La discontinuità degli elementi nel passaggio dell'appalto ai fini della configurazione del trasferimento di azienda

Francesco Pedroni
15 Novembre 2021

In applicazione dell'art. 29, comma 3, D.Lgs. 276/2003, la successione nell'appalto di servizi non si configura quale trasferimento di azienda ai sensi dell'art. 2112 c.c. laddove vi siano elementi di discontinuità che determinano una specifica attività d'impresa...
Massima

In applicazione

dell'art.

29, comma 3,

D

.

L

gs.

276/2003

, la successione nell'appalto di servizi non si configura quale trasferimento di azienda ai sensi dell'

art.

2112 c.c

.

laddove vi siano elementi di discontinuità che determinano una specifica attività d'impresa.

Nella fattispecie gli strumenti utilizzati (ritirati all'atto della cessazione dell'appalto) e gli aspetti organizzativi dimostrano tale discontinuità.

Il caso

Alcuni lavoratori licenziati a seguito della cessazione del contratto di appalto di servizi di postalizzazione in cui erano impiegati, hanno agito davanti al Tribunale di Milano nei confronti della propria datrice di lavoro, ex appaltatrice, della società committente e del nuovo appaltatore del servizio chiedendo, tra l'altro, l'accertamento di un trasferimento di ramo d'azienda tra i due appaltatori avente ad oggetto i servizi in cui erano impiegati in favore del committente. I lavoratori ricorrenti chiedevano, conseguentemente, l'accertamento del diritto alla prosecuzione dei loro rapporti di lavoro alle dipendenze del nuovo appaltatore con mantenimento dei diritti pregressi e la condanna di tutte le società convenute al pagamento di differenze retributive in virtù di responsabilità solidale ex art. 2112 c.c. (tra le società appaltatrici) ed ex art. 29 D.Lgs. 276/2003 (tra la committente e le società appaltatrici).

A sostegno della prospettazione e della domanda i ricorrenti deducevano che successivamente al cambio di appalto nulla era mutato con riferimento all'organizzazione delle attività, ai mezzi ed alle modalità di svolgimento delle mansioni dei lavoratori.

La questione

Si tratta di stabilire quali siano gli elementi di discontinuità che facciano escludere il trasferimento d'azienda ai sensi dell'articolo 2112 c.c. tra appaltatori in caso di successione d'appalto.

La soluzione giuridica

Il Tribunale di Milano esclude che il caso in decisione configuri un trasferimento d'azienda, richiamando il disposto dell'art. 29, comma 3, D.Lgs. 276/2003 secondo cui “L'acquisizione del personale già impiegato nell'appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore dotato di propria struttura organizzativa e operativa, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d'appalto, ove siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa, non costituisce trasferimento d'azienda o di parte d'azienda” e l'orientamento giurisprudenziale di legittimità di Cass. 8022/2019 secondo cui “giova distinguere la successione di un imprenditore ad un altro in un appalto di servizi e il trasferimento di azienda, in quanto fattispecie non automaticamente sovrapponibili. E ciò perché la prima integra la seconda, regolata dall'art. 2112 c.c., soltanto qualora sia accertato in concreto il passaggio di beni di non trascurabile entità, nella loro funzione unitaria e strumentale all'attività di impresa, o almeno del know how o di altri caratteri idonei a conferire autonomia operativa ad un gruppo di dipendenti; altrimenti ostandovi il disposto dell'art. 29, terzo comma d.Ig. 276/2003, non in contrasto, sul punto, con la giurisprudenza eurounitaria che consente, ma non impone, di estendere l'ambito di protezione dei lavoratori di cui alla Direttiva n. 2001/23/CEE ad ipotesi ulteriori rispetto a quella del trasferimento di azienda. Sicché non esiste un diritto dei lavoratori licenziati dall'appaltatore cessato al trasferimento automatico all'impresa subentrante (Cass. 13 gennaio 2005, n. 493; Cass. 16 maggio 2013, n. 11918; Cass. 6 dicembre 2016, n. 24972)”.

Il Giudice rileva, infatti, che nella fattispecie sottoposta al suo giudizio, non vi è stato passaggio di mezzi aziendali tra le società appaltatrici che si sono avvicendate nell'appalto e gli strumenti in uso presso il committente (nello specifico, affrancatrici, pc, stampanti e furgone) erano nella pertinenza dell'appaltatore cessato e sono stati ritirati all'atto della cessazione dell'appalto.

Inoltre il Tribunale rileva che, quanto all'organizzazione del lavoro, a seguito del passaggio del servizio, è cambiato anche il referente dei lavoratori.

I predetti cambiamenti determinano una soluzione di continuità rispetto al passato e, quindi, integrano la discontinuità di elementi caratteristici richiesti dalla norma per escludere il trasferimento d'azienda.

Osservazioni

L'art. 29, comma 3, D.Lgs. 276/2003 è stato modificato dall'art. 30, l. 7 luglio 2016, n. 122 (Legge europea 2015-2016) in seguito alla procedura di pre-infrazione della Commissione Europea nei confronti del nostro Paese (fascicolo «EU PILOT», n. 7622/15/EMPL) per possibile violazione della disciplina comunitaria, in ragione della precedente formulazione della norma e dalla conseguente applicazione giurisprudenziale che escludeva il “cambio appalto” dalle ipotesi di trasferimento di azienda.

Il riferimento legislativo alla presenza di “elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa” quale elemento qualificativo e definitorio di esclusione del trasferimento d'azienda nel cambio d'appalto è frutto di una particolare elaborazione creativa del legislatore del 2016, per tentare di escludere dall'automatismo circolatorio dell'art. 2112 c.c. (anch'esso frutto di revisioni per adeguamento alla Direttiva 2001/23/CE del Consiglio) gli appaltatori dotati di propria struttura organizzativa. A ben vedere le indicazioni comunitarie prospettavano la questione da un'ottica differente: quella delle caratteristiche dell'operazione di (suc)cessione, ritenendo incompatibile con il quadro normativo europeo l'esclusione (operata dalla normativa e giurisprudenza italiana) della configurazione del trasferimento d'azienda in tutti i casi in cui il cambio d'appalto non fosse accompagnato (oltre che dal passaggio del personale) da un trasferimento di beni di “non trascurabile entità”. L'elemento discretivo individuato dalla Commissione Europea era quindi derivante dall'analisi del fenomeno economico complessivo realizzato tra gli appaltatori e dal peso, in esso, del trasferimento dei mezzi di produzione (in armonia con la definizione di “trasferimento” di cui all'art. 1, comma1 lett. a) della Direttiva 2001/23/CE che comprende quello di un'entità economica che conserva la propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un'attività economica, sia essa essenziale o accessoria) e non dalla verifica delle modalità di esecuzione del servizio quali elementi caratterizzanti l'identità dell'impresa dell'appaltatore subentrato.

In questo senso, il Tribunale di Milano, nella decisione in commento, rivolge la propria indagine sia alla componente strumentale dei mezzi di produzione che a quella organizzativa del lavoro e dei lavoratori, ravvisando nella modifica di tali elementi la discontinuità richiesta dalla norma italiana ai fini della esclusione del fenomeno circolatorio protetto.

Nello stesso senso si colloca anche altra recente giurisprudenza di merito laddove ritiene che vi sia una possibile identità di impresa tra l'attività dell'appaltatore uscente e quella dell'appaltatore subentrante ove si tratti di mera mutazione della titolarità della stessa, escludendo la configurabilità del trasferimento di azienda quando l'imprenditore succede nell'appalto con una propria struttura sia sul piano organizzativo che operativo senza acquisire beni e mezzi di rilevante entità utilizzati dall'appaltatore uscente (Corte Appello Genova, sez. lav., 16 aprile 2021, n. 81).

Così, in caso di reinternalizzazione di una fase dell'attività produttiva già oggetto di subappalto, è stato ritenuto che qualora vengano utilizzati i medesimi beni strumentali e una consistente parte dei dipendenti già in forza al subappaltatore, si applichi la disciplina del trasferimento d'azienda, posto che non sono ravvisabili elementi di discontinuità tali da giustificarne l'esclusione (Tribunale Pavia, 10 settembre 2019, n. 286). Anche la Suprema Corte ha avuto modo di rilevare che la norma in questione vada intesa nel senso che la mera assunzione, da parte del subentrante nell'appalto, non integra di per sè trasferimento d'azienda ove non si accompagni alla cessione dell'azienda o di un suo ramo autonomo, per cui se in un determinato appalto di servizi un imprenditore subentra ad un altro e nel contempo ne acquisisce il personale e i beni strumentali organizzati (cioè l'azienda), la fattispecie non può che essere disciplinata dall'art. 2112 c.c. (Cass., sez. lav., 31 gennaio 2020, n.2315).

A prescindere dall'ottica esegetica, problemi sorgono soprattutto in relazione agli appalti cd. labour intensive (es. servizi di vigilanza, picking, merchandising, etc.) laddove la manodopera è elemento preponderante se non esclusivo dei servizi appaltati. In questi casi l'elemento di discontinuità non può che essere individuato e valutato in base alle caratteristiche e modalità peculiari dell'organizzazione dei lavoratori impiegati sul servizio e ad eventuali ulteriori elementi non presenti presso l'organizzazione del cedente (es. know how), non essendo elemento sufficiente di discontinuità d'impresa la nuova gestione amministrativo contabile dei lavoratori (Tribunale Padova, sez. lav., 28 aprile 2017, n. 13), nè la mera riduzione quantitativa dei servizi appaltati (Tribunale Bologna, 7 luglio 2017, n. 5941). Ciò pur tenendo presente che in queste ipotesi anche un gruppo di lavoratori che assolva stabilmente un'attività comune può corrispondere ad un'entità economica (i.e. che abbia una propria collocazione nel mercato e sia suscettibile di valutazione economica), suscettibile di trasferimento ai sensi dell'art. 2112 c.c..

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