La perdita del rapporto parentale con il nonno non determina un danno risarcibile per la nipote in tenera età, non essendo configurabile in capo alla stessa alcun pregiudizio: né in termini di sofferenza futura, né in termini perdita delle utilità rappresentate da reciproco affetto, solidarietà e comunanza familiare.
Massima
La perdita del rapporto parentale con il nonno non determina un danno risarcibile per la nipote in tenera età, non essendo configurabile in capo alla stessa alcun pregiudizio: né in termini di sofferenza futura, né in termini perdita delle utilità rappresentate da reciproco affetto, solidarietà e comunanza familiare.
Il caso
La sentenza si occupa del danno patito dai congiunti di un pedone, travolto mentre attraversava la strada sulle strisce pedonali, e morto a distanza di tre giorni dal sinistro. Il risarcimento è stato riconosciuto alle figlie del defunto, e a una delle nipoti della vittima, mentre risulta respinta la richiesta di ristoro avanzata per conto dell'altra nipote, che all'epoca dell'incidente aveva otto mesi.
La Cassazione è chiamata a pronunciarsi lungo vari profili. In particolare - per quanto concerne la liquidazione del danno in capo alla figlia con la quale il defunto conviveva – la sentenza si occupa (oltre che della prova della situazione di convivenza) del riflesso che tale condizione implica sulla quantificazione del danno. In secondo luogo, con riguardo al risarcimento riconosciuto alla nipote – in passato, e non più attualmente, convivente con il nonno – la Cassazione è chiamata a pronunciarsi relativamente all'ammissibilità di tale ristoro e, in subordine, alla quantificazione del relativo pregiudizio. La terza, e più originale questione, riguarda il mancato riconoscimento della tutela risarcitoria in capo all'altra nipote, essendo quest'ultima un'infante di soli otto mesi al momento della perdita del nonno.
La questione
È ravvisabile la ricorrenza di un danno da perdita del rapporto parentale per la morte del nonno in capo alla nipote, qualora la stessa all'epoca del decesso fosse un'infante di otto mesi?
Le soluzioni giuridiche
a) La situazione di convivenza con il familiare deceduto è al centro di una serie di considerazioni – da parte della Cassazione - le quali ruotano intorno all'influenza che tale condizione determina per quel che concerne la tutela risarcitoria del congiunto.
Per quanto riguarda la convivenza con una delle figlie (che viene ritenuta provata sulla base di un ragionamento presuntivo, a fronte dell'avvenuto trasferimento della residenza e delle dichiarazioni delle altre parti ricorrenti), i giudici di legittimità riconoscono come di tale situazione occorra tener conto nella liquidazione del danno. Avendo la corte di merito adottato il metodo romano, la Cassazione sottolinea che “laddove il giudice abbia fatto riferimento, quale criterio per il risarcimento, ad una determinata tabella (…), egli è tenuto ovviamente a rispettarlo, a meno che non motivi in modo adeguato le ragioni per le quali rispetto a una determinata voce di danno non ritenga di dover seguire quel criterio”. (Considerato che nella tabella romana dalla convivenza discende una maggiorazione di quattro punti, corrispondente a un importo di 37.000 euro, mentre i giudici di merito avevano limitato la maggiorazione a 20.000 euro), la Cassazione considera fondato il ricorso incardinato sulla violazione della tabella prescelta, non avendo la corte di appello motivato la deroga all'applicazione del criterio da quel metodo previsto.
Relativamente alla cessata condizione di convivenza con la nipote, la Cassazione ribadisce come tale elemento non venga a inficiare la risarcibilità del danno da quest'ultima patito per la perdita del nonno, considerato che - pur non vivendo più i due sotto lo steso tetto – ciò non viene spezzare il legame affettivo, consolidatosi durante il tempo passato assieme. Una volta ritenuta ammissibile la tutela a favore della nipote, anche in assenza di convivenza, si tratterà di dare applicazione ai criteri previsti dalle tabelle prescelte (che la corte di merito ha, pure in questo caso, disatteso senza aver fornito adeguata motivazione quanto allo scostamento).
(b) La questione di principale interesse, nella sentenza in esame, ruota intorno al mancato riconoscimento della tutela risarcitoria all'altra nipote della vittima. A rilevare, da questo punto di vista, non è il tipo di rapporto familiare intessuto con il defunto (visto che nella medesima pronuncia risulta riconosciuto il ristoro per la perdita del nonno ad un'altra nipote, bensì) la tenera età del congiunto al momento del lutto. Si tratta, pertanto, di analizzare le ragioni sulla base delle quali viene giustificata, dai giudici di legittimità, la soluzione volta a negare la ricorrenza del danno daperdita del rapporto parentale dell'infante.
Il pregiudizio derivante dalla perdita del rapporto familiare viene analizzato sotto due distinti versanti: (posto che i giudici di legittimità sottolineano come nel ricorso non emerga se ci si riferisca alla sofferenza che in futuro potrebbe provare la minore, ovvero alla perdita del rapporto parentale in quanto tale, resta il fatto che) lungo entrambi i profili viene, comunque, esclusa la ricorrenza di un danno risarcibile.
Il primo aspetto del pregiudizio che viene analizzato riguarda la sofferenza legata alla perdita del congiunto. Da questo punto di vista si osserva che – non sussistendo una sofferenza attuale dell'infante per il fatto che lo stesso non ha coscienza della perdita – il pregiudizio in questione andrebbe configurato come danno futuro. A tale riguardo la S.C. sottolinea come quest'ultimo possa assumere due diverse configurazioni: (a) il danno virtuale è un danno certo al momento del fatto illecito, ma destinato a manifestarsi nel futuro; mentre (b) il danno eventuale è un danno che al momento del fatto illecito non si sa se si verificherà in futuro, per cui costituisce un pregiudizio ipotetico. È in questa seconda categoria – secondo la Cassazione - che rientra il danno dell'infante, poiché “la sua futura sofferenza per la perdita attuale del nonno è (…) un danno eventuale che non può essere ritenuto rilevante ora per allora”, restando incerta la sopravvenienza stessa del pregiudizio.
Per quanto concerne il secondo profilo del danno, la Cassazione sottolinea che a venire in gioco è una dimensione oggettiva del pregiudizio, in quanto si tratta di una perdita di utilità, da parte del parente sopravvissuto, diverse dalla serenità morale. A tale riguardo la S.C osserva che la “perdita delle utilità che il rapporto consente è necessariamente una perdita che rileva immediatamente e che si esaurisce nella contestualità di lesione e danno, per la semplice ragione che è pregiudizio risarcibile in quanto perdita del godimento di quelle utilità”. Si tratterebbe di una perdita attuale, per la quale non può essere ammesso un differimento rispetto alla lesione: se “si può ammettere, in astratto, una eventuale sofferenza postuma, non si può ammettere un godimento postumo dei beni che il rapporto familiare consente”. In conclusione, la Cassazione afferma che “la perdita del rapporto parentale è pregiudizio rilevante solo per il congiunto che di tale rapporto sia parte, ovviamente non in senso formale, ma che lo sia nel senso di poter trarre dal rapporto le utilità che esso offre: reciproco affetto, solidarietà, comunanza familiare”: pregiudizio la cui natura presuppone una certa capacità di trarre beneficio da quel rapporto, che l'infante non ha.
Osservazioni
(a) Per quanto concerne il rilevo che assume la situazione di convivenza ai fini della tutela del familiare sopravvissuto, la pronuncia in commento non si segnala per particolari novità su questo fronte, in quanto si uniforma a quell'orientamento propenso a riconoscere che la perdita del congiunto può essere risarcita anche ai familiari non conviventi, purché gli stessi provino la sussistenza di un legame profondo e costante di reciproco affetto nei confronti del defunto (v., Cass. 8218/2021 che risarcisce i nipoti per la perdita della zia). Si tratta, in questi casi, di provare l'intensità del vincolo affettivo reciso dalla morte (ritenuta dimostrata nel caso di specie in capo alla nipote che aveva in passato convissuto con il nonno, e aveva poi mantenuto un saldo rapporto affettivo con lo stesso).
Il profilo più interessante, su questo versante, è quello riguardante le ripercussioni che la condizione di convivenza assume sotto al profilo del quantum risarcitorio, in termini di incremento dello stesso. Quale consistenza quest'ultimo debba assumere non risulta precisato nella tabella milanese, posto che si tratterà di muoversi all'interno degli ampi limiti dalla stessa previsti. Diversamente accade per quanto riguarda la tabella romana (adottata nella sentenza in commento), nella quale la condizione di convivenza trova un preciso riscontro in termini di punti. Da tale circostanza discende la possibilità di bollare, da parte della S.C., lo scostamento – rispetto a quel valore – applicato dalla corte di merito, in assenza di una concreta giustificazione posta alla base dello stesso. A tale riguardo, si tratta allora di sottolineare che in futuro - nel momento in cui, come auspicato dalla Cassazione nella celebre sentenza n. 10579/2021, verrà adottato un metodo a punti, modellato su quello romano - emergerà ben più diffusamente la necessità da parte del giudice di merito di giustificare ogni scostamento applicato rispetto al calcolo automatico derivante dalla tabella.
(b) Una serie più ricca di considerazioni si presta ad essere formulata con riguardo alla questione che si pone al centro della pronuncia in esame: quella del mancato riconoscimento della tutela risarcitoria, per la perdita del nonno, alla nipote infante.
Un primo nodo problematico riguarda – in generale - quei passaggi della pronuncia in cui la S.C. si interroga sul tipo di ripercussioni pregiudizievoli che vanno ricondotte sotto l'egida del danno da perdita del rapporto parentale. A fronte della constatazione che tale pregiudizio coinvolge, da un lato, il versante soggettivo (danno morale), e, dall'altro lato, quello oggettivo (perdita del rapporto parentale in sé), i giudici di legittimità sembrano propensi a ritenere che l'attribuzione congiunta di entrambe le voci di danno verrebbe a rappresentare una duplicazione (senza poi soffermarsi sulla questione, per il semplice fatto che la richiesta risarcitoria dei ricorrenti riguardava una sola voce di danno, ancorché non qualificata sotto l'uno o l'altro profilo). Ora, una simile propensione non può per alcun verso esser condivisa, una volta accolta l'idea che – anche in questo specifico campo del torto – si tratterà di applicare le conclusioni raggiunte dalla Cassazione, in termini generali, quanto alla doppia dimensione attraverso la quale si struttura la nozione di danno non patrimoniale: che comprende – secondo le indicazioni formulate nella famosa sentenza-decalogo n. 7513/2018 - la componente morale (interiorizzazione intimista della sofferenza) e quella dinamico-relazionale (proiezione esterna dell'essere). Si tratta di due voci distinte, sul piano dei contenuti, e la cui congiunta attribuzione non può per alcun verso rappresentare una duplicazione risarcitoria.
Per quanto concerne, più specificamente, la questione del pregiudizio patito dall'infante, si tratterà allora di valutare la sussistenza di entrambi i suddetti profili dannosi: (1) Partendo dalla sofferenza di carattere morale, si tratta di precisare che parlare di danno futuro dell'infante non può essere visto – come, invece, sembra ritenere la S.C. - quale semplice espediente, utilizzato in passato, per riconoscere la protezione dell'incapace. Bisogna premettere che per qualunque congiunto la sofferenza per la morte del familiare si manifesta non solo al momento della perdita, ma si protrae nel tempo. Ora, per quanto riguarda l'infante, si tratta di osservare che tale perdita non si presta ad essere percepita nel momento in cui si verifica, bensì in futuro. È, dunque, da quel momento che verrà a generarsi la sofferenza (ed è sulla base di una simile constatazione che la Cassazione risulta propensa a riconoscere il risarcimento del danno non patrimoniale al nascituro, per la perdita del padre avvenuta prima della sua nascita: v. Cass. 5509/2014; Cass. 9700/2011). Il punto essenziale da precisare ruota, allora, esclusivamente attorno alla ragionevole certezza quando al manifestarsi di un pregiudizio futuro di carattere morale: conclusione che può senz'altro ritenersi scontata a fronte della privazione di un familiare convivente, mentre non altrettanto può dirsi per la morte di altri parenti. In quest'ultimo caso, la percezione della perdita – che non si manifesta al momento del decesso – potrà non aver luogo nemmeno in futuro, per cui andrà esclusa la ricorrenza di un danno morale. In conclusione, il fatto che il danno morale dell'infante si presenti come eventuale dipende esclusivamente dal tipo di rapporto familiare inciso dal torto. (2) Per quanto concerne la seconda componente del danno non patrimoniale analizzata dalla sentenza in esame, non appare condivisibile la ricostruzione che viene fornita per la stessa dai giudici di legittimità. La S.C. parla di una “perdita che rileva immediatamente e che si esaurisce nella contestualità di lesione e danno”, rappresentata da una serie di utilità incarnate dal reciproco affetto, solidarietà e comunanza familiare. In verità, il pregiudizio da prendere in considerazione consiste nella compromissione che investe la sfera dinamico-relazionale del congiunto sopravvissuto, in termini di modifica peggiorativa della sua esistenza. Un danno del genere, allora, può ben manifestarsi a prescindere dalle capacità cognitive della vittima (ad esempio: si pensi al malato di Alzheimer, qualora venga a mancare il familiare che lo accudiva e lo assisteva, e che di conseguenza sia ricoverato in un istituto). Per tornare al minore in tenera età, pensiamo al caso in cui a morire sia il nonno che – quantunque non convivente – si occupasse quotidianamente del bambino durante l'attività lavorativa dei genitori: ipotesi, questa, in cui andrebbe data per scontata la sussistenza di una compromissione della sfera dinamico-relazionale dell'infante. Ovviamente la ricorrenza di un simile pregiudizio va ravvisata esclusivamente nei casi in cui il rapporto familiare reciso dall'illecito comporti implicazioni di carattere (non soltanto affettivo, ma altresì) esistenziale: le quali possono essere date per scontate nel caso di convivenza, e non invece in caso di morte del congiunto esterno al nucleo familiare.
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