Rimessione alle Sezioni Unite dell'obbligo motivazione della cartella esattoriale in relazione agli interessi richiesti per ritardato pagamento dei tributi
05 Gennaio 2022
Massima
L'obbligo di motivazione della cartella esattoriale in relazione agli interessi richiesti per ritardato pagamento dei tributi rappresenta una questione controversa in seno alla recente giurisprudenza, divisa sui presupposti che consentano di ritenere soddisfatto tale obbligo.
Il caso
Nel caso – che la V sezione tributaria ha ritenuto di rimettere alle Sezioni Unite - i ricorrenti impugnavano la cartella di pagamento con cui era loro richiesta una somma a titolo di imposta di registro, ipotecaria e catastale nonché di interessi. Accertata la debenza del credito in ragione di una pronuncia della Commissione Centrale Tributaria, ormai definitiva, le parti lamentavano - con giudizio instaurato innanzi alla Commissione provinciale - il difetto di motivazione della cartella, in relazione agli interessi richiesti per il ritardato pagamento dei tributi. A fronte del duplice rigetto, in primo e secondo grado, proponevano ricorso in Cassazione. Si rappresenta che, nel caso in oggetto, i ricorrenti contestano che la cartella sia sprovvista di indicazioni sufficienti a valutare la correttezza delle somme iscritte a ruolo, riportando esclusivamente l'importo totale degli interessi applicati.
La questione
La questione sollevata dal caso in esame ha indotto la Suprema Corte ad indagare le condizioni che consentano di considerare soddisfatto tale onere motivazionale, per valutare se la mera indicazione degli interessi dovuti – pur a fronte del richiamo all'avviso di liquidazione – rappresenti un requisito sufficiente ad integrare tale obbligo. Ebbene, la questione dell'obbligo di motivazione in relazione agli interessi richiesti per ritardato pagamento dei tributi divide la giurisprudenza della Suprema Corte, ancorata su due posizioni antitetiche. La soluzione giuridica
Il contrasto giurisprudenziale Il contrasto giurisprudenziale può concentrarsi in due macro orientamenti. Un primo indirizzo – cui risulta conforme la sentenza impugnata – non ritiene sussistente alcun difetto di motivazione nella cartella di pagamento che riporti la sola indicazione degli interessi dovuti, allorquando venga richiamato il titolo in forza del quale la pretesa tributaria è incontestata. Giova evidenziare che tale orientamento applichi al caso di specie, in via estensiva, quanto ormai pacifico in relazione alla cartella di pagamento emessa in forza della dichiarazione resa dal contribuente. In relazione a tale ipotesi, la giurisprudenza (Cass. Civ., sez. V, 27 marzo 2019, n. 8508; Cass. Civ., sez. V, 8 marzo 2019, n. 6812; Cass. Civ., sez. VI, 7 giugno 2017, n. 14236) ritiene che, qualora con la cartella esattoriale siano richiesti interessi per omesso o ritardato pagamento, il contribuente – proprio poiché la pretesa tributaria è formulata sulla base della propria dichiarazione – sia già a conoscenza della pretesa fiscale originaria, ragion per cui anche laddove la cartella non rechi il dettaglio del calcolo degli interessi, non potrà ritenersi affetta vizio di motivazione.
Una parte della giurisprudenza di legittimità (Cass.Civ., sez. V, 15 aprile 2011, n. 8613) ha, nel corso degli anni, ritenuto possibile estendere tale ratio anche ad ulteriori ipotesi in cui sussista un'analogia di condizioni e presupposti con la “dichiarazione resa dal contribuente”. Tale ipotesi ricorrerebbe allorquando, nella cartella di pagamento, venga richiamato un atto impositivo divenuto definitivo proprio poiché il contribuente risulta nell'analoga condizione di conoscere il presupposto di fatto e le ragioni giuridiche sottese alla pretesa fiscale. In tale ricostruzione, assume un ruolo dirimente la conoscenza del debito di imposta: la Suprema Corte ha, infatti, affermato che il procedimento di liquidazione degli interessi si risolva in una mera operazione matematica in cui l'importo preteso a titolo di interessi deriva da una norma di legge che ne detta i criteri di quantificazione. Pertanto, nel caso di specie, l'incontestabilità della sorte capitale – in ragione della sentenza della Commissione Tributaria Centrale, ormai definitiva – manifesta la conoscenza dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche sottesi alla cartella che, quindi, grazie ad un'operazione matematica, renderebbero possibile per il contribuente comprendere in che modo si sia ottenuta la somma iscritta a ruolo. Si osservi, infatti, che, ai sensi dell'art 30 del d.P.R. n. 602/1973, il criterio di liquidazione risulta predeterminato ex lege nella misura in cui gli interessi di mora si applichino al tasso determinato annualmente con decreto del Ministero delle finanze (il tasso è determinato annualmente con riguardo alla media dei tassi bancari attivi). Il giudice d'appello, proprio in linea di continuità con tale orientamento, aveva così escluso che nella cartella di pagamento ricorresse un difetto di motivazione.
Si ascrivono al medesimo orientamento giurisprudenziale anche quelle pronunce (Cass. Civ., sez. VI, 6 agosto 2020, n. 16778) in cui la Corte di Legittimità rilevava che, anche laddove mancasse l'emissione del decreto ministeriale, il tasso di interesse individuato con l'ultimo decreto (pubblicato) restasse efficace sino alla dichiarazione del nuovo provvedimento, così da permettere al contribuente di conoscere, in ogni momento, il tasso di interesse applicabile e, con un'operazione matematica, verificare la correttezza della somma iscritta a ruolo. Il fatto che la Corte di Legittimità (Cass. Civ., sez. VI, 14 aprile 2021, n. 9764) abbia voluto chiarire expressis verbis quanto riportato, testimonierebbe che la conoscenza dei presupposti di fatto e delle ragioni della pretesa siano gli unici elementi indispensabili per poter vagliare l'effettiva portata della somma richiesta, applicando a tal importo il tasso previsto ex lege.
In buona sostanza, tale orientamento muove dall'incontrovertibile dato per cui il tasso di interesse sia noto proprio perché determinato con decreto ad hoc, così come i limiti temporali di riferimento - decorrenti, appunto, dal sessantesimo giorno dalla notifica della cartella sino al giorno dell'effettivo pagamento - siano conoscibili ai sensi dell'art. 25, comma 2, del d.P.R. 602/1973. Pertanto, l'operar congiunto di tali presupposti, in concomitanza all'indiscutibile conoscenza, in capo al contribuente, degli elementi fattuali nonché delle ragioni giuridiche sottese alla cartella di pagamento, sono gli elementi utilizzati da quell'orientamento della Suprema Corte che considera legittimo il solo riferimento all'importo degli interessi maturati ex lege. Alla luce degli elementi noti – osserva la Corte - la determinazione del credito si risolverebbe in un'operazione matematica, tale da consentire il raffronto immediato con i tassi determinati ex lege, e da rendere superfluo un obbligo di specifica motivazione. Tale primo orientamento ritiene, quindi, integrato e soddisfatto l'onere motivazionale da parte dell'amministrazione finanziaria, allorquando – essendo incontestata la sorte capitale - la cartella di pagamento si limiti ad indicare gli interessi legali, atteso che la relativa determinazione si risolva in un'operazione matematica in ragione della quale risulti implicitamente soddisfatto l'obbligo motivazionale.
Il differente orientamento giurisprudenziale Di tutt'altro avviso è un coevo ma antitetico orientamento giurisprudenziale. Tale diverso indirizzo ritiene, invece, che le cartelle esattoriali – seppur fondate su una sentenza passata in giudicato – debbano essere motivate in relazione a quei crediti, diversi da quelli oggetto dell'atto impositivo oggetto di giudizio, per cui venga richiesta per la prima volta il pagamento (in tal senso Cass. Civ., sez. V, 7 settembre 2018, n. 21851 e Cass. Civ.n. 28276/2013). Tale indirizzo si attaglia perfettamente al caso degli interessi, in cui – con il mero richiamo alla sentenza definitiva che accerti la pretesa tributaria – non potrebbe considerarsi soddisfatto l'obbligo di motivazione. La cartella di pagamento costituisce, infatti, il primo atto con il quale il contribuente viene a conoscenza della pretesa fiscale relativa agli interessi moratori e, come tale, necessita di essere motivato. Pertanto, a nulla rileverebbe il fatto che il contribuente si trovi nella condizione di conoscere i presupposti di fatto sottesi alla pretesa principale, atteso che la liquidazione degli interessi conosca tutt'altra procedura. Ebbene, ritenere che il richiamo alla pronuncia giudiziale ed all'atto impositivo su cui la stessa sia intervenuta, risulti idoneo ad assolvere all'onere motivazionale solo in relazione alla parte del credito interessato dall'accertamento e, non anche, riguardo alle ulteriori voci di credito non precedentemente richieste, equivale, dunque, ad evidenziare che non sussista quella conoscenza dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche sottese alla pretesa tributaria e tal per cui – diversamente da quanto sostenuto dal primo orientamento - non potrebbe considerarsi soddisfatto l'obbligo motivazionale. La cartella di pagamento costituisce, infatti, il primo atto tramite cui le parti apprendano della pretesa impositiva, con ciò significando che l'onere motivazionale non possa essere assolto per via indiretta e/o con meri richiami.
Proprio in ragione di tali considerazioni, questo orientamento della Suprema Corte (Cass. Civ., ord. 22 giugno 2017, n. 1554; Cass. Civ., 21 marzo 2012, n.4516; Cass. Civ., 9aprile 2009, n. 8651) afferma che la cartella di pagamento emessa per un debito, riconosciuto in una sentenza passata in giudicato, debba essere necessariamente motivata in ordine al criterio adottato per la quantificazione degli interessi richiesti per la prima volta. Tali interessi costituiscono, infatti, oggetto di una nuova pretesa, per la prima volta portata a conoscenza del contribuente per mezzo della cartella di pagamento: pertanto, solamente l'indicazione del criterio adoperato consentirebbe di non ledere il diritto di difesa del contribuente, consentendogli così di verificare la correttezza del calcolo dei suddetti interessi.
Nello stesso senso, la Suprema Corte (Cass. Civ., n. 17767/2018; Cass. Civ., n. 15554/2017; Cass. Civ., n. 8611/2009) rileva, altresì, che la mera indicazione degli interessi totali dovuti non consenta al contribuente di comprendere – soprattutto allorquando siano coinvolte più annualità – quale sia ed in che modo sia stato applicato ciascun tasso in relazione alle singole pretese tributarie annuali. Ciò significando che il contribuente risulti costretto a rivolgersi aliunde per attingere alle nozioni giuridiche necessarie a ricostruire il metodo seguito dall'ufficio: tale evidenza non può che suffragare le ragioni di questo indirizzo giurisprudenziale, dimostrando che l'onere di motivazione dell'atto tributario non possa considerarsi soddisfatto, relativamente agli interessi, se tale pretesa non sia stata preventivamente accertata in altro atto impositivo, già oggetto di giudizio. La cartella di pagamento, rappresentando l'atto tributario propriamente impositivo degli interessi, è, quindi, l'unico strumento che consentirebbe al contribuente di apprendere il metodo per l'individuazione e la quantificazione di tali interessi, soddisfacendo l'obbligo motivazionale richiesto. Osservazioni
La coesistenza dei due indirizzi delinea la necessità di un intervento risolutivo.
Preme, infatti, evidenziare che il primo indirizzo giurisprudenziale manchi di considerare un presupposto essenziale: ogni atto propriamente impositivo dell'amministrazione finanziaria è espressione ovvero applicazione di una norma, in forza della quale l'amministrazione ha il potere di agire in un dato modo. Pertanto - ammettere la ricostruzione del primo orientamento, secondo cui l'obbligo motivazionale risulterebbe assolto in ragione dell'effettiva possibilità del contribuente di conoscere tutti gli elementi utili a calcolare gli interessi - significherebbe che ogni atto tributario impositivo, avendo un fondamento normativo, potrebbe risultare sempre potenzialmente comprensibile e pertanto non necessiterebbe dell'idonea motivazione. Ed allora, verrebbe spontaneo chiedersi quale sia la funzione svolta dalla motivazione, perché sia stato previsto il relativo obbligo e, soprattutto, a tutela e presidio di quale diritto sia stato ideato tale onere in capo all'amministrazione finanziaria. È evidente, quindi, che la ricostruzione prospettata dal primo indirizzo sconti il prezzo di essere poco attenta alle reali esigenze del contribuente che, anche impiegando l'ordinaria diligenza, potrebbe non comprendere come si sia pervenuti a tale quantificazione degli interessi. Le pronunce del primo orientamento presuppongono delle competenze superiori allo standard normalmente esigibile dal contribuente, imponendogli– soprattutto allorquando siano coinvolte più annualità – di rivolgersi aliunde per ricostruire il metodo di calcolo impiegato dall'amministrazione finanziaria. Diversamente, il secondo orientamento si mostra più attento alle dinamiche effettive in cui il contribuente possa incorrere, così imponendo che la cartella di pagamento sia idoneamente motivata ogniqualvolta costituisca il primo atto tributario con cui il contribuente apprende della nuova pretesa. Ma, tuttavia, vi è da chiedersi se, effettivamente, rendere edotti i contribuenti della metodologia di calcolo impiegata dagli uffici consentirebbe loro di porre in essere la propria attività di verifica e controllo e, quindi, di garantirgli altresì il diritto di difesa.
Sorge, infatti, un ulteriore interrogativo, ovvero – se alla luce delle circostanze esposte - l'indicazione dell'operazione di calcolo possa, invece, considerarsi, in sé, idonea a fronteggiare l'onere motivazionale. È, quindi, evidente la diversa ratio sottesa ai due orientamenti: il primo indirizzo, insistendo sulla natura accessoria degli interessi - rispetto all'indiscussa pretesa tributaria principale - ritiene sufficiente la semplice indicazione dell'importo iscritto a ruolo, forte del presupposto che tali interessi si ottengano tramite oggettive operazioni di calcolo. Diversamente, il secondo indirizzo trascende totalmente da tale natura accessoria, qualificando gli interessi alla stregua di un'obbligazione autonoma. Pertanto, molteplici sono le questioni preliminari controverse. In primo luogo, le Sezioni Unite dovranno chiarire se la natura accessoria degli interessi incida ai fini della motivazione del relativo atto impositivo, chiarendo, quindi, se la motivazione debba considerarsi implicita, alla luce di tale accessorietà, ovvero se si necessiti di una motivazione esplicita alla stregua di ogni nuova pretesa tributaria. Ed ancora, interrogativo non trascurabile è se il fattore “annualità” ovvero la circostanza che nel medesimo importo confluiscano, indistintamente, gli interessi di più annualità possa costituire un fattore di differenziazione e quindi indirizzare la giurisprudenza verso l'idea di standard motivazionali differenti.
All'esame delle Sezioni Unite è, pertanto, rimesso l'onere di valutare in che modo, effettivamente, l'obbligo motivazionale, in relazione agli interessi ed alle sovrattasse per ritardato o omesso pagamento, possa considerarsi soddisfatto nella cartella di pagamento. Soltanto in tal modo, potrà approdarsi ad una soluzione unanime e garantire realmente la nomofilachia.
|