La tenuità del fatto in caso di bancarotta semplice o fraudolenta

04 Gennaio 2022

Il danno di speciale tenuità di cui alla circostanza attenuante prevista dall'art. 219, comma 3, l. fall., è quello cagionato dal fatto di reato globalmente considerato e non quello derivante dal passivo fallimentare.
Massima

Il danno di speciale tenuità di cui alla circostanza attenuante prevista dall'art. 219, comma 3, l. fall., è quello cagionato dal fatto di reato globalmente considerato e non quello derivante dal passivo fallimentare. Tale danno deve quindi valutarsi sia in relazione all'impossibilità di ricostruire totalmente o parzialmente la situazione contabile dell'impresa fallita o di esercitare le azioni revocatorie o altre azioni a tutela dei creditori, sia in relazione alla diminuzione che l'omessa tenuta dei libri contabili abbia determinato nella quota di attivo oggetto di riparto tra i creditori. Pertanto, se il danno causato dall'omissione è di speciale tenuità, o, addirittura, non sussiste, il giudice deve concedere l'attenuante.

Il caso

La Cassazione Penale, con la sentenza in commento, ha chiarito alcuni rilevanti principi in tema di bancarotta e tenuità del fatto.

Nel caso di specie, la Corte d'appello aveva confermato la decisione del Tribunale, con la quale era stata affermata la responsabilità penale dell'imputato per il reato di cui all'art. 217, comma 2, L. fall. (bancarotta semplice), in riferimento alla tenuta della contabilità di una società, dichiarata fallita, della quale il medesimo era stato amministratore.

Dalle conformi sentenze di merito risultava che parte della contabilità della società (registro cespiti ammortizzabili, registro dei corrispettivi e libro unico) non era stata consegnata al curatore, mentre il resto delle scritture (libro inventari e libro giornale) erano risultate tenute in maniera inattendibile, tanto da impedire la ricostruzione del patrimonio della fallita. All'imputato era stato, altresì, contestato di non aver assunto iniziative finalizzate a ripianare le perdite, né di aver posto in liquidazione o richiesto il fallimento della società, pur a fronte dell'erosione del capitale sociale da anni, così aggravandone il dissesto.

Con la sentenza di primo grado, l'imputato era stato assolto dalle imputazioni per bancarotta fraudolenta documentale e dal reato di cui all'art. 217, comma 1 n. 4) L. fall., essendo stato reputato indimostrato il dolo specifico e, comunque, visto il ruolo, meramente formale, di amministratore di diritto dal medesimo rivestito.

Alla luce degli obblighi di tenuta della contabilità, comunque facenti capo al legale rappresentante, lo stesso imputato, come detto, era stato, invece, ritenuto responsabile del reato di bancarotta semplice, di cui all'art. 217, comma 2., L. fall.

La Corte d'appello aveva infatti rilevato, in capo all'imputato, l'elemento soggettivo della colpa, non escluso - ed anzi comprovato - dalle stesse allegazioni difensive, intese ad accreditare la sudditanza dello stesso agli amministratori di fatto della società.

I giudici di secondo grado avevano poi escluso l'applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen..

Avverso tale sentenza l'imputato proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo, per quanto di interesse, il difetto di motivazione quanto al diniego dell'applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, per avere la Corte territoriale reputato «l'impossibilità di valutare l'entità dell'offesa arrecata a causa dell'omessa regolare tenuta delle scritture contabili», con motivazione, secondo il ricorrente, illogica, in quanto l'entità del danno era costituita dal passivo fallimentare e non era necessariamente ricavabile dalle scritture contabili, ed avendo comunque la Corte di appello sottovalutato le modalità della condotta, il contributo causale marginale prestato dal ricorrente e la non attribuibilità a questi della consistenza del passivo.

La questione

La Corte di Appello, nella specie, aveva correttamente reputato che anche il movente economico non esclude l'elemento soggettivo del reato, per non aver l'imputato esplicato l'ordinaria diligenza nel vigilare sulla regolare tenuta e sulla consegna delle scritture contabili.

Sul punto, la Corte territoriale aveva dunque fatto corretta applicazione del principio per cui in tema di bancarotta documentale, anche semplice, sussiste la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell'amministrazione dell'impresa fallita (cosiddetto "testa di legno"), atteso il diretto e personale obbligo dell'amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture (Cass., Sez. 5, n. 54490 del 26/09/2018).

In sostanza, i rapporti con l'amministratore di fatto non esonerano l'amministratore formale dagli obblighi previsti a suo carico dal codice civile (Cass., Sez. 5, n. 32413 del 24/09/2020).

Quanto alla circostanza della tenuità del fatto, la stessa Cassazione, a Sezioni Unite (Sez. Un., n. 13681, del 25/02/2016), ha stabilito che, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131- bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, comma 1, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo.

In tal senso, è dunque necessaria una ponderata considerazione di tutte le peculiarità della fattispecie, in quanto è la concreta manifestazione del reato che ne segna il disvalore, laddove «qualunque reato, anche l'omicidio, può essere tenue, come quando la condotta illecita conduce ad abbreviare la vita solo di poco» (Sez. U., n. 13681 del 2016).

Tale valutazione, rileva la Corte, deve esprimersi attraverso un'adeguata motivazione, laddove il giudice è tenuto a motivare, in concreto, sulle forme di estrinsecazione del comportamento incriminato, al fine di valutarne la gravità, l'entità del contrasto rispetto alla legge e, conseguentemente, il bisogno di pena, essendo insufficiente il richiamo a mere clausole di stile (Cass., Sez. 6, n. 18180 del 20/12/2018 - dep. 2019).

In altri termini, preclusioni legate, solo in astratto, alla struttura del reato non trovano ragionevole giustificazione nell'ambito di una valutazione incentrata sull'offensività, in concreto, al bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, laddove l'esiguità del danno o del pericolo costituisce solo uno dei parametri del complessivo apprezzamento di tenuità.

Le soluzioni giuridiche

Secondo la Suprema Corte, nel caso in esame, la censura sollevata dal ricorrente sul profilo della tenuità del fatto era fondata.

Il tema della rilevanza del danno nell'ambito del reato di bancarotta documentale, ricorda la Corte, è stato peraltro già elaborato dalla giurisprudenza di legittimità, essendo stato affermato (Cass., Sez. 5, n. 11725 del 10/12/2019, dep. 2020), che il danno di speciale tenuità di cui alla circostanza attenuante prevista dall'art. 219, comma 3, legge fall., è quello cagionato dal fatto di reato globalmente considerato e non quello derivante dal passivo fallimentare.

Tale danno deve quindi valutarsi sia in relazione all'impossibilità di ricostruire totalmente o parzialmente la situazione contabile dell'impresa fallita o di esercitare le azioni revocatorie o altre azioni a tutela dei creditori, sia in relazione alla diminuzione che l'omessa tenuta dei libri contabili abbia determinato nella quota di attivo oggetto di riparto tra i creditori (cfr., Cass., n. 21353 del 2003; n. 44443 del 2012; n. 19304 del 2013; n. 45136 del 2019; n. 7888 del 2019).

Si è, in particolare, specificato come il danno valutabile ai fini della circostanza attenuante prevista dall'art. 219, comma 3, l.fall., quale che sia l'ipotesi di bancarotta, fraudolenta o semplice, è quello cagionato dal fatto reato e non quello derivante dal passivo del fallimento.

Pertanto, se il danno causato dall'omissione è di speciale tenuità, o, addirittura, non sussiste, il giudice deve concedere l'attenuante in questione, laddove la valutazione dell'esistenza e dell'entità del danno risulta, anche nelle fattispecie fallimentari documentali, necessariamente ancorata alla specifica valutazione di dati obiettivi, evincibili dall'istruttoria dibattimentale e dalle allegazioni delle parti.

Una diversa interpretazione, del resto, finirebbe, del tutto irragionevolmente, per escludere l'applicabilità dell'attenuante in parola, e, più in generale, delle circostanze correlate alla dimensione del danno cagionato dal reato.

Questi principi, conclude la Cassazione, devono quindi orientare l'interprete anche per la valutazione del danno quale indicatore che concorre alla definizione di speciale tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen.

Anche a tali fini, pertanto, in tema di bancarotta documentale, la nozione di danno è delimitata al pregiudizio cagionato dal fatto di reato globalmente considerato, da valutarsi in relazione agli effetti già indicati (impossibilità di ricostruire la situazione contabile dell'impresa fallita, o di esercitare le azioni revocatorie, o diminuzione che l'omessa tenuta dei libri contabili abbia determinato nella quota di attivo oggetto di riparto tra i creditori).

Questo, evidenzia la Corte, non comporta la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, ben potendo il giudice indicare solo quelli reputati rilevanti (cfr., Cass., Sez. 6, n. 55107 del 08/11/2018), purchè però dia conto, con adeguata motivazione, delle ragioni ritenute preponderanti nel giudizio sulla tenuità dell'offesa.

Tanto premesso, secondo la Cassazione, la Corte d'appello, nel caso in esame non aveva fatto corretta applicazione dei suddetti principi.

Nell'escludere la particolare tenuità del fatto, la Corte territoriale aveva infatti sostanzialmente abdicato alla verifica del danno, specificando che «... l'impossibilità di accertare il volume di affari della società, conseguente alla mancata ed irregolare tenuta della contabilità, impediscono di giudicare l'offesa arrecata ai creditori ed al fisco in termini di particolare tenuità, non essendo accertabile l'entità del danno cagionato per fatto addebitabile all'imputato».

In tal modo, il diniego della speciale causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto si rivelava però fondato su una valutazione del tutto “astrattizzante”, priva di alcun riferimento all'esito della prova, quale, ad esempio, le insinuazioni al passivo risultanti dalla relazione del curatore, e, dunque, incentrata solo sul tipo di illecito penale.

Né risultava da alcun punto della sentenza impugnata perché la ritenuta impossibilità di quantificazione del danno fosse stata ritenuta assorbente rispetto agli ulteriori parametri declinati dall'art. 133 cod. pen. e, in particolare, alle modalità della condotta ed al grado della colpevolezza, pur in presenza di specifiche allegazioni difensive riguardo il ruolo svolto dall'imputato.

Né, infine, risultava esplicitato in che termini l'impossibilità di ricostruzione del volume degli affari, valorizzata per escludere la tenuità dell'offesa, sarebbe stata diversa, distinta ed ulteriore rispetto alla condotta tipica necessaria per integrare la fattispecie di reato.

La sentenza impugnata, secondo la Cassazione, doveva essere, pertanto, sul punto annullata, con rinvio per un nuovo esame alla Corte di appello, affinchè questa potesse fare corretta applicazione dei principi indicati, verificando se vi fossero i presupposti per l'applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

Osservazioni

A prescindere dallo specifico caso processuale, in termini più generali, giova anche osservare quanto segue.

Il piano della tipicità non può essere confuso con quello della tenuità dell'offesa, che può riscontrarsi in tutti i reati, anche tributari, compresi quelli per i quali il legislatore ha previsto soglie di punibilità.

L'articolo 131 bis del codice penale, in tema di non punibilità per particolare tenuità del fatto, dispone del resto che "Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.

L'offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l'autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all'età della stessa, ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona.

Il comportamento è abituale nel caso in cui l'autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.

Ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In quest'ultimo caso ai fini dell'applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all'articolo 69.

La disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante".

I criteri da seguire per la determinazione della pena come operazione di valutazione "prioritaria" sono quindi fondamentalmente contenuti nel comma 4 dell'art. 131 bis cod. pen, laddove altro dato che entra nel processo di valutazione è poi quello legato:

a) alle modalità della condotta;

b) all'esiguità del danno o del pericolo.

Si tratta di quelli che la relazione allegata allo schema di decreto attuativo indica come "indici-requisiti", da valutarsi alla stregua dei criteri indicati dall'art. 133 cod. pen., (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo ed ogni altra modalità dell'azione, gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato intensità del dolo o grado della colpa).

A tali "indici-requisiti" si affiancano poi quelli che la stessa relazione definisce "indici-criteri" costituiti da:

1) la particolare tenuità dell'offesa;

2) la non abitualità del comportamento.

In estrema sintesi, il giudice è quindi in tal caso chiamato ad effettuare una specifica valutazione di meritevolezza, verificando se, sulla base dei due "indici-requisiti" (modalità della condotta ed esiguità del danno e del pericolo, valutati congiuntamente secondo i criteri direttivi di cui all'art. 133 comma 1, cod. pen.), sussistano i due indici-criterio (particolare tenuità dell'offesa e non abitualità del comportamento).

L'esito positivo di tale operazione consentirà al giudice di considerare il fatto di particolare tenuità ed escluderne, conseguentemente, la punibilità.

Quanto alla valutazione della esiguità del danno o del pericolo appare evidente, sottolineano i giudici, la necessità di un giudizio esprimibile sulla base di dati oggettivi e non sulla base di elementi di tipo soggettivo, ferma restando l'esigenza che si tratti di un giudizio globale che porti alla conclusione di un fatto estremamente modesto sia oggettivamente che soggettivamente.

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