Processo 231 anche alle società cancellate

12 Aprile 2022

La cancellazione dal registro delle imprese della società alla quale si contesti un illecito da reato di cui al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 non determina l'estinzione dell'illecito alla stessa addebitato.
Massima

La cancellazione dal registro delle imprese della società alla quale si contesti un illecito da reato di cui al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 non determina l'estinzione dell'illecito alla stessa addebitato.

(Fonte: IlPenalista.it)

Il caso

In sede di merito due legali rappresentanti di una impresa erano condannati per il reato di lesioni colpose commesso con violazione della disciplina antinfortunistica, mentre la società era dichiarata responsabile dell'illecito amministrativo di cui all'art. 25-septies, comma 3, d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, in relazione al reato di cui all'art. 590 c.p.

Per quanto di interesse in questa sede, la società, svolgente attività in campo edile, è stata ritenuta responsabile della violazione contestata per essere stato il reato commesso da soggetti con qualifica di rappresentanti ed amministratori ed a vantaggio e nell'interesse dell'ente. In sede di ricorso per cassazione, questa parte della decisione è stata impugnata perché le difese si lamentavano della omessa declaratoria di estinzione dell'illecito in ragione della documentata cancellazione della società dal registro delle imprese, cancellazione che, come affermato da dottrina e giurisprudenza, sarebbe da assimilare, quanto ad effetti, alla morte della persona fisica. Non aver riconosciuto un tal rilievo alla cancellazione dell'ente aveva determinato lo spostamento della responsabilità debitoria per la sanzione applicata all'ente in capo alle persone fisiche, come se si trattasse di una qualsiasi esposizione debitoria, mentre si trattava di una sanzione di carattere penale che andava sopportata solo dal soggetto responsabile dell'illecito.

La questione

Per lungo tempo, si è discusso se la cancellazione dal registro delle imprese avesse efficacia dichiarativa – per cui la relativa iscrizione non comportava anche l'estinzione della società, che era determinata, invece, soltanto dall'effettiva liquidazione dei rapporti giuridici pendenti che alla società facevano capo e dalla definizione di tutte le controversie giudiziarie in corso con i terzi per ragioni di dare e avere – o determinasse in ogni caso la definitiva estinzione della stessa. La materia è oggi regolamentata, nel secondo senso, dall'art. 2495 c.c., introdotto con il d.lgs. n. 6/2003, giusto il quale una volta cancellata la società, questa si estingue ipso facto indipendentemente dall'esistenza di crediti insoddisfatti o di rapporti ancora non definiti, come desumibile chiaramente dall'espressione «... ferma restando la estinzione della società...» utilizzata nel corpo del predetto articolo (Cass. pen., sez. un., 22 febbraio 2010, n. 4062).

Nonostante ciò, la Cassazione ha sempre ammesso il ricorso alla “cancellazione della cancellazione” (l'espressione è di Laudonia, Gli "effetti tombali" della cancellazione delle società sulle responsabilità da reato degli enti, in Soc., 2020, 747) che rappresenterebbe una forma di pubblicità «dichiarativa del mancato esaurimento di tutti i rapporti giuridici pendenti facenti capo alla s.r.l., la cui personalità deve negarsi si sia estinta, retroagendo l'accertamento a base del decreto della mancanza dei requisiti per la cancellazione dell'iscrizione e la sua estinzione, che deve quindi presumersi mai avvenuta, per essere continuata l'attività d'impresa di detto soggetto». Tale presunzione che l'estinzione non sia avvenuta sarebbe "relativa", ammettendosi la prova contraria in sede di modifica del provvedimento ad opera del giudice del registro o di una ordinaria azione di cognizione sulla pretesa esistenza dei requisiti ritenuti indispensabili all'estinzione (Fimmanò, Le Sezioni Unite pongono la "pietra tombale" sugli "effetti tombali" della cancellazione delle società di capitali, in Soc., 2013, 555; Fimmanò - Angiolini, Gli effetti della cancellazione della società alla luce delle pronunce delle sezioni unite della cassazione, in Riv. not., 2010, 1465). In questo senso, le Sezioni Unite con tre sentenze "gemelle", nn. 6070, e 6071, 6072, del 2013 hanno statuito come «dopo la riforma del diritto societario … qualora all'estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) l'obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, 'pendente societate', fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi».

A tale impostazione si rifà evidentemente Cass. pen., sez. II, 7 ottobre 2019, n. 4182 (pronunciata con riferimento ad una soggetta dichiarata fallita e dopo che la procedura concorsuale era ormai chiusa). Secondo questa decisione, infatti, posto che non ha senso procedere ai sensi del d.lgs. n. 231/2001 quando (come appunto si verifica per le società fallita) l'ente viene meno e scompare dall'universo giuridico e quindi la sentenza sarebbe inevitabilmente inutiliter data, tale conclusione viene meno in caso di possibile “cancellazione della cancellazione” ovvero quando l'estinzione della società abbia connotazioni e finalità fraudolente e quindi debba procedersi al suo annullamento con le modalità anzidette.

Le soluzioni giuridiche

Il ricorso è stato rigettato.

Dopo aver osservato che nel caso di specie il procedimento non era prescritto, in quanto, a differenza delle persone fisiche, la richiesta di rinvio a giudizio della persona giuridica, in quanto atto di contestazione dell'illecito, interrompe il corso della prescrizione e lo sospende fino alla pronunzia della sentenza che definisce il giudizio, come previsto espressamente dall'art. 22, comma 4, d.lgs. n. 231/2001 (Cass. pen., sez. IV, 18 novembre 2021, n. 5121; Cass. pen., sez. VI, 15 gennaio 2020, n. 12278), la Cassazione ritiene che la cancellazione della società dal registro delle imprese è irrilevante nel senso che non impedisce la prosecuzione del procedimento penale ex d.lgs. n. 231/2001 nei confronti dell'ente che si è provveduto a cancellare.

Come accennato, sul punto la Cassazione (Cass. pen., sez. II, 10 settembre 2019, n. 41082) aveva deciso diversamente sostenendo che «in tema di responsabilità da reato degli enti, l'estinzione fisiologica e non fraudolenta dell'ente (nella specie cancellazione della società a seguito di chiusura della procedura fallimentare) determina l'estinzione dell'illecito previsto dal d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, ricorrendo un caso assimilabile alla morte dell'imputato» (principio richiamato nella parte motiva della recente sentenza di Cass. pen., sez. V, 27 aprile 2021, n. 25492). Secondo questa giurisprudenza, l'art. 35 d.lgs. n. 231/2001 estende all'ente le disposizioni relative all'imputato, per cui nel caso in cui si verifichi l'estinzione fisiologica e non fraudolenta dell'ente (nel caso di specie si era in presenza di una chiusura della procedura fallimentare), si verte in un caso assimilabile a quello della morte dell'imputato dato che si è verificato un evento che inibisce la progressione del processo ad iniziativa pubblica previsto per l'accertamento della responsabilità da reato di ente ormai estinto, ovvero di una persona giuridica non più esistente. Tale scelta interpretativa risulterebbe confermata dal fatto che il testo legislativo regolamenta sole le vicende inerenti alla trasformazione dell'ente, ovvero la fusione o la scissione (art. 70 d.lgs. n. 231/2001), ma non la sua estinzione, che dunque non può che essere trattata applicando le regole del processo penale (art. 35 d.lgs. n. 231/2001).

Per questa ragione, in una prima occasione la Suprema Corte ha ritenuto non operante nel processo a carico dell'ente per l'accertamento della responsabilità da reato il principio espresso dalla giurisprudenza civile secondo cui la cancellazione di una società di capitali dal registro delle imprese determina un fenomeno successorio in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all'ente non si estinguono ma si trasferiscono ai soci che, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui sono soggetti pendente societate, ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione ovvero illimitatamente (Cass. civ., sez. V, 17 maggio 2019, n. 13386; Cass. civ., sez. III, 21 agosto 2018, n. 20840). Il trasferimento dei rapporti obbligatori in capo ai soci riconosciuto dalla giurisprudenza civile è infatti correlato alla necessità di tutelare l'interesse dei soggetti privati che vantano ancora pretese nei confronti dell'Ente; la natura pubblica del processo a carico della società previsto dal d.lgs n. 231 del 2001 è invece incompatibile con l'estinzione non fraudolenta dell'ente, ovvero con la cancellazione dal registro dalle imprese che consegue fisiologicamente a determinati eventi, come la chiusura della procedura fallimentare: tale evento produce infatti l'estinzione della persona giuridica "accusata" e, dunque, impedisce la prosecuzione del processo, salvo che tale cancellazione piuttosto che fisiologica sia invece fraudolenta, caso che imporrà la valutazione della eventuale responsabilità degli autori della cancellazione "patologica".

La decisione in commento intende superare questo orientamento. Dopo aver sottolineato – sia pur in via incidentale – le implicazioni pratiche della precedente impostazione, che la Cassazione rinviene nella possibilità di procedere con estrema facilità a cancellazioni "di comodo" dal registro delle imprese, con conseguente irresponsabilità della società per eventuali illeciti posti in essere nel suo interesse o a suo vantaggio, e anche dalle difficoltà nell'accertamento «della eventuale responsabilità degli autori della cancellazione "patologica"», la IV sezione della Corte Suprema ritiene assolutamente non convincente il parallelo fra l'estinzione dell'ente e la morte della persona fisica. In particolare, secondo la Cassazione, dato atto che la disciplina, presente nella sezione II del capo II del d.lgs. n. 231/2001 (artt. 28 e ss.), in tema di vicende trasformative dell'ente (trasformazione, fusione e scissione della società nonché cessione dell'azienda), un tale silenzio tale in ordine alle vicende estintive dell'ente non può indurre ad accontentarsi di un accostamento che appare essere solo suggestivo con l'estinzione della persona fisica e ciò per una pluralità di motivi.

In primo luogo, va considerato come le cause estintive dei reati sono notoriamente un numerus clausus non estensibile ed il legislatore della responsabilità delle persone giuridiche quando ha inteso far riferimento a cause estintive degli illeciti lo ha fatto espressamente, come nel caso dell'art. 8, comma 2, d.lgs. n. 231/2001, allorché ha disciplinato l'amnistia, peraltro modellando la rinunziabilità alla stessa sulla falsariga della disciplina vigente per le persone fisiche, o come può riscontrarsi considerando il successivo art. 67, ove è prevista l'adozione della sentenza di non doversi procedere in due soli casi: quando il reato dal quale dipende l'illecito amministrativo dell'ente è prescritto e quando la sanzione è estinta per prescrizione.

In secondo luogo, deve osservarsi come, essendo pacifico il principio di diritto fissato dalle Sezioni Unite (Cass. pen., sez. un., 25 settembre 2014, n. 11170), secondo cui «in tema di responsabilità da reato degli enti, il fallimento della persona giuridica non determina l'estinzione dell'illecito amministrativo previsto dal d.lgs. n. 231 del 2001», non si comprende la ratio di un diverso trattamento della cancellazione della società, da cui discenderebbe l'estinzione dell'illecito amministrativo contestato all'ente, rispetto al caso di dichiarazione di fallimento, allorchè è expressis verbis prevista la esclusione dell'effetto estintivo. Infine, il richiamo che il difforme orientamento interpretativo opera all'art. 35 d.lgs. n. 231/2001 trascura che il rinvio operato dal legislatore alle disposizioni processuali relative all'imputato non è indiscriminato ma è solo «in quanto compatibili».

Sulla base di queste considerazioni, la Cassazione conclude nel senso che l'estinzione della persona giuridica, nelle società di capitali, comporta che la titolarità dell'impresa passi direttamente ai singoli soci, non avendo luogo una divisione in senso tecnico, come si ricava dagli artt. 2493 e 2495, comma 3, c.c., disciplinanti, rispettivamente, la distribuzione ai soci dell'attivo e l'azione esperibile da parte dei creditori nei confronti dei soci. Viene inoltre sottolineato che lo scioglimento della società, la cui nascita integra un contratto di durata, opera ex nunc per cui viene meno l'obbligo di esercitare l'impresa in comune ma non vengono meno i rapporti sorti nell'esercizio dell'impresa anteriormente allo scioglimento e non a caso la liquidazione della società avviene mediante conversione in denaro del patrimonio sociale.

Dalla nuova impostazione residua solo un profilo di criticità, che viene riconosciuto dalla decisione ma per il quale non si suggerisce una soluzione. Ci si riferisce al problema delle modalità con cui l'eventuale decisione di condanna – specie in caso di conseguente applicazione della sanzione pecuniaria – possa essere eseguita nei confronti di un soggetto giuridico che non esiste più, ma comunque ciò non pone un problema di accertamento della responsabilità dell'ente per fatti anteriori alla sua cancellazione, responsabilità che nessuna norma autorizza a ritenere destinata a scomparire per effetto della cancellazione dell'ente stesso.

Considerazioni conclusive

La sentenza della Cassazione non convince.

Le criticità, a nostro parere, non investono il caso in cui l'accertamento penale e l'irrogazione delle sanzioni si verifichi prima della cancellazione. In questa circostanza, infatti, se le misure interdittive risultano non eseguibili o, se in corso di esecuzione, la loro applicazione va interrotta, quelle pecuniarie, ai sensi degli artt. 2312, comma 2 e 2495, comma 2, c.c., sarebbero da imputare ai soci, seppure nei limiti di quanto percepito a titolo di ripartizione dell'attivo residuo. In questo caso, infatti, non si sarebbe in presenza di un un'atipica ipotesi di responsabilità per fatto altrui, ma di una peculiare conseguenza di tipo meramente esecutivo, il cui scopo è quello di far valere la responsabilità consequenziale alla ripartizione del patrimonio dell'ente medesimo (Laudonia, Gli "effetti tombali" della cancellazione, cit., 747).

I problemi – insuperabili – si pongono nel caso in cui la cancellazione intervenga prima della decisione finale. In questa circostanza, per quanto si voglia negare l'equiparazione tra morte del reo e cancellazione della società, è innegabile che l'estinzione dell'ente determina l'inapplicabilità delle relative sanzioni che risulterebbero inflitte inutilmente e, in ogni caso, non assolverebbero ad alcuna delle funzioni cui sono preordinate se applicate alla società cancellata dal registro delle imprese. Le sanzioni interdettive presuppongono infatti che l'ente sia pienamente operativo e che possa proseguire nell'attività cui si riferisce l'illecito, laddove, di contro, se l'ente è stato cancellato dal registro delle imprese, è evidente che, essendo lo stesso non più attivo, l'irrogazione di sanzioni interdittive sarebbe priva di effetti, non potendosi, già solo dal punto di vista logico, certamente inibire o limitare un'attività imprenditoriale non più esercitata.

Analogamente deve dirsi per le sanzioni pecuniarie e per la misura di sicurezza patrimoniale della confisca, la cui funzione è quella di colpire il patrimonio dell'ente, attraverso la previsione di un obbligo di pagamento a favore dello Stato, ovvero privandolo, come nel caso della confisca, del prezzo e del profitto del reato: anche in questo caso la finalità della sanzione è di colpire l'ente nella disponibilità economica necessaria per la sua operatività nel mondo giuridico, con l'effetto che, se il suo patrimonio è stato liquidato e la società, conseguentemente, è stata cancellata dal registro delle imprese, le eventuali sanzioni pecuniarie e la confisca sarebbero anch'esse inutiliter datae, mancando un patrimonio su cui far valere tale pretesa, posto che, come stabilito dall'art. 27, d.lgs. n. 231/2001, dell'obbligazione per il pagamento della sanzione pecuniaria risponde soltanto l'ente con il suo patrimonio e fondo comune, con conseguente impossibilità di agire sul patrimonio personale degli amministratori, presenti o passati. Contro quanto fin qui detto non si può obiettare che, ai sensi dell'art. 2495, comma 2, c.c., l'eventuale credito dello Stato derivante dagli illeciti amministrativi dell'ente potrebbe in caso di cancellazione della società essere, in ogni caso, fatto valere, in sede esecutiva nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, ovvero nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento sia dipeso da colpa di costoro, al pari di ogni altra obbligazione sociale rimasta insoddisfatta, e indipendentemente da una loro consapevole partecipazione alla commissione dell'illecito amministrativo dipendente dal reato per il quale è intervenuta condanna. Quando la sentenza di condanna sia intervenuta (non prima come nell'ipotesi vista in precedenza, ma) dopo l'estinzione della società, ritenere i soci tenuti al pagamento della somma determinata in sentenza si pone in contrasto con il principio di responsabilità personale e del principio di colpevolezza, in quanto dell'obbligazione per il pagamento della sanzione pecuniaria irrogata all'ente finirebbero col rispondere, con il loro patrimonio, terzi in buona fede (i soci ovvero i liquidatori), pur se completamente estranei alla fattispecie delittuosa che ha generato la responsabilità amministrativa dell'ente.

Queste considerazioni impediscono di ritenere rilevante la (questa sì davvero erronea) equiparazione fra cancellazione della società e cancellazione della stessa dal registro delle imprese. Come sottolineato dalla stessa decisione delle Sezioni Unite citata dalla pronuncia in commento – che, evidentemente, non l'ha però pienamente analizzata -, la dichiarazione di insolvenza della persona giuridica – quale che sia la procedura concorsuale che viene ad aprirsi – non è normativamente prevista quale causa estintiva dell'illecito dell'ente e non è possibile assimilare il fallimento della società alla morte del reo perché una società in stato di dissesto, per la quale si apra la procedura fallimentare, non può dirsi estinta, tanto è vero che il curatore ha esclusivamente poteri di gestione del patrimonio al fine di evitare il depauperamento dello stesso e garantire la par condicio creditorum mentre la proprietà del patrimonio compete ancora alla società – e non a caso la sentenza Cass. pen., sez. II, 7 ottobre 2019, n. 4182, che aveva escluso si potesse procedere ai sensi del d.lgs. n. 231/2001 nei confronti di società estinte, era stata pronunciata con riferimento ad una soggetta (non semplicemente) dichiarata fallita (ma) la cui la procedura concorsuale era ormai chiusa.

In terzo luogo, non pare particolarmente rilevante la circostanza, valorizzata invece dalla decisione in commento, della mancanza di qualsivoglia riferimento alla liquidazione ed alla cancellazione della società dal registro delle imprese nella disciplina in tema di vicende modificative dell'ente, giacché nel silenzio serbato dal legislatore potrebbe rinvenirsi un ulteriore elemento a sostegno della rilevanza dell'estinzione dell'ente nel sistema 231: la portata eccezionale delle norme relative alle vicende modificative dell'ente infatti ne impedirebbe l'estensione al di fuori dei casi espressamente disciplinati, considerando come 1a cancellazione della società dal registro delle imprese produce, quale effetto costitutivo, l'irreversibile estinzione della società e non può essere paragonata alla trasformazione o fusione dell'ente, né alla scissione o cessione di azienda, poiché le prime due presuppongono una prosecuzione del soggetto giuridico sotto una diversa forma giuridica e le altre una vicenda modificativa dell'ente che estende le responsabilità per le obbligazioni nascenti dalla sentenza di condanna al cessionario dell'azienda, anche nell'ipotesi che quest'ultimo sia un soggetto estraneo alle vicende che hanno determinato 1a contestazione dell'illecito in capo alla società.

Quanto all'ultimo profilo evidenziato dalla decisione in commento a sostegno della tesi che ritiene potersi procedere ex d.lgs. n. 231/2001 anche nei confronti di società cancellate, e cioè le possibili deleterie conseguenze che potrebbero derivare dall'accoglimento della tesi opposta, che consentirebbe alle imprese di sollevarsi dal rischio di sanzione semplicemente provvedendo alla loro cancellazione del registro delle imprese, a tale osservazione può replicarsi evidenziando come molteplici siano le possibilità di reazione di cui dispone il pubblico ministero in caso di estinzione della società a seguito di immotivata e fraudolenta cancellazione. Al di là della possibilità di ostacolare – se non precludere tout court – la liquidazione e la cancellazione della società mediante l'istituto del sequestro, anche conservativo ex art. 54 d.lgs. n. 231/2001, funzionale proprio ad evitare che si disperdano "le garanzie per il pagamento della sanzione pecuniaria, delle spese del procedimento e di ogni altra somma dovuta all'erario dello Stato", occorre ricordare che l'organo inquirente può richiedere (sia pur entro un lasso temporale non molto ampio) il fallimento della società cancellata ai sensi dell'art. 7, comma 2, R.d. n. 267/1942, con conseguente possibilità, in questo caso, di procedere nei confronti della società dichiarata insolvente in sede giudiziale sulla base delle considerazioni anzidette; in secondo luogo, prendendo atto della giurisprudenza civile che, come si è visto, ammette “la cancellazione della cancellazione”, è possibile per l'organo inquirente fare istanza in tal senso perché si proceda alla rimozione della cancellazione dal registro in precedenza intervenuta quando ritenga di poter dimostrare che la società non abbia mai cessato medio tempore di operare e di esistere (non limitandosi quindi a richiamare la pendenza dei rapporti non definiti).

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