E' incostituzionale l'esclusione della mediazione obbligatoria dal patrocinio a spese dello Stato
15 Febbraio 2022
Massima
E' fondata la questione di illegittimità costituzionale degli artt. 74, comma 2, e 75, comma 1, del d.P.R. 115/2002, nella parte in cui non prevedono che il patrocinio a spese dello Stato sia applicabile anche all'attività difensiva svolta nell'ambito dei procedimenti di mediazione di cui all'art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. 28/2010, quando nel corso degli stessi è stato raggiunto un accordo, nonché dell'art. 83, comma 2, del medesimo d.P.R. 115/2002, nella parte in cui non prevede che, in tali fattispecie, alla liquidazione in favore del difensore provveda l'autorità giudiziaria che sarebbe stata competente a decidere la controversia. Il caso
Il difensore nominato dall'amministratore di sostegno di una parte ammessa in via provvisoria al patrocinio a spese dello Stato, aveva presentato al giudice tutelare del Tribunale di Oristano istanza di liquidazione del proprio compenso per l'attività svolta nel corso di un procedimento di mediazione obbligatoria durante il quale le parti avevano raggiunto un accordo per la composizione bonaria della lite, sicché il processo non era stato poi introdotto. Il giudice, ritenendo che l'accoglimento dell'istanza di liquidazione fosse stato precluso dagli artt. 74, comma 2, e 75, comma 1, del d.P.R. 115/2002, dal momento che tali norme non prevedono la possibilità di liquidare il compenso a carico dello Stato qualora l'attività difensiva sia stata espletata esclusivamente in sede di mediazione, senza dunque che sia stato instaurato il giudizio, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale delle stesse per contrasto con artt. 3 e 24, terzo comma, Cost.. La Consulta ha esaminato anche l'analoga questione, estesa anche al parametro dell'art. 36 Cost., che era stata sollevata dal Tribunale di Palermo. La questione
La Corte costituzionale era stata investita della questione della compatibilità costituzionale delle norme che, nel definire l'ambito di applicazione del patrocinio a spese dello Stato, lo escludevano per l'attività svolta nella fase di mediazione obbligatoria ante causam alla quale non fosse seguita la proposizione del giudizio. Le soluzioni giuridiche
Fino a qualche anno fa tra commentatori ed operatori del diritto era diffusa l'opinione che non fosse possibile ottenere il patrocinio a spese dello Stato per l'attività stragiudiziale, pur nella ricorrenza delle condizioni di reddito previste per l'ammissione al beneficio. L'unico precedente di merito edito (Trib. Torino, 17 febbraio 2006) che aveva esaminato la questione aveva individuato, quali dati normativi, presenti nel d.P.R. 115/2002, che ostavano ad una simile eventualità i seguenti: - l‘art. 74, comma 2, che fa riferimento esclusivo al «processo civile, amministrativo, contabile, tributario e affari di volontaria giurisdizione», cosicché sembrerebbe escludere tutto ciò che esula dal giudizio civile (e dalla volontaria giurisdizione); - l'art. 75, comma 2, che indica altre ipotesi alle quali si applica la disciplina del patrocinio a spese dello Stato, tra le quali non è ricompresa l'attività stragiudiziale; - l'art. 122 che richiede che nell'istanza siano specificate, a pena di inammissibilità, le prove di cui si intende chiedere l'ammissione; - l'art. 124 che prevede che l'istanza sia presentata al consiglio dell'ordine del luogo in cui ha sede il giudice competente a decidere nel merito o il magistrato ove pende il procedimento. Anche la Corte di cassazione (Cass. civ., 23 novembre 2011, n. 24723), più recentemente, si era espressa negativamente sulla possibilità di riconoscere il patrocinio a spese dello Stato per l'attività stragiudiziale ma in tale occasione, confermando con ciò un proprio precedente orientamento, aveva anche affermato una nozione lata di attività giudiziale, secondo la quale «devono considerarsi giudiziali anche quelle attività stragiudiziali che, essendo strettamente dipendenti dal mandato alla difesa, vanno considerate strumentali o complementari alle prestazioni giudiziali, cioè di quelle attività che siano svolte in esecuzione di un mandato alle liti conferito per la rappresentanza e la difesa in giudizio (e sulla base di tale presupposto è stato riconosciuto dovuto il compenso per l'assistenza e l'attività svolta dal difensore per la transazione della controversia instaurata dal medesimo)». Parte della dottrina aveva però criticato la premessa, dalla quale muoveva la ricostruzione suddetta, della qualificazione come giudiziale della prestazione stragiudiziale del difensore, con conseguente suo assoggettamento alla copertura economica pubblica assicurata ai non abbienti, sulla base dall'esistenza di un mandato ad agire, se non addirittura dell'instaurazione di un processo giurisdizionale sulla stessa controversia. Dopo l'introduzione nel nostro ordinamento della mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali un autore (Luiso, Orientamenti giurisprudenziali sul patrocinio a spese dello Stato in materia civile, in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ., 2012, 625) ha infatti osservato che le conclusioni alle quali era giunta la Suprema corte andavano coordinate con le fattispecie di mediazione obbligatoria di cui all'art. 5 del d. lgs. 28/2010. In tali casi, infatti, la fase stragiudiziale è strumentale, per utilizzare le parole di Cass. civ., n. 24723/2011, alla prestazione giudiziale, e quindi rientra a pieno titolo nella previsione di cui all'art. 74, d.P.R. 115/2002. Una parte della giurisprudenza di merito era giunta ad affermare la possibilità di porre a carico dello Stato il patrocinio prestato anche in una mediazione ante causam, che avesse prodotto un esito conciliativo, e a prescindere che si fosse trattato di mediazione obbligatoria o volontaria, sulla base della duplice considerazione che anch'essa costituisce una fase del processo e che in caso contrario la disciplina del T.U.S.G. sarebbe in contrasto con il parametro dell'art. 24 Cost., (Trib. Firenze, 15 gennaio 2015; Trib. Ascoli, Piceno 12 settembre 2016, Trib. Bologna, 13 settembre 2017, Trib. Trieste, 29 novembre 2017). Secondo un contrapposto indirizzo, in mancanza di una espressa previsione legislativa, non poteva essere liquidato a carico dell'Erario il compenso del difensore per l'attività svolta durante un procedimento di mediazione, se ad esso non fosse seguita la fase contenziosa (Trib. Firenze, 15 gennaio 2015; Trib. Tempo Pausania, 19 luglio 2016 e Trib. Roma, 11 gennaio 2018; Cass. civ., 31 agosto 2020, n. 18123). Osservazioni
A ben vedere la soluzione sostenuta dal secondo degli orientamenti esposti nel precedente paragrafo era quella aderente alle norme che definivano l'ambito di applicazione del patrocinio a spese dello Stato, mentre quella che, sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata, era giunta ad includervi anche la mediazione obbligatoria, a ben vedere, aveva finito per creare una disciplina difforme da quella, esorbitando dalla mera attività interpretativa. La via corretta per far emergere l'irragionevolezza di tale disciplina era quindi quella che è stata seguita dai Tribunali di Oristano e di Palermo e che ha portato la Corte costituzionale a ritenere fondate le questioni, in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, in relazione, rispettivamente, al principio di ragionevolezza e a quello di eguaglianza sostanziale, e 24, terzo comma, Cost. Si noti che analoga questione di incostituzionalità era già stata prospettata anche nel giudizio di cassazione deciso con la sentenza 31 agosto 2020, n. 18123 (per un commento a tale pronuncia si veda: Vaccari, Patrocinio a spese dello Stato e mediazione: una disciplina incostituzionale ?, in questo portale) ma la Corte l'aveva ritenuta irrilevante, e comunque infondata, sulla base del rilievo che nel caso esaminato la richiesta di compenso era correlata ad attività professionale stragiudiziale dimenticando però che si verteva in una ipotesi di mediazione obbligatoria, che, come tale costituisce una fase del giudizio anche quando questo non venga instaurato per effetto della conciliazione tra le parti. E' opportuno peraltro chiarire che le più che condivisibili conclusioni della Consulta valgono solo rispetto alla mediazione obbligatoria ante causam mentre l'attività svolta nella mediazione obbligatoria svolta nella pendenza del giudizio può beneficiare del patrocinio a spese dello Stato. Per comprendere le ragioni di una simile affermazione occorre tener presente che le fattispecie di mediazione obbligatoria, compresa quindi la mediazione demandata dal giudice ai sensi dell'art. 5, comma 2, d. lgs. 28/2010, costituiscono delle fasi stragiudiziali strumentali, per utilizzare le parole di Cass. civ., n. 24723/2011, alla prestazione giudiziale e quindi in teoria potrebbero beneficiare del patrocinio erariale. Tale soluzione del resto è ammessa dalla disciplina speciale contenuta nel d. lgs. 116/2005, che ha recepito in Italia la Direttiva UE 2003/8, intesa a migliorare l'accesso alla giustizia nelle controversie transfrontaliere civili, attraverso la definizione di norme minime comuni relative al patrocinio a spese dello Stato ed in particolare nell'art. 10 di tale testo normativo. Non vi è motivo, a giudizio di chi scrive, per limitare tale previsione, che si attaglia perfettamente alla mediazione obbligatoria e a quella demandata dal giudice, alle sole controversie transfrontaliere, atteso che tale soluzione determinerebbe una disparità di trattamento per situazioni sostanzialmente identiche. Nel d.lgs. 116/2005 è poi presente un'altra norma, l'art. 6, comma 2, che riconosce la possibilità di ottenere il patrocinio a spese dello Stato anche per la «consulenza legale nella fase conciliativa pre - contenziosa al fine di giungere a una soluzione prima di intentare un'azione legale» e questa ulteriore previsione ricomprende la mediazione volontaria, in quanto anch'essa è finalizzata ad evitare un possibile contenzioso. Tornando a considerare la disciplina nazionale, allorquando la mediazione sfoci o prosegua con il giudizio, è possibile considerarla a pieno titolo una «fase del processo» o anche una delle «eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse» (sott. al processo), alle quali fa riferimento l'art. 75, comma 1, del d.P.R. n. 115/2002. A conforto di questa interpretazione va anche evidenziato come il considerando 13 della Direttiva CE 2008/52, relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale, affermi che la mediazione «(…)dovrebbe essere un procedimento di volontaria giurisdizione nel senso che le parti gestiscono esse stesse il procedimento e possono organizzarlo come desiderano e porvi fine in qualsiasi momento» cosicché, stando a tale definizione, potrebbe rientrare a pieno titolo nella categoria degli affari di volontaria giurisdizione di cui all'art. 74, comma 2, del d.P.R. 115/2002. La conclusione appena vista, rima dell'intervento della Consulta, non era estensibile anche alla mediazione obbligatoria che fosse sfociato in una conciliazione prima del giudizio. Ad essa ostavano non solo le norme censurate nei giudizi di legittimità sopra richiamati ma anche altre norme del testo unico, che presuppongono chiaramente l'introduzione o la prosecuzione di un giudizio, condizioni queste che possono verificarsi solo se la mediazione non sortisca esito transattivo. Si pensi all'art. 122, che prescrive che nell'istanza di ammissione siano indicate, a pena di inammissibilità, le prove di cui si intende chiedere l'ammissione, o all'art. 93, primo comma, che stabilisce che l'istanza di ammissione vada presentata all'«ufficio del magistrato innanzi al quale pende il processo». Ancora, è opportuno richiamare l'art. 83, comma 2, che attribuisce la competenza a liquidare il compenso, e, corrispondentemente quella a revocare il beneficio del patrocinio, all'«autorità giudiziaria che ha proceduto». A conferma di quanto si sta dicendo va evidenziato, sotto il profilo pratico, che l'istanza di liquidazione del compenso relativa ad una ADR pre-giudiziale conclusasi con esito conciliativo non poteva essere decisa dal giudice che ha proceduto, perché non c'era stato un giudizio, ma avrebbe dovuto dar luogo ad un autonomo procedimento di cognizione. Non paiono aver tenuto conto degli aspetti fin qui esposti le pronunce di merito, menzionate nel precedente paragrafo, che, anche a fronte del contesto normativo descritto, hanno ritenuto che anche la mediazione ante causam rientri nell'ambito di applicazione del patrocinio erariale. Tali decisioni superavano la richiamata disciplina del T.U.S.G. non considerando che il disposto dell'art. 296 stabilisce che: «le disposizioni contenute nel presente testo unico non possono essere abrogate, derogate, sospese o comunque modificate se non in modo esplicito, attraverso l'indicazione precisa delle fonti da abrogare, derogare, sospendere o modificare». In una di queste (Trib. Firenze, 15 gennaio 2015 cit.) si afferma però anche, in parziale difformità da quanto qui sostenuto, che: «(…) la connessione tra fase mediativa e processo, talmente forte da configurare una condizione di procedibilità, va riconosciuta già in astratto. Non appare rilevante dunque che poi, in concreto, in base cioè al concreto risultato della mediazione, il processo non abbia più luogo perché divenuto inutile alla luce dell'accordo raggiunto». In realtà l'esito della mediazione, come di qualsiasi altra ADR, influisce sulla applicabilità di alcune rilevanti disposizioni del d.P.R. 115/2002. Pertanto, alla luce delle superiori considerazioni, deve ritenersi, a differenza delle pronunce sopra citate, che la disciplina che escludeva dal patrocinio a spese dello Stato l'attività prestata in una mediazione obbligatoria ante causam che avesse avuto esito conciliativo era irragionevole, dal momento che, anche in questo caso, il procedimento di mediazione, per le medesime ragioni sopra dette, costituisce pur sempre una fase del processo, cosicchè l'assistenza prestata nel corso di esso dovrebbe ricevere il medesimo trattamento di quella resa in una mediazione obbligatoria seguita dal giudizio. Ulteriore criticità di quel regime si rinveniva nel fatto che essa induceva la parte che si fosse trovata nelle condizioni per essere ammessa al patrocinio erariale a non coltivare la mediazione e a perseguire nel giudizio poiché solo così avrebbe potuto beneficiare dell'istituto. Le problematiche sopra esposte non si pongono invece rispetto all'attività di assistenza difensiva prestata in una mediazione volontaria o in una mediazione obbligatoria, che non sfoci nè in una conciliazione né in un giudizio, poiché tali procedure non possono considerarsi fasi di un processo secondo l'accezione che di tale fase del processo viene data nel T.U.S.G. A ciò aggiungasi che la mediazione volontaria non è una fase necessaria del processo, perchè è scelta liberamente dalla parte, cosicchè non può beneficiare del patrocinio erariale nemmeno quando ad essa segua il giudizio. Dopo la decisione in esame risulta ancor più evidente l'incostituzionalità del comma 6 dell'art. 3 del d. l. 132/2014, in tema di negoziazione assistita secondo il quale: «quando il procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda all'avvocato non è dovuto compenso dalla parte che si trova nelle condizioni per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell'articolo 76 (L) del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al d.P.R. 115/2002 e successive modificazioni…». E si noti che la formulazione della norma è così ampia da escludere il patrocinio a spese dello Stato anche per la negoziazione assistita che si svolga in corso di causa senza giungere ad un esito conciliativo. A ben vedere con essa è stato di fatto reintrodotto, limitatamente a questo tipo di ADR, l'istituto del gratuito patrocinio, una volta disciplinato, in via generale, dal r.d. 3282/1923, abrogato dall'art. 23 della l. 217/1990. La disposizione appare irragionevole, e quindi in contrasto con l'art. 3 Cost., sotto almeno tre profili. Essa infatti non distingue l'ipotesi in cui, dopo l'insuccesso della negoziazione assistita, venga introdotto il successivo giudizio e questo si concluda favorevolmente per la parte non abbiente, con la condanna alle spese della controparte. Anche in questo caso, stando al tenore letterale della norma, al difensore della parte non abbiente non spetterebbe il compenso per l'attività prestata nella fase stragiudiziale, sebbene esso dovrebbe essere posto a carico della parte abbiente soccombente. Infine, va evidenziato come la previsione consenta, sia pure implicitamente, il patrocinio a spese dello Stato nei casi in cui la negoziazione assistita sia facoltativa, quindi anche nelle ipotesi di negoziazione assistita in materia matrimoniale, mentre il testo unico spese di giustizia esclude dall'ambito di applicazione dell'istituto le procedure stragiudiziali che non costituiscano fase di un processo. Riferimenti
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