Criticità del presupposto oggettivo della composizione negoziata
20 Aprile 2022
Quanto al presupposto oggettivo, nella composizione negoziata l'istanza di nomina dell'esperto può essere presentata – sia secondo l'art. 2 D.L. 118/2021 convertito dalla L. 147/2021, sia secondo la bozza finale licenziata dalla Commissione Pagni in cui si traduce lo Schema di decreto correttivo del Codice della crisi approvato dal Consiglio dei Ministri il 17 marzo 2022 (cd. “secondo correttivo”; art. 12) – quando l'imprenditore si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l'insolvenza e a condizione che risulti ragionevolmente perseguibile il risanamento dell'impresa. Il riferimento allo “squilibrio” sembra chiaramente derivato dall'originaria definizione di “crisi” contenuta nell'art. 2 del Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza (D.Lgs. n. 14/2019), anche se lì mancava la variante qualificativa “patrimoniale”, essendo contemplato solo lo squilibrio “economico-finanziario”, di talchè la mancanza tale profilo in un caso, la sua presenza nell'altro, hanno suscitato qualche critica, proveniente soprattutto da una parte della dottrina aziendalistica; ma su tale aspetto non posso qui soffermarmi sia per ragioni di spazio, sia perchè comunque esso non mi pare molto rilevante ed ora è finanche in parte superato a causa della modifica apportata dallo Schema di secondo correttivo alla stessa nozione di crisi. Infatti, mentre prima questa veniva definita dal CCI come “lo stato di squilibrio economico-finanziario che rende probabile l'insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate”; ora lo Schema la definisce come “lo stato del debitore che rende probabile l'insolvenza e che si manifesta con l'inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi”. Come appar chiaro, è stata in tal modo notevolmente asciugata la nozione originaria di crisi, eliminandosi qualunque riferimento sia allo “squilibrio”, sia alle sue qualificazioni, oltre che l'avverbio “regolarmente” e l'aggettivo “pianificate” riferiti alle “obbligazioni”; operazione che, però, lungi dal tradursi in una mera semplificazione, presenta il rischio di notevoli criticità teorico-applicative (sulle quali rinvio alle acute osservazioni di D. Galletti nel blog che viene in questo portale contemporaneamente pubblicato: “Una nuova definizione per la crisi d'impresa: bisogna che tutto cambi perché tutto resti com'è ora”). A parte questo aspetto, credo essenziale evidenziare che il riferimento alla crisi che si rinviene nell'art. 2 D.L. 118, almeno per il momento, e finchè non sarà entrato in vigore il Codice della crisi anche con riferimento al suo art. 2 che definisce il nuovo concetto di crisi, non può fare capo a tale definizione. Di conseguenza, pur nel doveroso rispetto della contraria opinione espressa al riguardo da una parte della dottrina, la mia modesta opinione è che il concetto di crisi cui fare riferimento nell'ambito della composizione negoziata, almeno per il momento, ossia fino a quando il Codice non sarà entrato davvero in vigore nella sua versione finale, debba essere quello che si rinviene nell'art. 160, comma 3, vigente l.fall., che, come noto, è ancora generico e si limita alla specificazione secondo cui per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza, lasciando semplicemente intendere, in tal modo, che lo stato di crisi è, o può essere, anche uno stato meno grave dell'insolvenza vera e propria. Solo quando poi sarà entrato davvero in vigore il Codice della crisi nel suo testo finale, il riferimento alla situazione di crisi costituente una delle manifestazioni del presupposto oggettivo per l'accesso alla composizione negoziata dovrà far capo alla nuova nozione di crisi soprariportata (“lo stato del debitore che rende probabile l'insolvenza…”). In entrambi i casi, peraltro, il riferimento alla crisi costituente una delle manifestazioni del presupposto oggettivo per l'accesso alla composizione negoziata (probabilità di crisi o di insolvenza), per non apparire pleonastico, implica una necessaria distinzione logica rispetto al concetto di insolvenza. Se, infatti, si parte dalla premessa che per la composizione negoziata ancora può valere solo il concetto generico di crisi che si trova nella legge fallimentare, allora il riferimento sia alla probabilità di crisi che alla probabilità di insolvenza contenuto nell'art. 2 del decreto rischia di risolversi in una sorta di duplicazione superflua, visto che, a rigore, non ha senso fare riferimento sia alla probabilità di crisi che alla probabilità d'insolvenza quando entrambi gli stati rientrano, almeno fino ad oggi, nel comprensivo ed agglutinante concetto di crisi. Per evitare che la norma appaia - da questo punto di vista - irrazionale, l'unica soluzione logica è attribuire al riferimento fatto alla crisi in modo distinto rispetto al riferimento all'insolvenza, il significato, che pure è ricavabile, come detto, dall'art. 160 L.F., di crisi come situazione meno grave dell'insolvenza, che quindi, almeno di norma, si colloca in una fase temporale antecedente all'insolvenza. Ma la situazione non cambierà sostanzialmente anche quando si dovrà far capo alla nozione di crisi prevista dallo schema di Secondo correttivo, poiché in tale ipotesi la crisi come probabilità di insolvenza sarà parimenti uno stato che si connoterà come meno grave dell'insolvenza e tale dunque, in linea di massima, da anticiparla. Questa conclusione sembra peraltro confermata dall'art. 9, comma 1, D.L. 118 (e dal corrispondente art. 21 dello schema di Secondo correttivo), norma che, nel premettere che “nel corso delle trattative l'imprenditore conserva la gestione ordinaria e straordinaria dell'impresa”, puntualizza poi che quando l'imprenditore è in stato di crisi gestisce l'impresa in modo da evitare pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell'attività e quando, invece, nel corso della composizione negoziata, risulta insolvente, ma esistono concrete prospettive di risanamento, egli deve gestire l'impresa nel prevalente interesse dei creditori. In questo modo, dunque, l'art. 9 attribuisce all'imprenditore obblighi di comportamento diversi a seconda che egli sia in crisi o in uno stato d'insolvenza, restringendone giustamente i poteri in questo secondo caso. Dimostra così di ritenere, appunto, come dicevo, che la crisi cui fa riferimento l'art. 2 va intesa come stadio meno grave dell'insolvenza. Ma questo consente di leggere anche più correttamente il contestuale riferimento specifico alla probabilità, che colora e connota sia la crisi che l'insolvenza. Il riferimento alla probabilità, infatti, da un lato, fa retrocedere lo stato di crisi ad un momento anteriore a quello della crisi vera e propria e quindi fino ad una sorta di pre-crisi, che dovrebbe consentire l'accesso anche alle imprese che si trovano nella cd. twilight zone, che versano cioè in situazioni di ancor lieve difficoltà, con un notevole allargamento della possibilità di avvalersi dello strumento; dall'altro, fa retrocedere allo stesso modo l'insolvenza, escludendo che questa possa essere attuale, esigendosi che possa solo essere futura e quindi ammettendo l'attuale esistenza solo di una crisi come stadio meno grave dell'insolvenza. In definitiva, le uniche situazioni ammesse dovrebbero essere la crisi, intesa, quest'ultima, come stadio meno grave dell'insolvenza (=probabilità di insolvenza), e la pre-crisi intesa come stadio meno grave della crisi (=probabilità di crisi). Sennonché il decreto dirigenziale ministeriale emanato il 28 settembre 2021 in attuazione del decreto 118 contiene indicazioni di segno opposto rispetto a questa piana lettura dell'art. 2 D.L. 118, assumendo che la composizione negoziata possa essere attivata anche dall'imprenditore già insolvente alla sola condizione che sia ragionevolmente prevedibile il risanamento dell'impresa. Questa sorta di “interpretazione autentica” che viene proposta dal decreto dirigenziale (abusivamente, trattandosi di fonte di rango secondario) ha orientato in tal senso anche molti commentatori, sì che allo stato si contrappongono due opposte opinioni: di chi reputa che l'insolvenza attuale non renda ammissibile l'accesso alla composizione negoziata, e di chi invece ipotizza il contrario. A mio modesto parere l'interpretazione più corretta è quella che emerge ictu oculi dalla piana lettura dell'art. 2, che, facendo riferimento alla sola probabilità d'insolvenza, esclude per ciò stesso la possibilità di accedere alla composizione negoziata quando l'impresa è attualmente insolvente. E mi pare che sia l'art. 5 che l'art. 9 D.L. 118 avallino questa lettura, laddove, da un lato, prevedono che l'insolvenza possa emergere nel corso delle trattative, ma non all'inizio del procedimento, e, dall'altro, che le trattative possano iniziare solo dopo che l'esperto abbia valutato se l'impresa versa in quelle condizioni di squilibrio che rendono probabile la successiva crisi o insolvenza. E credo che l'art. 9 consenta che le trattative possano continuare quando sopravviene l'insolvenza semplicemente perché, considerando realistica tale evenienza a dispetto di quello che potrebbe essersi reputato prima circa la sua iniziale insussistenza, giudica miglior partito, alla luce del fatto che comunque le trattative nel frattempo si sono svolte, evitare che queste vadano automaticamente sprecate, e consente allora che proseguano, ma solo se, e sempre che, non siano venute meno comunque le concrete prospettive di risanamento, ma ponendo appunto in tal caso un preciso paletto all'imprenditore: l'obbligo di gestire l'impresa nel prevalente interesse dei creditori. Tra l'altro, solo in tal modo, mi pare, l'interpretazione dell'art. 2 del decreto si ponga in linea con la Direttiva Insolvency, cui il CCI deve conformarsi, laddove questa mira ad intercettare precocemente i segnali di crisi e a risanare imprese non insolventi, ma ancora sane e risanabili e laddove invita gli Stati membri – tra l'altro - ad introdurre “una verifica della sostenibilità economica” come condizione pregiudiziale di accesso alla procedura di ristrutturazione preventiva (cfr. il Considerando n. 26). E quando l'art. 9 riferisce la necessità di gestire l'impresa in modo da evitare pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell'attività, mi pare che – in correlazione logica con la Direttiva – presupponga che questa sostenibilità debba sussistere all'inizio, ipotesi in contrasto con una situazione iniziale di insolvenza. Ad ogni modo proprio il decreto dirigenziale che propone la tesi favorevole all'accesso dell'impresa insolvente alla composizione negoziata poi di fatto ridimensiona questa solo teorica ed ottimistica possibilità - giacchè è assai teorico il caso dell'impresa che presenti un'insolvenza reversibile, caso che si può verificare una volta su mille - invitando l'esperto a valutare con il massimo rigore se le possibilità di risanamento siano davvero concrete. Un'impresa insolvente, infatti, di solito brucia ricchezza quando prosegue la sua attività nonostante versi in tale stato e quindi va comunque accertato con estremo rigore se ricorra quell'eccezionale reversibilità dell'insolvenza che teoricamente viene considerato possibile. Ma perché, viene da chiedersi, dinanzi a tale rischio si è voluto comunque suggerire la possibilità di accesso alla composizione negoziata anche per le imprese insolventi? Se sono tali, lo sbocco finale non sarà il fallimento (o il concordato liquidatorio)? Personalmente credo che, in realtà, si sia voluto per tale via semplicemente rafforzare la possibilità di consentire poi l'accesso al concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, che sarebbe rimasto sullo sfondo se l'accesso alla composizione negoziata fosse stato impedito alle imprese insolventi. Oggi, in effetti, la composizione negoziata può pervenire a due tipologie di esito positivo: o quella del superamento di una semplice crisi con il rispristino della continuità mediante sbocchi concordati e direi quasi fisiologici (ex art. 11, commi 1 e 2, D.L. 118); oppure quella della liquidazione facilitata attraverso il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, chiaramente destinata alle situazioni di insolvenza. A prescindere comunque da quale sia la più corretta soluzione teorica, mi limito qui ad auspicare, dal punto di vista pratico, che in sede di varo finale del Codice della crisi la formulazione dell'art. 2 D.L. 118 (ovvero dell'art. 12 dello schema di Secondo correttivo) venga chiarita in modo inequivoco, poiché la confusione che attualmente caratterizza la definizione del presupposto oggettivo può giocare un ruolo negativo molto serio nell'applicazione della composizione negoziata, causando variabili valutazioni anche da parte degli esperti chiamati ad agevolare le trattative e a stabilire sin dal primo incontro con l'imprenditore se il presupposto oggettivo sussista e se l'impresa sia ragionevolmente risanabile. Qui si potrebbe aprire, peraltro, un lungo discorso, finalizzato ad accertare in che modo l'esperto posa verificare queste possibilità di risanamento. E tempi duri si prospettano, da questo punto di vista, per il povero esperto, lasciato in balia di questi confusi e contraddittori segnali già sulla stessa accezione del concetto di probabilità di insolvenza e di risanabilità.
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