L'indagine medico-legale nei casi di infezione da SARS-Co-2. L'esperienza Inail
01 Febbraio 2022
L'art. 42, comma 2, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con legge 24 aprile 2020, n. 27, ha precisato che per l'infezione da SARS-CoV-2 contratta in occasione di lavoro il medico deve redigere certificato di infortunio lavorativo. La norma richiamata è peraltro coerente con quanto da sempre sostenuto per tutte le infezioni da agenti biologici: «gli infortuni da agenti biologici (il coronavirus è uno di questi) restano saldamente ancorati alla tutela infortunistica Inail. Le norme, la medicina legale e la giurisprudenza hanno contribuito a consolidare tale inquadramento asseverando, con costanza e sistematicità:
Dall'inizio della pandemia sono stati denunciati all'Inail 185.633 casi di infortunio sul lavoro da virus SARS-CoV-2. Rispetto alle attività produttive il settore della sanità e dell'assistenza sociale (ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche e policlinici universitari, residenze per anziani e disabili, etc.) assomma circa i due terzi delle denunce; seguito dall'amministrazione pubblica (attività degli organismi preposti alla sanità – Asl - e amministratori regionali, provinciali e comunali) e dai servizi di supporto (servizi di vigilanza, di pulizia, call center, etc.), quindi dal trasporto e magazzinaggio e dal settore manifatturiero (tra le prime categorie coinvolte gli addetti alla lavorazione di prodotti alimentari, alla stampa, alla lavorazione di prodotti farmaceutici, di metalli, di macchinari e di pelli), ancora le attività dei servizi di alloggio e ristorazione e ancor meno dal commercio all'ingrosso e al dettaglio; di gran lunga minoritarie sono le altre attività di servizi (pompe funebri, lavanderia, riparazione di computer e di beni alla persona, parrucchieri, centri benessere…) e professionali, scientifiche e tecniche (consulenti del lavoro, della logistica aziendale, di direzione aziendale) (Consulenza statistico attuariale Inail, Scheda nazionale infortuni sul lavoro da covid-19, nr. 22; Inail 21 dicembre 2021).
Chiaramente questi numeri hanno offerto un osservatorio privilegiato rispetto alla pandemia e all'incidenza delle infezioni nel mondo del lavoro, unico per quanto attiene alle competenze medico-legali. La casistica esaminata ha consolidato “tecniche” valutative che, attraverso la loro sistematica applicazione, hanno consentito di garantire comportamenti omogenei su tutto il territorio nazionale in ambito assicurativo-previdenziale. Ma l'interesse dell'Istituto non è stato volto soltanto alla tutela indennitaria degli eventi. L'Inail ha saputo garantire continuità assistenziale, mantenendo aperti gli ambulatori, affiancando e integrando le strutture del Servizio sanitario nazionale, assicurando continuità assistenziale e prossimità all'utenza, anche mediante nuove modalità di interazione telematica.
La procedura di accertamento medico-legale del contagio da SARS-Cov-2 e degli esiti da Covid-19. I criteri di appropriatezza
Con particolare riguardo agli obiettivi dell'accertamento medico-legale nell'infortunio da Sars-CoV-2, gli stessi possono essere schematicamente ricondotti alla verifica dei seguenti punti: a) se l'infortunio sia riconducibile a contagio da virus SARS-CoV-2 e se le sequele siano quelle da malattia COVID-19; b) se il contagio sia avvenuto in occasione di lavoro o in itinere; c) nei casi mortali, se la causa della morte sia riconducibile alla malattia COVID-19. Per quanto attiene al primo punto, la “conferma diagnostica”, oltre che con l'esito del tampone positivo, ai fini indennitari Inail si ottiene anche mediante la «ricorrenza di un quadro clinico e strumentale suggestivi di COVID-19, in compresenza di elementi anamnestico-circostanziali ed epidemiologici dirimenti» (Circolare Inail 3 aprile 2020, n. 13; Raccomandazione Sovrintendenza sanitaria centrale Inail n. 5/2020).
La prima e più rilevante criticità è stata quella discendente dalla mancanza di un test molecolare positivo impeditivo, sulla base delle indicazioni delle Autorità sanitarie dell'epoca, dell'accoglimento in tutela degli infortuni. Pertanto, l'Inail ha raccomandato, ai fini indennitari, di validare i casi sulla base di un quadro clinico e/o strumentale suggestivi di malattia COVID-19. In merito, le Circolari del Ministero della salute n. 0005443 del 22 febbraio 2020, n. 0005889 del 25 febbraio 2020, n. 6360 del 27 febbraio 2020, circolare n. 0007922 del 9 marzo 2020 “COVID-19. Aggiornamento della definizione di caso”: «un caso con una conferma di laboratorio per infezione da SARS-CoV-2, effettuata presso il laboratorio di riferimento nazionale dell'Istituto Superiore di Sanità (ISS) o da laboratori Regionali di Riferimento che rispondano ai criteri indicati in Allegato 3, indipendentemente dai segni e dai sintomi clinici». Il Direttore generale Inail scriveva, pertanto, al Ministero della Salute in data 19 maggio 2020: «quando l'insieme dei documenti sanitari acquisiti (cartelle cliniche di pronto soccorso e/o di ricovero, risultati di esami diagnostici strumentali, certificazioni inerenti ai trattamenti effettuati sul paziente, etc.) depone univocamente per la presenza di una malattia COVID-19, non è possibile ipotizzare una causa di infezione alternativa al Nuovo Coronavirus che risulti più probabile, anche in presenza di tampone negativo. Per altro verso dovendosi richiamare le note evidenze scientifiche circa le variabili relative ad epoca, a modalità, a sede di effettuazione del prelievo e alla possibilità che, nei quadri di malattia polmonare, il virus possa non essere più rilevabile nelle prime vie aeree». Successivamente è intervenuta la circolare n. 0000705 del Ministero della salute dell'8 gennaio 2021, Aggiornamento della definizione di caso COVID-19 e strategie di testing: la definizione di caso è stata basata sulla presenza di criteri clinici, radiologici, di laboratorio ed epidemiologici: «Caso possibile Una persona che soddisfi i criteri clinici. Caso probabile Una persona che soddisfi i criteri clinici con un link epidemiologico, OPPURE una persona che soddisfi i criteri radiologici. Caso confermato Una persona che soddisfi il criterio di laboratorio».
Questa posizione è stata poi condivisa, in base alle evidenze scientifiche sulla malattia, che anche per i casi mortali, il riferimento diagnostico è divenuto il quadro clinico suggestivo di COVID-19 (Rapporto ISS COVID-19 n. 10/2021 COVID-19: Rapporto ad interim su definizione, certificazione e classificazione delle cause di morte Aggiornamento del Rapporto ISS COVID-19 n. 49/2020 Gruppo di Lavoro ISS Cause di morte COVID-19 Gruppo di lavoro Sovrintendenza sanitaria centrale – INAIL ISTAT).
Relativamente al secondo punto, stabilire se il contagio è avvenuto sul luogo di lavoro o durante gli spostamenti da e per i luoghi di lavoro si basa su una serie di criteri di seguito riportati (Raccomandazione Ssc Inail n. 8/2020). I. Qualificazione del livello di rischio dell'attività lavorativa effettivamente svolta, per cui sono state identificate categorie professionali ad elevato rischio, per le quali è stata introdotta la presunzione semplice di origine (Circolare Inail n. 13/2020; Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione, aprile 2020). Va sin d'ora chiarito, tuttavia, che «sotto il profilo medico-legale, la presunzione semplice facilita il riconoscimento per le categorie a elevato rischio, senza però introdurre alcun automatismo» (Raccomandazione Ssc Inail n. 8/2020). L'epicrisi medico-legale richiede, infatti, anche in questi casi, il puntuale esame degli elementi relativi al nesso causale. II. Corrispondenza tra lo svolgimento in concreto dell'attività lavorativa e la categoria generale richiamata (momento di verifica fondato su: dettaglio del luogo e dei tempi di lavoro; analisi dei compiti e delle mansioni effettivamente prestati; rilievo anamnestico; informazioni formalmente pervenute dal datore di lavoro). III. Dato epidemiologico locale riferito al periodo in esame: coincidenza tra dato epidemiologico territoriale, picco epidemico/pandemico e contagio (tempi di latenza sintomatologica/incubazione). IV. Dato epidemiologico aziendale, relativo alla presenza di altri lavoratori sul medesimo luogo di lavoro contagiati per esposizione riconducibile all'attività lavorativa e prova dell'avvenuto contatto. V. Prova contraria: applicazione del criterio di esclusione di altre possibili cause rispetto a quella lavorativa. Essa richiede, a sua volta, l'analisi di ulteriori elementi, quali:
Si tratta, dunque, di verificare una serie di elementi relativi ai luoghi e ai tempi di lavoro: compiti e mansioni effettivamente prestati, attività lavorativa rischiosa o meno, svolta in presenza, a contatto con l'utenza, con espletamento di servizi all'esterno, etc.; correlazione tra dato epidemiologico territoriale, epidemiologico aziendale e contagio, con particolare riguardo alla presenza di altri contagi sul luogo di lavoro, compatibili cronologicamente con l'infezione sviluppata dall'infortunato; modalità di raggiungimento del luogo di lavoro, informazioni sul luogo di timbratura e sui percorsi aziendali per raggiungere la postazione di lavoro, sulla modalità e sul luogo di consumazione dei pasti, etc. Fondamentali risultano le notizie sul dato epidemiologico familiare ottenute attraverso le anamnesi documentali, le notizie ottenute dai congiunti in caso di decesso dell'iscritto, ma anche mediante il contact tracing aziendale, per verificare se vi siano stati contagi nel nucleo familiare e se l'infortunato ha manifestato prima/dopo gli altri componenti i segni dell'infezione, se è risultato positivo prima/dopo gli altri familiari al tampone (antigenico/molecolare) per la ricerca del virus SARS-CoV-2.
Va verificata, dunque, caso per caso, la congruità tra il momento di contagio lavorativo presunto, l'insorgenza dei sintomi e l'evoluzione della malattia, sino al decesso per i casi mortali. Il giudizio conclusivo dell'accertamento dovrà fondarsi sulla certezza o maggiore probabilità che il contagio sia avvenuto in ambito lavorativo.
Alcune precisazioni devono essere fatte in tema di dati anamnestici. Infatti, per quanto attiene all'anamnesi, questa deve essere “medico-legale”, ovverosia non un atto di mero e supino recepimento delle informazioni ricevute dai familiari, ma un'attività “dinamica”, ovvero critica, con domande mirate, puntualmente riscontrata attraverso l'esame della documentazione sanitaria (anamnesi raccolte direttamente dall'infortunato) e dei dati circostanziali disponibili. Tra i requisiti tipici dell'anamnesi, difatti, risultano anche l'attendibilità e la fedeltà ai fatti oggetto di valutazione (ROSSI P., COMACCHIO A., MELE A., La gestione del rischio sanitario medico-legale. Dalla Clinical Governance ai processi medico-legali, Giuffrè, Milano, 2014).
Essa andrà, dunque, rapportata anche alle dichiarazioni fornite dal datore di lavoro e ai risultati dell'indagine ispettiva eventualmente avviata dall'Inail.
Ai fini indennitari Inail, il decesso dell'assicurato è ammesso a tutela quando:
Sempre ai fini indennitari Inail, andranno considerati anche gli «altri stati morbosi rilevanti» riportati nella scheda ISTAT (Parte II del modello ISTAT). Infatti, a differenza della finalità di interesse per la sanità pubblica, ai fini medico-legali, andranno tenute presenti le “patologie pre-esistenti che hanno favorito o predisposto ad un decorso negativo dell'infezione” o che hanno “contribuito al decesso pur non facendo parte della sequenza di cause che hanno portato al decesso stesso” (sequenza di cui alla Parte I del modello ISTAT). Ciò in tutti i casi in cui le preesistenze hanno svolto un ruolo concausale. Ai fini indennitari assume rilievo, inoltre, la morte da infezione da SARS-CoV-2 quando quest'ultima, pur non contratta in occasione di lavoro, aggrava una condizione preesistente già tutelata come esiti di infortunio e/o di malattia professionale (per esempio, pneumopatia professionale).
La Direzione centrale rapporto assicurativo e la Sovrintendenza sanitaria centrale dell'Inail hanno, inoltre, rilasciato il 25 giugno 2020 la nota recante ad oggetto “Istruttoria per valutazione medico-legale su esiti mortali da COVID-19”. La nota contiene indicazioni a: a) «procedere alla sistematica acquisizione della Scheda di morte ISTAT (mod. ISTAT D4), che, se compilata in maniera appropriata, consente la acquisizione di dati accurati e affidabili, in quanto le stesse permettono di fornire informazioni essenziali sul deceduto e sulle circostanze della morte. b) Nei casi di soggetti deceduti in ambito ospedaliero, ovvero che abbiano avuto una degenza in fase pandemica precedente al decesso, è necessario acquisire la documentazione sanitaria inerente il ricovero ospedaliero come cartelle cliniche ovvero verbali di eventuali accessi in Pronto soccorso. c) Nei casi in cui sia stato eseguito il riscontro diagnostico e/o l'esame autoptico e la refertazione istologica dovranno essere acquisiti i relativi verbali/referti. d) Nel caso di soggetti sottoposti a sorveglianza sanitaria ai sensi del d.lgs. n. 81/2008 si dovrà provvedere alla acquisizione le cartelle sanitarie e di rischio al fine di approfondire le circostanze sanitarie ed espositive utili alla istruttoria medico-legale del caso. e) Completeranno l'istruzione medico legale le risultanze delle eventuali indagini ispettive attraverso le quali conseguire informazioni per l'inquadramento del caso anche in relazione alla presenza o meno di indagini intraprese dalla autorità giudiziaria».
Completati l'istruttoria medico-legale e le verifiche in ordine al contagio da virus SARS-CoV-2 e alla sua occorrenza in occasione di lavoro o in itinere, nei casi non mortali bisognerà identificare correttamente il “giusto” momento valutativo e procedere alla valutazione dei postumi a carattere permanente.
In uno scenario clinico ancora in via di definizione, le attuali evidenze della letteratura scientifica documentano come l'infezione da SARS-CoV-2 possa manifestarsi con un'ampia variabilità di quadri clinici. Il contesto menomativo da Covid-19 può essere ugualmente caratterizzato da un corrispondente, numeroso e altrettanto variegato, corollario di postumi. Secondo l'Istituto Superiore di Sanità i pazienti con sintomi di durata superiore a 2 mesi sono considerati «Long Covid». Secondo le Linee guida per gestire la long term COVID-19 pubblicate sul periodico Evidence edito a cura della Fondazione GIMBE (Linee guida per gestire la long term COVID-19, Fondazione GIMBE, Evidence 2021;13 (1), pubblicato il 23 febbraio 2021), è possibile distinguere:
Anche in questo caso l'esperienza maturata a seguito dell'osservazione diretta di casi di malattia COVID-19 contratta a seguito di infortunio lavorativo ha consentito di rilevare come segni della malattia descritti come persistenti in letteratura, al momento della valutazione medico-legale del danno Inail effettuata a distanza di sei mesi e più dall'infezione, potevano anche mancare o essere sensibilmente attenuati rispetto al quadro iniziale. Ciò soprattutto in caso di pazienti non ospedalizzati con iniziali segni e sintomi “minori”. Le indagini medico-legali in ordine al riconoscimento dei casi di infortunio hanno consentito di acquisire elementi conoscitivi anche in ordine agli aspetti inerenti il ruolo del datore di lavoro nelle azioni di prevenzione e contenimento della diffusione del contagio. Sotto questo profilo, la posizione dell'Istituto è stata chiarita con la circolare n. 13 del 3 aprile 2020. La novella normativa, infatti, ha escluso «gli eventi infortunistici derivanti da infezione da nuovo coronavirus dalla determinazione dell'oscillazione del tasso medio per andamento infortunistico […] Pertanto, in analogia alle altre tipologie di infortuni, come per esempio gli infortuni in itinere, gli effetti degli eventi in esame non entrano a far parte del bilancio infortunistico dell'azienda in termini di oscillazione in malusdel tasso applicato, ma sono attribuiti secondo principi di mutualità, mediante forme di “caricamento” indiretto in sede di determinazione dei tassi medi di lavorazione […]». Con la successiva circolare n. 22 del 20 maggio 2020, in merito all'azione di regresso, è stato precisato che: «In assenza di una comprovata violazione, da parte del datore di lavoro, pertanto, delle misure di contenimento del rischio di contagio di cui ai protocolli o alle linee guida di cui all'articolo 1, comma 14, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, sarebbe molto arduo ipotizzare e dimostrare la colpa del datore di lavoro». Sul piano giuridico la questione relativa alla responsabilità civile e penale del datore di lavoro in caso di infezione da COVID-19 è molto dibattuta. Sotto il profilo squisitamente sanitario, deve rilevarsi come l'andamento del fenomeno infortunistico da COVID-19 porti a formulare alcune considerazioni conclusive in ottica di prevenzione dell'infezione da virus SARS-CoV-2.
L'utilizzo corretto e appropriato dei dispositivi di protezione individuale agisce come azioni di mitigance attenuando, sia pure in maniera significativa, senza annullarlo, il rischio di contagio, soprattutto nelle popolazioni lavorative ad elevata esposizione, come quella sanitaria e socio-sanitaria. A questi strumenti deve aggiungersi quello del vaccino. Gli studi attualmente disponibili mostrano come i vaccini somministrati in Italia siano in grado di proteggere efficacemente contro infezione, malattia, ospedalizzazione e morte. Per quanto la variante Omicron abbia apportato modificazioni anche ai tassi di protezione non ha sovvertito le evidenze precedenti. Piuttosto l'ultima evoluzione del genoma virale ha riproposto una questione già nota nell'ambito degli accertamenti medico-legali: la necessità di relazionare l'accertamento della condotta prevenzionale anche alla prevalenza dell'una o dell'altra variante succedutesi nel corso della pandemia.
Il punto centrale che va sottolineato è di natura procedurale: l'individuazione di profili di responsabilità datoriale richiama competenze multispecialistiche e multidisciplinari. Solo in tal modo si è affidabilmente in grado di analizzare le misure adottate per contenere la diffusione del contagio e proteggere il lavoratore.
Per tutto quanto attiene alle competenze sanitarie e medico-legali in particolare, si anticipa che:
Ulteriori elementi a supporto di quanto sopra potranno rinvenirsi anche sul recente fact sheet elaborato dalla Sovrintendenza sanitaria centrale Inail (La Scheda Identikit Nuovo Coronavirus: un'overview unica dei dati nazionali sui lavoratori infortunati tutelati dall'Inail, dicembre 2021) e disponibile sul sito istituzionale dell'Istituto. In conclusione
L'Inail ha saputo garantire continuità assistenziale, mantenendo aperti gli ambulatori, affiancando e integrando le strutture del Servizio sanitario nazionale, assicurando continuità assistenziale e prossimità all'utenza, anche mediante nuove modalità di interazione telematica. Per l'accertamento medico-legale nell'infortunio da Sars-CoV-2 è necessario verificare: se l'infortunio sia riconducibile a contagio da virus SARS-CoV-2 e se le sequele siano quelle da malattia COVID-19; se il contagio sia avvenuto in occasione di lavoro o in itinere; nei casi mortali, se la causa della morte sia riconducibile alla malattia COVID-19. Il riconoscimento degli infortuni da COVID-19 ha richiesto una nuova scala valutativa per riconoscere un quadro patologico ancora in fase di studio che ha però concesso all'Istituto di raccogliere preziose informazioni circa la patologia per poter al meglio assistere i lavoratori tutelati e la comunità scientifica.
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