Il costruttore/venditore può esonerarsi dal contribuire alle spese condominiali per effetto di una clausola del regolamento contrattuale?
19 Aprile 2022
Massima
È legittimo l'esonero, parziale o totale, dalle spese condominiali in favore dell'originario costruttore che maturano sulle unità immobiliari invendute, se tale accordo è previsto dal regolamento contrattuale o da tutti i titoli di compravendita, atteso che le disposizioni di cui all'art. 1123 c.c. sono derogabili esclusivamente attraverso un atto di convenzione [1]. L'esonero, tuttavia, non può avere una durata superiore ai primi due anni finanziari del condominio, a decorrere dalla data del primo atto di compravendita, atteso che, in caso di durata illimitata dell'esonero, questa pattuizione deve ritenersi vessatoria per il consumatore/acquirente [2]. Il caso
Una società impugnava alcune delibere assembleari che avevano ripartito tra tutti i condomini le spese condominiali, ivi compresa l'attrice, malgrado una specifica clausola del regolamento di condominio contrattuale la escludesse dal detto pagamento con riferimento a quegli immobili ancora intestati alla società in quanto non venduti. Il condominio si costituiva resistendo e chiedendo, in via riconvenzionale che, accertata la nullità della clausola regolamentare, anche parte attrice fosse chiamata a contribuire alle spese comuni. Se la difesa attrice sosteneva la validità della clausola in discussione, poiché in un regolamento condominiale sono da considerarsi vessatorie sole le clausole che introducono vincoli di destinazione reale, il convenuto - da parte sua - riteneva che, dovendo i singoli condomini essere qualificati come consumatori, ad essi si applicano le regole del codice del consumo, con la conseguenza che le clausole predisposte dalla società venditrice, non essendo state adeguatamente discusse con gli acquirenti devono essere considerate vessatorie. Trattandosi di causa meramente documentale, ritenute non ammissibili le istanze istruttorie orali formulate, il giudizio si definiva con il rigetto della domanda attrice, l'accoglimento di quella riconvenzionale formulata dal condominio e la dichiarazione di nullità della clausola del regolamento di condominio, oltre la compensazione delle spese di lite. La questione
La sola questione di diritto trattata concerne la validità o meno della clausola del regolamento contrattuale che esclude il proprietario venditore dal pagamento delle spese condominiali che si riferiscano ad unità immobiliari che siano di proprietà del venditore, anche se vuote ed invendute. Le soluzioni giuridiche
In via preliminare, il giudice del merito ha richiamato il principio più volte espresso dalla Corte di Cassazione, secondo il quale sono nulle le clausole contrattuali oggetto del c.d. regolamento futuro (noto anche come “regolamento in bianco”) da redigersi a cura del costruttore/venditore ed al quale questi richieda adesione da parte degli acquirenti delle varie unità immobiliari. Infatti, solo il concreto richiamo nel singolo atto di compravendita ad un determinato regolamento consente di considerare quest'ultimo come facente parte, per relationem, dello stesso (Cass. civ., sez. II, 10 febbraio 2020, n. 3058; Cass. civ., sez. II, 20 marzo 2015, n. 5657; Cass. civ., sez. II, 16 febbraio 2005, n. 3104), vincolando l'acquirente che vi presti adesione, ma non impedendo allo stesso di chiedere, in sede giudiziaria, l'accertamento della vessatorietà di quelle clausole che determinano uno squilibrio tra il costruttore ed il compratore/condomino, ponendo il primo in una posizione di vantaggio rispetto al secondo. In tal senso, la vessatorietà delle clausole deve essere valutata alla luce delle norme contenute nel Codice del consumo, rispetto alle quali il professionista (nella specie: il costruttore) deve dimostrare che la loro apposizione è frutto di specifiche trattative con il consumatore (alias: il condomino/acquirente). Ed a questo proposito, il Tribunale, in merito all'esenzione dalle spese condominiali, ha richiamato un precedente giurisprudenziale (Cass. civ., sez. II, 23 luglio 2019, n. 19832) che ha ritenuto applicabili le norme del Codice del consumo anche alla ripartizione di tali spese come siano state predisposte dall'originario proprietario di tutte le unità condominiali, in quanto oggettivamente ricollegabili all'attività professionale svolta, sempreché il condomino acquirente rivesta natura di consumatore, ovvero agisca per soddisfare esigenze personali e non professionali. Un principio che, secondo il giudicante, deve valere anche nel caso di un regolamento di natura contrattuale che sia stato recepito in tutti gli atti di vendita, ma a condizione che l'esenzione sia riferita ad un tempo determinato, poiché il periodo potenzialmente illimitato della durata dell'esenzione renderebbe la clausola vessatoria. Osservazioni
La decisione del Tribunale di Brescia appare interessante, non tanto per rappresentare un ulteriore tassello che conferma il già consolidato quadro di riconoscimento della nullità del regolamento futuro, quanto - in considerazione dell'oggetto della controversia - per essere incentrata sulla natura vessatoria delle clausole del regolamento condominiale e sul loro effetto nei rapporti condominiali che, nella fattispecie in esame, riguardavano la partecipazione o meno del costruttore/venditore alle spese comuni per tutte le sue proprietà rimaste ancora vuote perché non vendute. Nella ripartizione delle spese condominiali, occorre fare riferimento in primo luogo all'art. 1118, c.c., in base al quale il condomino non può sottrarsi all'obbligo di contribuire alle spese per la conservazione delle parti comuni, perché lo stesso non può rinunciare al suo diritto sulle cose comuni. Tanto è vero che è nulla la clausola, anche se contenuta nel contratto di vendita di un'unità immobiliare di un condominio, con la quale viene esclusa dal trasferimento la proprietà di alcune parti comuni, poiché con essa si intende attuare la rinuncia di un condomino alle già menzionate parti, vietata dal capoverso dell'art. 1118 c.c. (Cass. civ., sez. II, 21 agosto 2017, n. 20216; Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 2015, n. 1680). Una rinuncia che, secondo la giurisprudenza, sarebbe esclusa solo quando le cose comuni e i piani o porzioni di piano di proprietà esclusiva sono, per effetto di incorporazione fisica, inscindibili (c.d. condominialità “necessaria” o “strutturale”) oppure se, pur essendo suscettibili di essere separati senza danno reciproco, esista tra di essi un vincolo di destinazione che sia caratterizzato da indivisibilità essendo i beni comuni interessati essenziali per l'esistenza delle parti esclusive (Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 2021, n. 1610). Vi è, poi, l'art. 1123, comma 1, c.c. in base al quale le spese necessarie per la conservazione ed il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione, da intendersi tale una dichiarazione negoziale quale espressione di autonomia privata (Cass. civ., sez. II, 4 agosto 2016, n. 16321). Tali norme trovano applicazione immediata nel momento in cui avviene il passaggio di proprietà della prima unità immobiliare tra il costruttore e l'acquirente, poiché è in questo preciso momento che si dà vita al condominio. Si parla, infatti, di nascita ipso iure et facto in quanto, a tale fine, non sono necessarie apposite manifestazioni di volontà o altre esternazioni, essendo sufficiente che l'originario costruttore di un edificio diviso per piani o porzioni di piano alieni a terzi la prima unità immobiliare suscettibile di utilizzazione autonoma e separata, così perdendo, in quello stesso momento, la qualità di proprietario esclusivo delle pertinenze, delle cose e dei servizi comuni dell'edificio (Cass. civ., sez. II, 4 ottobre 2004, n. 19829; Cass. civ., sez. II, 10 dicembre 2019, n. 32237, con riferimento al supercondominio). Sia l'art. 1118, comma 3 c.c. che l'art. 1123 c.c. sono norme derogabili perché non inserite tra quelle che, per previsione dell'art. 1138 c.c., non possono essere modificate neppure dal regolamento di condominio. Ed è su questo punto che il Tribunale si è dovuto confrontare tenendo conto, da un lato, che il costruttore/venditore, fintanto che non ha venduto tutti gli appartamenti del proprio edificio, è e resta condomino a tutti gli effetti e, quindi, come tale, deve contribuire alla corresponsione degli oneri condominiali e, dall'altro, che vi può sempre essere una norma regolamentare che lo escluda dal pagamento di alcune spese e che, malgrado la iniquità della stessa, questa sia stata accettata in quanto il regolamento che la contiene sia stato recepito nei singoli atti di acquisto. A questo punto assume rilevanza il d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 il cui art. 3 definisce “consumatore o utente” la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta, mentre il “professionista” è la persona fisica o giuridica che agisce nell'esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario. Nell'àmbito della compravendita immobiliare condominiale, intervenuta tra l'originario costruttore e gli acquirenti/condomini, il primo assumerebbe la veste di professionista, mentre i secondi sarebbero i consumatori, con la peculiarità che - secondo prassi - il regolamento di condominio viene predisposto dal venditore con l'inserimento di clausole regolamentari e contrattuali, in quanto solo queste vanno ad incidere sui diritti dei condomini. Per queste si pone, altresì, il problema di verificarne la natura, proprio con riferimento alla normativa in materia di consumo, per accertarne la loro vessatorietà o meno in relazione alla posizione del condomino rispetto al costruttore/venditore, per evitare che vi sia uno sbilanciamento tra le due posizioni. Quindi, il regolamento contrattuale, che può modificare i criteri di ripartizione delle spese comuni, deve fare i conti con il carattere vessatorio della/e clausola/e che, per quanto concerne - come nel caso in esame - la specifica riserva posta dal costruttore in proprio favore (ovvero esenzione dal pagamento dei contributi condominiali per i propri immobili fino al momento in cui non saranno venduti a terzi), consiste nell'indeterminatezza della durata della stessa clausola. Per concludere, va rilevato, tuttavia, che la decisione con la quale il giudicante, per conferire validità ad un simile vantaggio, ha stabilito che l'esonero non può essere superiore ai primi due anni finanziari del condominio, con decorrenza dal primo atto di vendita, appare non convincente ed in contrasto con un fatto inconfutabile: ovvero che il costruttore, che sia proprietario di unità immobiliari non vendute, è un condomino che deve sopportare le spese riguardanti le sue proprietà, senza pretendere che le stesse siano ridistribuite tra gli altri condomini, con tutte le inevitabili conseguenze in caso di mancato adempimento da parte di coloro che rifiutino di versare oneri estranei a quanto disposto dall'art. 1123, comma 1, c.c. Riferimenti
Cecchini, Regolamento contrattuale, criteri di riparto e clausole vessatorie, in Condominioweb.com, 15 gennaio 2021; Tarantino, Esonero spese condominiali e vessatorietà della clausola: quando è applicabile il codice del consumo? in Condominioweb.com, 26 luglio 2019; Celeste, La vessatorietà della clausola compromissoria inserita nel regolamento di condominio, in Condominioelocazione, 28 dicembre 2017; Scarpa, Le clausole vessatorie nel regolamento di condominio, in Rass. loc. e cond., 1999, 481. |