultimo verso il fallito, estinto dall'atto dichiarato inefficace nei confronti della massa. Sotto il primo profilo, le somme che l'accipiens restituisca alla curatela in ottemperanza, spontanea o coatta, alla sentenza di primo grado non ancora passata in giudicato non sono distribuibili (dovendo essere trattenute e depositate nei modi stabiliti dal g.d.), atteso il disposto dell'art. 113, u.c., l.f. introdotto dal d.lgs. 5/2006, che ha reso cogente una regola di condotta invero già praticata dagli uffici fallimentari. Sotto il secondo profilo, sia l'art. 71 l.f., (abrogato dal d.lgs. 5/2006) sia l'art. 70, commi 2 e 3, l.f. (nel testo introdotto dal d.l. 35/2005, convertito in l. 80/2005), nel prevedere, una volta che l'accipiens abbia restituito alla massa le somme ricevute, l'ammissione al passivo del suo credito inefficacemente estinto dall'atto revocato (o comunque del credito d'importo corrispondente a quanto restituito), non contengono alcun riferimento alla condizione che tale restituzione sia avvenuta in forza di sentenza definitiva, il che costituisce ulteriore conferma della insussistenza, nel sistema normativo, di una preclusione all'anticipata esecuzione della condanna restitutoria rispetto alla irretrattabilità, inerente al giudicato, della statuizione costitutiva» (in motivazione si è poi precisato che tale ammissione al passivo deve essere disposta con riserva rispetto alla definizione del giudizio di revocatoria pendente). Da notare che la più recente Cass. civ., sez. III, 8 novembre 2018, n. 28508, richiamata anche dalla decisione annotata, ha applicato simile principio al capo relativo alla condanna alla restituzione di un immobile il cui trasferimento era stato oggetto dell'accoglimento di una richiesta di revocatoria fallimentare. Altro tema di elezione della verifica in concreto della natura esecutiva o meno delle statuizioni accessorie di condanna è quello relativo alla sentenza costitutiva che tiene luogo del contratto non concluso dalle parti, ex art. 2932 c.c. Sul punto, Cass. civ., sez. un., 22 febbraio 2010 n. 4059, più volte citata anche dalla decisione qui annotata, ha affermato che la possibilità di anticipare l'esecuzione delle statuizioni condannatorie contenute nella sentenza costitutiva va riconosciuta, in concreto, di volta in volta a seconda del tipo di rapporto tra l'effetto accessivo condannatorio da anticipare e l'effetto costitutivo producibile solo con il giudicato. In altri termini, l'adeguamento della realtà sostanziale non può ritenersi precluso in generale (vale a dire in relazione al tipo di sentenza costitutiva) dalla circostanza che l'effetto costitutivo non si è ancora prodotto, dovendosi piuttosto distinguere i casi nei quali le statuizioni condannatorie sono meramente dipendenti da quell'effetto dai casi nei quali invece la statuizione condannatoria è legata all'effetto costitutivo da un vero e proprio nesso sinallagmatico, ponendosi come parte — talvolta « ;corrispettiva ;» — del nuovo rapporto oggetto della domanda costitutiva. In questi ultimi casi — tra i quali va compresa la condanna al pagamento del prezzo della compravendita contenuta nella sentenza sostitutiva del contratto definitivo non concluso — il rapporto di stretta sinallagmaticità che lega il pagamento del prezzo al trasferimento del diritto che si realizza solo con il giudicato (rapporto che non consentirebbe al venditore di percepire il prezzo prima del trasferimento della proprietà) impedisce di attribuire la provvisoria esecutività al capo di condanna. Tale orientamento – che supera un indirizzo più liberale volto a riconoscere l'immediata esecutività ai capi di condanna tout court (ad es. Cass. civ., 3 settembre 2007 n. 18512) – è stato in seguito ribadito anche da Cass. sez. I, 29 luglio 2011, n. 16737, Cass. civ., sez. II, 3 maggio 2016, n. 8693 e Cass. sez. III, 12 giugno 2015, n. 12236. E'stata invece ritenuta diversa dall'ipotesi dell'azione costitutiva ex art. 2932 c.c. la fattispecie dell'annullamento del decreto di trasferimento immobiliare emesso dal G.E. per aliud pro alio, ritenendosi così immediatamente e provvisoriamente esecutivo il conseguente capo relativo alla condanna alla restituzione del prezzo in favore dell'aggiudicatario (cfr. Cass. civ., sez. III, 25 ottobre 2010, n. 21849, ricordata da CAPPONI, Orientamenti recenti sull'art. 282 c.p.c., in Riv. trim. dir. proc. civ., 2013, pag. 265, il quale ricorda anche alcune ipotesi in cui la S.C. è pervenuta ad ammettere l'esistenza di provvedimenti costitutivi aventi un contenuto di condanna implicita e, come tali, immediatamente esecutivi senza dover attendere il passaggio in giudicato: così Cass. sez. III, 26/01/2005, n. 1619, in tema di sentenza costitutiva di una servitù di passaggio coattivo e Cass. civ., sez. III, 31 gennaio 2012, n. 1367, per il caso della revoca dell'assegnazione della casa familiare). Da ultimo, cfr. Cass. civ., sez. III, 13 maggio 2021, n. 12872, che cogliendo esattamente la distinzione fra capo corrispettivo e capo meramente dipendente della modifica costitutiva del rapporto giuridico ha affermato: «la sentenza di accoglimento della domanda di riduzione della quota di legittima racchiude due statuizioni, l'una, sempre uguale, consistente nell'accertamento della lesione della predetta quota e nella risoluzione, con effetto costitutivo limitato alle parti, delle disposizioni negoziali lesive, l'altra, avente contenuto di condanna, che si pone con la statuizione costitutiva in rapporto variabile, a seconda che la reintegra richieda la previa divisione di beni ereditari, con conseguente condanna di uno dei condividenti al pagamento del conguaglio, oppure unicamente il versamento da parte del donatario del controvalore della quota, ai sensi dell'art.560 c.c; pertanto, solo nel secondo caso, integrandosi un rapporto di "dipendenza" tra capo costitutivo e capo condannatorio, quest'ultimo è immediatamente eseguibile, ex art. 282 c.p.c., indipendentemente dal passaggio in giudicato del primo, mentre, nel primo caso, venendo in considerazione un rapporto di "corrispettività" tra i due capi della sentenza, l'esecuzione di quello di condanna ne presuppone il passaggio in giudicato». Naturalmente, il capo della sentenza contenente la condanna alle spese deve essere considerato invece immediatamente esecutivo, ex art. 282 c.p.c., senza che rilevi la natura (di accertamento, costitutiva, di condanna) della pronuncia principale cui accede (così Cass. civ., 5 maggio 2020, n. 10826; in precedenza anche Cass. civ., 20 aprile 2010, n. 9363 e Cass. civ., 25 gennaio 2010, n. 1283). Riferimenti
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