La rinuncia alle domande ed eccezioni in appello

22 Dicembre 2021

La riproposizione in appello delle domande e eccezioni non accolte in primo grado deve risultare da esplicita domanda o può evincersi anche in modo implicito dal tenore dell'atto di appello?

La norma che prevede questa ipotesi è contenuta nell'art. 346 c.p.c. a mente del quale «Le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado, che non sono espressamente riproposte in appello, si intendono rinunciate», nonché, anche se indirettamente, dal disposto dell'art. 329 c.p.c. il quale così recita: «1) Salvi i casi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 dell'articolo 395, l'acquiescenza risultante da accettazione espressa o da atti incompatibili con la volontà di avvalersi delle impugnazioni ammesse dalla legge ne esclude la proponibilità. 2) L'impugnazione parziale importa acquiescenza alle parti della sentenza non impugnate».

Senza poter ripercorrere la diatriba concernente il contenuto di ciò che vada riproposto per non incappare nella decadenza prevista dalla norma, basti qui osservare che, innanzitutto, la riproposizione di domande ed eccezioni deve essere effettuata in modo non generico, ma chiaro e preciso: «Il mero richiamo generico contenuto nella memoria di costituzione in appello alle conclusioni assunte in primo grado non può essere ritenuto sufficiente a manifestare la volontà di sottoporre al giudice dell'appello una domanda o eccezione non accolta dal primo giudice, al fine di evitare che essa si intenda rinunciata».(Cass. civ. sez. lav., 25 novembre 2010, n.23925).

Nello stesso senso, la più recente Cass. civ. sez. III, 13 novembre 2020, n. 25840, per la quale «In materia di procedimento civile, in mancanza di una norma specifica sulla forma nella quale l'appellante che voglia evitare la presunzione di rinuncia ex art. 346 c.p.c. deve reiterare le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, queste possono essere riproposte in qualsiasi forma idonea ad evidenziare la volontà di riaprire la discussione e sollecitare la decisione su di esse. Tuttavia, pur se libera da forme, la riproposizione deve essere fatta in modo specifico, non essendo al riguardo sufficiente un generico richiamo alle difese svolte ed alle conclusioni prese davanti al primo giudice. (Principio ribadito dalla S.C. che ha cassato, decidendo nel merito, la decisione di appello, respingendo l'opposizione all'esecuzione, tenuto conto che gli originari opponenti nel costituirsi in appello, lungi dall'aver esposto compiutamente le ragioni dell'opposizione non decise al tribunale, non ne avevano fatto neppure sommario cenno nell'esposizione dei fatti di causa)».

Si è inoltre precisato che «Nel processo ordinario di cognizione risultante dalla novella di cui alla l. 353/1990, e dalle successive modifiche, le parti del processo di impugnazione - che costituisce pur sempre una revisio prioris istantiae - nel rispetto dell'autoresponsabilità e dell'affidamento processuale, sono tenute, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia (al di fuori delle ipotesi di domande e di eccezioni esaminate e rigettate, anche implicitamente, dal primo giudice, per le quali è necessario proporre appello incidentale: art. 343 c.p.c.), a riproporre ai sensi dell'art. 346 c.p.c., le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, in quanto rimaste assorbite, con il primo atto difensivo e comunque non oltre la prima udienza, trattandosi di fatti rientranti già nel thema probandum e nel thema decidendum del giudizio di primo grado» (Cass. civ. sez. un., 21 marzo 2019, n. 7940).

In conclusione, si può affermare che, pur non essendo prevista una forma precostituita nel riproporre le domande ed eccezioni non accolte in primo grado, queste possono risultare anche dal tenore dell'atto di appello ma in modo non equivoco e non generico mediante il semplice richiamo a quanto già esposto nel giudizio di primo grado, tenendo presente anche il rispetto del disposto dell'art. 342 c.p.c. che detta precise regole sul contenuto minimo dell'atto di appello a pena di inammissibilità.

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